18 dicembre 2016 10:35

Trecentosessantacinque giorni per farlo, mezz’ora per distruggerlo. La storia del carro della Madonna della Bruna di Matera è una metafora perfino troppo perfetta di quello che è successo alla città che è partita con una lunga rincorsa per costruire la sua candidatura a capitale europea della cultura per il 2019, l’ha conquistata e festeggiata e poi l’ha smontata, bocciandola di fatto nel voto amministrativo.

È il direttore della Fondazione Matera 2019, Paolo Verri, che ricorre alla metafora del carro della Bruna per raccontare cos’è successo, ormai un anno e mezzo fa. Essenziale punto di partenza per capire cosa accade oggi, e quanto peseranno su una tabella di marcia già tutta in ritardo le nuove grane politiche dell’ultimora: la giunta comunale traballante, la regione a rischio commissariamento per bocciatura del bilancio da parte della corte dei conti. Di qui al 2019 c’è ancora tempo, è vero. Ma non molto, per decidere se l’Italia si prepara a presentare all’Europa la sua capitale della cultura con lo slancio di una Liverpool 2008 (improbabile, a questo punto), con un recupero in extremis alla Expo di Milano 2015, o rischiando una figuraccia continentale tipo mondiali di nuoto di Roma del 2009. Partiamo quindi dal carro di Matera, e dai suoi vincitori-perdenti.

Il carro di cartapesta, sontuosamente e dettagliatamente decorato, percorre alla sera tutta la città, per scortare la Madonna che torna nella sua chiesa. Ne è uscita al mattino, dopo che nei Sassi sono entrati i pastori e tutto il rito pagano-cristiano che celebra l’inizio del raccolto si è svolto. Per tutta la giornata la città ha festeggiato, ha suonato, ha pregato. La Madonna è la protagonista, ma è il carro la star. Ci ha lavorato sopra, per un anno, l’artigiano che si è aggiudicato l’ambìto bando, per il quale concorrono ogni anno i maestri cartapestai della città. Un anno di lavoro per costruire per la Madonna l’omaggio più bello, più ricco, più caldo, più prezioso. E per farlo distruggere dalla gente che vuole portarsene a casa un pezzo. Il culmine della festa è infatti lo strazzo, l’assalto al carro che viene spezzettato con le mani dalla folla: appena la Madonna è dentro al sicuro, un capo dà il via e il carro viene sfasciato pezzo a pezzo. Dal giorno dopo, si ricomincia a costruirlo.

Nel giugno del 2015 la città ha bocciato il sindaco che aveva voluto, accompagnato e fatto crescere il progetto della capitale della cultura

Paolo Verri è torinese, organizzatore culturale e di eventi (dalla direzione del Salone del libro a quello della musica, alla nomina di Torino come World design capital, e altro), chiamato in Basilicata prima a dirigere il comitato per la candidatura e poi la Fondazione Matera 2019. È lui che ricorre alla metafora della Bruna, e un po’ il carro se l’è sentito piombare addosso il 15 giugno 2015, quando la città ha bocciato Salvatore Adduce, il sindaco che aveva voluto, accompagnato e fatto crescere tutto il progetto della capitale della cultura. Non tanto per il cambio di giunta in sé, quanto perché nelle urne aveva vinto una coalizione variegata, accomunata da una dichiarata ostilità al programma di Matera 2019. La nuova giunta aveva affidato a un gran personaggio della città, l’avvocato ottantaduenne Raffaello De Ruggieri – fondatore del circolo culturale La Scaletta e presidente della Fondazione Zétema – un messaggio alla Bartali: “Tutto sbagliato, tutto da rifare”.

Politicamente, sia detto tra parentesi, le cose erano messe così: Salvatore Adduce, sindaco del Partito democratico, si presenta con una lista del Pd e una coalizione di centrosinistra, ma con il tiepidissimo appoggio del vertice regionale del suo partito. Nel frattempo dal Pd si stacca una pattuglia di transfughi e va a infilarsi nella coalizione civica promossa dal centrodestra, che candida De Ruggieri, il quale fa tutta la campagna elettorale all’attacco di Matera 2019, dopo essersi dimesso dal suo comitato scientifico nel quale era stato fin dall’inizio.

La stessa città che aveva accolto casa per casa i “commissari” che dovevano valutare la candidatura, aveva mandato i ragazzi del conservatorio a suonare per le strade, aveva infiorato i balconi e il 17 ottobre del 2014 aveva festeggiato in tripudio la grande vittoria, vota per lo schieramento di De Ruggieri e cambia rotta. “Non accettavo che si festeggiasse la vittoria senza governarla. Che si facessero solo fuochi d’artificio, senza lasciare niente alla città”, dice oggi il nuovo sindaco. Senonché, per seguire la metafora iniziale di Verri: il carro è stato assaltato, ma la Madonna non era ancora al sicuro. Tutto il programma di Matera 2019, diligentemente elencato nel dossier approvato dalla Commissione europea, era appena ai blocchi di partenza. E con esso la sua dote da 52 milioni di euro.

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Oggi, a un anno e mezzo dal voto e quando mancano solo due anni alla scadenza, Matera ce la può ancora fare? Cosa abbiamo perso nella ordalia del carro? “La situazione è gravissima, siamo già al 50 per cento di probabilità di fallimento”, dice l’ex sindaco Adduce. Il nuovo sindaco De Ruggieri invece parla di un “blocco” di otto mesi, quelli necessari, spiega, a cambiare lo statuto e la presidenza della Fondazione, e passa a elencare una lunga lista di altre cose da fare per rendere duratura l’eredità di Matera 2019. “Dobbiamo correre a doppia velocità, per recuperare i ritardi”, ha ammesso Aurelia Sole, rettrice dell’università della Basilicata e presidente della Fondazione Matera 2019 nominata dopo il cambio di giunta, al termine del consiglio di amministrazione che a inizio dicembre ha deliberato il budget per l’anno prossimo: 7,1 milioni, dei quali 1,4 dal ministero dei beni culturali, 4,4 dalla regione, 1 dal comune e i restanti da privati. Il direttore Paolo Verri non dispera: il ritardo del programma culturale, dice, è recuperabile, “più preoccupante quello sulle infrastrutture”.

E così, partiamo dalle infrastrutture, come in ogni storia del Mezzogiorno che si rispetti: dalla stazione di Matera, sulla quale inciampò a suo tempo uno spot delle ferrovie dello stato, che invitava a far visita allo “zio Pietro” nella città dei Sassi – nella quale, però, i treni delle Fs non arrivavano ai tempi di quello spot, nel 2005, e non arrivano nemmeno ora. Però a Matera una stazione c’è, servita dalle Ferrovie appulo-lucane (Fal) con treni un po’ datati, che diventano autobus alla domenica, e un quadro orario rimasto immutato nel tempo. Anche negli ultimi anni, mentre il turismo esplodeva e gli arrivi in città raddoppiavano.

Pochi treni, molti b&b
Il colpo d’occhio della domenica mattina non è dei migliori. La stazione è sbarrata, non c’è nessuno a dare informazioni, il foglietto con gli orari ingiallito al sole è a malapena leggibile, solo un ambulante da una bancarella dice che sì, l’autobus per Bari a un certo punto arriverà. Ad attenderlo, uno storico dell’arte spagnolo, in città per un congresso internazionale, e un anziano turista canadese di ritorno a Matera dopo anni, già un po’ contrariato dall’aumento dei prezzi che ha trovato. Un piccolo spaccato dell’appeal internazionale dei “giardini di pietra”, e un segno premonitore dei loro problemi.

La meraviglia dei Sassi e della città “di sopra”, quella dei signori che nel settecento e nell’ottocento hanno costruito le loro case voltando le spalle agli abitanti “di sotto”, è vicina ma invisibile. Si vedono solo una piazza semivuota e palazzoni grigi tra i quali quello anonimo del municipio, su questa piazza che l’ex sindaco Adduce chiama “un non luogo” e dove, a suo dire, si doveva realizzare una grande opera di sistemazione, con giardini e teatro attorno alla stazione. Bari, a una settantina di chilometri, è lontanissima: un’ora e venti minuti con il trenino, ben di più alla domenica con l’autobus che deve percorrere una superstrada tutta puntellata di lavori. Che però a breve finiranno, e renderanno veloce il percorso in auto.

L’entrata dell’albergo diffuso Le grotte della civita a Matera. (Antonio Zambardino, Contrasto)

E il treno? “Con pochi investimenti prioritari, per esempio sui passaggi a livello, si può velocizzare la linea, arrivare a Bari in 55 minuti”, dice Verri, secondo il quale non sarebbe così difficile mettere su un “Matera 2019 express”, una navetta continua con Bari, con il suo aeroporto e il suo Frecciargento. Purché “la cosa sia gestita da una governance nazionale”, aggiunge, facendo riferimento a veti, trattative, interminabili e antiche recriminazioni tra regioni, province, concessionarie e comuni. Che si sono scatenate, ultimamente, anche sull’annuncio di una fermata lucana per il nuovo Frecciarossa Taranto-Roma, con Ferrandina (più vicina a Matera) e Metaponto a contendersela: alla fine hanno vinto tutte e due, il nuovo treno si fermerà in entrambe. A tal fine la regione Basilicata ha stanziato 3,1 milioni per il 2017, nonostante la crisi di bilancio che incombe, tra stop delle royalties da petrolio e bocciatura della corte dei conti. Verri aggiunge di non aver mai pensato che di per sé Matera 2019, come un tocco di bacchetta magica, potesse risolvere il problema delle infrastrutture quaggiù. Però un’accelerazione è necessaria, in vista di un evento che dovrebbe portare visitatori a frotte in città, e anzi ne ha già portati, insieme all’aumento di posti letto quasi tutti in case vacanza e bed & breakfast.

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La corsa dei turisti è cominciata ben prima della consacrazione di Matera come capitale della cultura. Entusiasti e interessati all’avventura in corso, in varie occasioni sono stati anche coinvolti nella progettazione di alcune delle proposte del programma: che vuole anche i visitatori come “cittadini temporanei”, partecipi delle discussioni e del futuro della città. Però sono un po’ troppo “temporanei”: all’aumento vertiginoso delle presenze non è corrisposto un aumento della loro durata. In media, il visitatore in città si è fermato 1,65 giorni nel 2015, erano 1,60 nel 2012. Ma non è esattamente stimabile il numero di quanti non sono riusciti ad arrivare a Matera o non si sono fermati a dormire perché non hanno trovato posto: in molti periodi dell’anno è tutto esaurito, “un mio amico che ha aperto un b&b il mese scorso ha già le prenotazioni fino a tutto il 2018”, ci racconta un amministratore. Dal 2012 al 2015, mentre gli alberghi sono cresciuti solo di due unità, sono letteralmente esplose case vacanza e bed & breakfast. Così, mentre le strutture sono più che raddoppiate, i posti letto sono cresciuti del 40 per cento (poco più di un migliaio).

La lamentazione contro i b&b è forse l’unico cemento che unisce la città adesso. Nei Sassi, dove all’epoca della “vergogna nazionale” vivevano tra le 15mila e le 17mila persone (più gli animali), adesso risiedono 1.800 materani. Per il resto le abitazioni scavate e costruite nel tufo, rivitalizzate e spesso splendidamente ristrutturate, si sono aperte ai turisti. Una buona fonte di reddito per gli ex abitanti, molti dei quali la pensano come Francesco Di Caro, sindaco della città nei primi anni ottanta, che, intervenendo lo scorso 11 novembre a un consiglio comunale straordinario sul trentennale della legge di tutela e recupero dei Sassi, ha detto: “Io non ci tornerei a vivere neanche se mi pagassero un milione di euro”.

Ma molti, se non vivono nei Sassi, vivono anche dei Sassi e dell’economia che vi è nata. “Un turismo da cartolina, un arricchimento rapace”, ha tuonato nello stesso consiglio comunale un altro ex sindaco, Emilio Nicola Buccico (notabile di Alleanza nazionale, avvocato, nonché proprietario di una delle più grandi biblioteche del Mezzogiorno), alludendo alle stanze in affitto ma anche al proliferare di locali, bistrot, ristorantini. Come notava il turista canadese incontrato alla stazione Fal, il livello è salito, e anche i prezzi. La città è già cambiata, anche l’antica e gloriosa libreria dell’Arco si è dovuta spostare: di pochi metri, ma fuori dal corso principale.

Era questo che volevamo fare. Non più il vecchio sud che chiede soldi e aspetta interventi, ma un sud che prende in mano il suo destino

“Io ai b&b farò la guerra”, ci annuncia l’attuale sindaco De Ruggieri, non specificando come. Finora, sono cresciuti assorbendo una minima parte della pressione turistica che si è riversata sulla città. “Non mi risulta che il sindaco, da quando si è insediato, abbia bloccato le nuove licenze. E comunque quello dei b&b non è un fenomeno materano ma mondiale”, allarga il campo Verri, proponendo di considerare Matera “un quartiere della Basilicata” e l’accoglienza turistica come un’opportunità per tutta la zona, non solo per i Sassi. Ma l’impressione è che dietro la lamentazione sul turismo da cartolina o da b&b si nasconda qualcos’altro: un non confessato rimpianto per il tempo che fu, quando la vergogna nazionale si svuotò e si scoprì il suo oro, aperto però solo a pochi cacciatori raffinati.

“Certo, bisogna evitare il rischio di una sorta di gentrificazione dei Sassi, problema che non riguarda solo Matera ma tutti i centri storici del mondo. Ma anche l’effetto museificazione, che si paventò anche alla fine degli anni sessanta subito dopo lo svuotamento. Matera non può essere solo un museo, ma deve essere luogo di crescita e produzione”, dice Marta Ragozzino, direttrice del polo museale della Basilicata. Ragozzino, in uno scritto per Parolechiave, dedicato proprio al fragile equilibrio tra memoria e futuro, sottolinea che “la nuova occupazione non potrà venire solamente dal settore ricettivo, bensì soprattutto da quelli della conoscenza, della ricerca, dell’innovazione”. Qui è la scommessa, scrive, che può venire da una storia che è fatta sì di “vergogna” o “infamia” nazionale, ma anche di riscatti, o tentativi di riscatto, di profondo valore storico e intellettuale: non dimentichiamo, sottolinea Ragozzino, che proprio lo svuotamento dei Sassi ha fatto di Matera una città pianificata, una delle poche del sud, per la necessità di sistemare tutte insieme quelle famiglie, e in qualche modo il laboratorio della nuova urbanistica e della nuova architettura, chiamate a cimentarsi con la realizzazione dei nuovi quartieri popolari. E l’arte, in tutti i suoi linguaggi a partire dal cinema, ha illuminato la visione dei Sassi liberandola dall’idea comune che fossero solo un problema abitativo. “Già altre volte nel passato questa città ha mostrato di essere capace di rovesciare il suo destino. E ne è un esempio la stessa vittoria di Matera 2019, fondata sull’apertura alla comunità, la condivisione della cultura, l’accessibilità dei luoghi a tutti e non solo alle élite o ai turisti”.

Un racconto di due città
C’è un’altra metafora che torna nella narrazione di Matera. È quella del cielo capovolto. “Il viaggiatore del cinquecento che giunge a Matera e guarda i Sassi dall’alto, vede solo tante piccole luci, e ha l’impressione di un cielo stellato, il cielo capovolto. Era questo che volevamo fare, un’operazione di capovolgimento. Non più il vecchio sud che chiede soldi e aspetta interventi, ma un sud che prende in mano il suo destino, la città che si riconcilia con la sua storia tragica, di cui si vergognava”.

Per questo, racconta l’ex sindaco Adduce, erano state scelte per la candidatura 2019 due formule chiave: “insieme” e “open future”. Costruito con un processo partecipativo non solo in città ma in tutta la regione, con un mix di innesti dall’esterno e coinvolgimento locale, il poderoso dossier ha un’idea portante, riassunta così da Paolo Verri: diventare un luogo della cultura digitale innovativa, un centro dell’industria creativa del futuro a pochi chilometri da quella che resta la più grande fabbrica del passato, l’Ilva di Taranto con il suo blocco di lavoro e morti. Nessuna grande opera, ma una miriade di laboratori, con tre centri propulsori: l’Open design school (Ods), l’I-dea (istituto demo-etnico-antropologico) e il progetto Build up.

Il parco di sculture La palomba, a Matera. (Antonio Zambardino, Contrasto)

Per adesso è un cantiere aperto. All’ingresso della città, un silos Italcementi in via di chiusura in mezzo alle cave non dà proprio il benvenuto. Eppure pochi metri più in là c’è la cava del sole, dove dovrebbe essere già in corso la realizzazione di una delle opere più importanti del dossier. Là dove si scavava a mano il tufo per portarlo su a edificare, aggiustare, abitare, adesso c’è un tappeto finto di verde e un’area di concerti. Nella cava dovrebbero nascere un teatro e un parco interattivo multimediale, dove si va non solo per visitare e assistere a spettacoli ma per portare contenuti: il progetto elaborato dalla Ods prevede che qui, in futuro, siano le stessi pareti della cava a “cantare”, con tufi sonori collegati con schede Arduino. E da lì dovrebbero riaprirsi i sentieri che, seguendo le orme dei cavatori, portano dentro la città dei Sassi.

Si farà? “Il cambio di giunta, sull’onda di una forte critica a tutto il progetto, ha rallentato le cose. Forse non riusciremo a realizzare il teatro interrato, ma l’intervento sulla cava si può ancora fare. Sono più preoccupato per le infrastrutture che per la realizzazione del programma della Fondazione, che va avanti”, dice Verri. Che è sicuro di una cosa: non si cambia il programma in corsa, non è consentito dalle regole con le quali la Commissione europea sceglie di volta in volta la capitale della cultura. E Matera ha vinto per quel progetto, non solo per un valore intrinseco.

A sentire parlare il sindaco, sembra di vedere un’altra città. Quella che ha conquistato la nomina a capitale europea perché è bella, è unica, è insostituibile, “luogo della più straordinaria trasformazione umana della natura”. De Ruggieri ha vinto le elezioni criticando radicalmente il programma di Matera 2019, ma finora più che rifarlo lo ha rallentato. “Certo, il programma è quello indicato dal dossier”, conferma. Ma aggiunge: “Ho criticato che si festeggiasse tanto la vittoria senza pensare a quello che restava dopo, il 2019 visto come un palcoscenico senza capitalizzare il risultato”. Per cui, appena insediato ha fatto notare che il sindaco non poteva essere anche presidente della Fondazione Matera 2019 e ha nominato la rettrice dell’università di Basilicata. “Sì, abbiamo perso otto mesi, ma c’era un problema giuridico”, che secondo il sindaco può aver portato qualche ritardo nei lavori della Fondazione, ma non nella preparazione delle infrastrutture della città. E adesso “Matera può chiedere qualcosa per il futuro”.

E lui chiede cose diverse. Le elenca: quattro parchi tematici, dalla ricostruzione della storia dell’uomo “dalla selce al silicio” al centro di geodesia spaziale; un cartellone per il 2019 “prodotto qui e non acquistato”; investimento nel digitale portando la banda ultralarga nei Sassi; l’istituzione di una Zes, ossia di una zona economica speciale, con benefici fiscali, contributivi e normativi. Uno strumento sul quale puntano molte zone, nel Mezzogiorno e non solo (da Gioia Tauro al confine tra la Lombardia e la Svizzera, dalla Puglia a Trieste): in Europa ce ne sono settanta, in Italia ancora nessuna. Al contrario dei “vecchi” aiuti di stato, in questo caso il regime speciale va collegato a un settore specifico dell’innovazione tecnologica.

In attesa della Zes, il sindaco ha vantato, nel già citato consiglio comunale straordinario che ha celebrato la legge sui Sassi, il rifinanziamento della stessa legge: 20 milioni in quattro anni, dopo che le casse erano rimaste vuote dal 2002 (salvo una eccezione nel 2007). Dunque, De Ruggieri dice di non preoccuparsi più di tanto della crisi di bilancio della regione, dalla quale pure sulla carta dovrebbero arrivare ancora 17 milioni per Matera 2019: “Mi auguro che si possa risolvere la questione, ma nel caso può mettere a rischio il programma della Fondazione, non quello del comune”.

Il tempo stringe, anche il presidente Mattarella ha incitato, celebrando Mantova capitale italiana della cultura, a mettere a frutto l’appuntamento europeo del 2019 per lo sviluppo infrastrutturale, sociale e culturale. Lo dice lo stesso sindaco: “Siamo esposti all’attenzione del mondo, non possiamo tradire questa aspettativa”. Il tempo corre, forse troppo veloce per una città che è tra le più antiche di tutto il Mediterraneo. Chissà che le due città non siano costrette a tornare a raccontarsi insieme, per non perdere il proprio capitale.

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