28 gennaio 2017 10:45

Poche ore dopo il mio rientro dalla gita sulla Transiberiana d’Italia, l’Abruzzo è stato devastato da un ennesimo terremoto. Non ho potuto fare a meno di chiedermi se quell’antica ferrovia che si arrampica su per i monti della Maiella avrebbe sopportato le scosse; ho ripensato con angoscia ai paesini da fiaba sepolti da quella neve perfetta, che per alcuni si è trasformata in una coltre mortale.

Allora ho pensato che valeva ancor più la pena raccontare come in quest’Abruzzo piegato dalla potenza della natura, ci siano non solo enormi potenzialità turistiche – molte delle quali ancora inespresse – ma anche, a tutti gli effetti, la ferrovia più bella d’Italia. E soprattutto c’è qualcuno che si è inventato un modo per “salvarla”, questa famosa linea Sulmona-Carpinone, un capolavoro d’ingegneria ferroviaria costruito a fine ottocento.

Conosciuta nel mondo delle Ferrovie dello stato (Fs) come la Ferrovia del parco, la storica tratta secondaria va da Sulmona passando per Roccaraso e poi prosegue per Carpinone in Molise e i locali la chiamano “Napoletana” perché un tempo, quando Sulmona era capitale del regno borbonico, faceva parte della linea diretta Pescara-Napoli. Inaugurata nel 1897, l’antica ferrovia passa dove ancora oggi non ci sono strade, attraversa il parco della Maiella e sale fino a 1.268 metri con una pendenza massima del 28 per mille e sistemi sofisticatissimi come i paravalanghe.

Un piccolo miracolo
Il treno, ribattezzato nel 1980 dal giornalista Luciano Zeppegno di Gente Viaggi la Transiberiana d’Italia, aveva un ruolo importante durante le forti nevicate, quando alcune strade erano a rischio chiusura – e lo sono ancora, a quanto pare: nelle scorse settimane la strada statale 17 è stata chiusa per alcuni giorni lasciando isolati Roccaraso, Rivisondoli e Pescocostanzo (tra l’altro queste infrastrutture così antiche, anche per i materiali che si usavano un tempo, hanno una viabilità più sicura di qualsiasi altro mezzo di trasporto durante un terremoto).

Il progetto è nato da un movimento di opinione silenzioso quanto potente

Eppure il 10 dicembre del 2011 la linea è stata chiusa per mancanza di traffico di passeggeri. Fino al 2014. Quando un piccolo miracolo di associazionismo dal basso ha ridato vita alla vecchia strada ferrata: un gruppo di appassionati di Isernia (tutti volontari) è riuscito a prendere in gestione da Fs un convoglio anni trenta, con carrozze “centoporte”, e locomotore Diesel – interni di legno, lampade déco, toilette bianche e spartane infinitamente più belle di quelle dei regionali moderni – e ne ha fatto un treno turistico con partenze a calendario.

Il progetto, nato da un movimento di opinione silenzioso quanto potente, è stato in seguito inserito all’interno del progetto Binari senza tempo della fondazione Ferrovie dello stato, che è nato solo nel 2013. Quasi su imitazione di questo fortunato recupero, sono resuscitati altri sette treni storici, tra cui quello della Valsesia o quello del lago d’Iseo (qui maggiori informazioni sulle tratte già attive e su altrettanti progetti in fieri). Inoltre, in questi ultimi anni, anche al di fuori del circuito di Ferrovie dello stato, hanno ripreso attività altri due treni turistici a calendario: il trenino verde, in Sardegna, che viaggia su quattro linee storiche tra cui la Mandas-Arbatax e il Treno della Sila, in Calabria, che sale fino a 1.400 metri d’altezza. Sulla Transiberiana d’Italia oggi le corse non si sono più, ma per due domeniche al mese si può prenotare – se si trova posto – una gita in giornata attraverso la regione più selvaggia d’Italia. D’inverno il treno si ferma a Roccaraso, mentre d’estate arriva fino in Molise, con ritorno a Sulmona la sera.

Arrosticini e pizzelle
Il 15 gennaio scorso mi sono unita alle 300 persone che battevano i denti sul primo binario della stazione di Sulmona per avventurarmi sul “treno della neve”. Clima previsto: bufera; temperatura: meno cinque gradi. Poco distante dal binario c’è una gran macchina rossa: è lo spazzaneve S244-001, il “Diavolo Rosso”, potente turbina per sgombrare la neve. “Ce ne sono solo tre in tutta Italia”, mi dice un compagno di viaggio.

Il binario pullula di bambini in tuta da sci e scarponi, tutti scalpitano per salire sul treno (che purtroppo non ha una scala per disabili), compresi alcuni cani impazienti più che mai. A parte i suonatori locali in abiti tradizionali e mantello, il profumo di arrosticini e pizzelle a ogni fermata, è davvero tutto bianco e sembra proprio di essere in Siberia. Il riscaldamento ci mette un po’ a partire, ma nonostante il gelo l’allegria è diffusa dentro gli antichi vagoni. I volontari fanno compagnia a noi passeggeri raccontando la storia del treno. Intanto fuori dai finestrini, mentre il treno si inerpica piano piano a 900 metri e poi fino a quasi 1.300, il punto più alto, si svolge uno spettacolo di grande bellezza.

Un vagone della Transiberiana d’Italia, gennaio 2017. (Andrea Falcon)

“A parte il Brennero questa è la ferrovia più alta d’Italia, almeno all’interno della Ferrovie dello stato”, spiega Claudio dell’associazione Le Rotaie. “La nostra attività”, continua, “non basta a salvare la linea. La piena efficienza ci sarebbe se fosse ripristinato il collegamento Pescara-Napoli. Quello che auspichiamo è che giornalmente, nei feriali, ricomincino le corse tra Pescara e Napoli e viceversa che durante i fine settimana ci siano i treni storici per l’attività turistica integrata con le realtà del territorio. Questo succede già in diverse linee all’estero, che abbinano servizio di trasporto e servizio turistico, senza che le due cose si pestino i piedi tra loro”.

Il treno fa lunghe soste durante le quali si possono vistare delle località o fare attività sulla neve. Ci fermiamo a Pescocostanzo, un borgo storico a 1.400 metri d’altezza, tra i più belli di questa terra di pastori. Qui c’è una stazione sciistica, ci sono chiese bellissime e palazzi eleganti. Ma il paese è quasi interamente spopolato e i cumuli di neve sono tristemente abbandonati davanti agli ingressi delle case. Sarà il biancore del cielo e la neve che comincia a cadere, ma Pescocostanzo sembra un paese-fantasma, dove gli unici esseri umani siamo noi turisti in abbigliamento multicolore.

Nella stazione di Fossato di Vico ho visto prima chiudere la biglietteria, poi l’edicola storica. È l’entroterra, bellezza!

“Per me il vero problema dell’Italia non è il sud ma l’entroterra”, dice Francesca, una delle mie compagnie di vagone. Francesca è di Rieti e vive a Sulmona da anni e ha lavorato per otto anni all’ospedale di Amatrice. “L’entroterra è abbandonato a se stesso. Anche il treno che collega Terni a Sulmona è diventato ormai un treno per i pendolari, non ci sono quasi più corse durante il giorno. E in agosto, quando c’è più turismo, che fanno? Lo chiudono e lo sostituiscono con un pullman”.

Allora le racconto che per venire a Sulmona ho impiegato quasi sei ore di treno, nonostante la vicinanza in linea d’aria. Francesca ride: “Allora sai quel che voglio dire”. Poi le racconto che vivo a Gubbio, una dei borghi medievali più belli del mondo, dove la stazione non esiste più dal 1945 e per prendere il treno devo andare a Fossato di Vico, a 17 chilometri di distanza. Qui le coincidenze con la cittadina non ci sono quasi e c’è un solo taxi. Le dico che frequento questa stazione da quindici anni e che ho visto prima chiudere la biglietteria, poi la storica edicola, e ogni volta temo che toccherà alla stazione. È l’entroterra, bellezza!

Tirare le righe sulle ultime linee
Luca, sulmonese e padrone di Marley, un golden retriever che scodinzola tutto il viaggio, mi spiega che lui, questo treno, lo prendeva da ragazzino per andare a sciare quando non aveva ancora la patente e che era sempre pieno di gente. “La domenica mi piace venire a fare un giro con gli amici, è davvero un viaggio a ‘un’altra velocità’, ma è sempre strapieno purtroppo, è difficilissimo trovare posto… Questa volta ci è andata bene perché c’era la neve e qualcuno si è spaventato”. Il trenino, che ospita fino a 390 passeggeri, nel 2014 ha totalizzato diecimila presenze, mentre nel 2015 e 2016 ne avute circa 14mila. Claudio mi spiega che in questo modo, grazie al lavoro dei volontari, il progetto ha una sua sostenibilità, ma più di questo non riescono a fare. Peccato che la fondazione Fs non contribuisca, se non per la manutenzione del treno.

Riccardo Finelli è un giornalista che nel 2011, prima del ripristino, ha deciso di percorrere la strada ferrata della Sulmona-Carpinone nell’unico modo rimasto possibile: a piedi. Insieme a due amici ha percorso i 129 chilometri e lo ha raccontato in Coi binari fra le nuvole (cronache dalla Transiberiana d’Italia), con l’idea di seguire “non tanto la scia nostalgica di un treno perduto, ma il fantasma di un’idea”. Finelli, con la scusa del racconto di questa lunga camminata in cui ha contato davvero molte traversine, spiega bene la “lenta agonia che, negli anni, aveva visto Trenitalia e regione Abruzzo tirare una riga dopo l’altra sui treni della linea, con l’invenzione di orari sempre più improbabili, fino addirittura a far partire i convogli agli stessi orari dei servizi pullman sulla stessa tratta”.

Ancor di più ha fatto Giorgio Stagni, ingegnere milanese, appassionato di ferrovie e studioso di trasporti su rotaia, che ha analizzato questa tratta dal 2003 al 2007, l’anno in cui sono cominciate le prime avvisaglie di chiusura e si è accorto che i tempi di percorrenza erano aumentati: si è passati dalle cinque ore del 2003 alle sei ore del 2007. Qui si può leggere un’analisi dettagliatissima in cui emergono tutti i motivi che hanno fatto morire la ferrovia più bella d’Italia.

La sosta a Pescocostanzo, in provincia dell’Aquila, gennaio 2017. (Andrea Falcon)

Federico Pace autore di La libertà viaggia in treno, massimo esperto e amante del viaggio su rotaia ha attraversato in lungo e in largo la penisola ed è stato uno degli ultimi passeggeri della famosa tratta appenninica. “Presi il famoso treno Sulmona-Carpinone, poco prima della chiusura, per scrivere un reportage. Ricordo che c’era pochissima gente e un senso di malinconia dato dal paesaggio struggente, ma anche dall’assenza di vita umana. Del resto, questo è un tratto comune delle ferrovie appenniniche”. Riccardo Finelli è convinto che si tratti di una sfida: “La sfida longitudinale all’Appennino, l’intuizione ardita di un paese che trova la propria unità cucendo trasversalmente valli e curve altimetriche per preservare, con la circolazione di persone e cose, la fibra morale custodita nelle pieghe della sua spina dorsale”. “È proprio così”, dice ancora Federico Pace, “l’Italia è un paese dove, per andare da una sponda all’altra, dal Tirreno all’Adriatico, ti trovi sempre in difficoltà: la distanza è breve, ma è un po’ come entrare in un labirinto”.

Il far west abruzzese
Il triste destino della Sulmona-Carpinone non è un caso unico. Oggi sempre più linee ferroviarie regionali o secondarie, come la Ferrovia del Sud–Est in Puglia, sono a rischio chiusura: diminuiscono le corse, gli orari sono dilatati, le coincidenze spariscono, mentre nel frattempo si investe nel servizio su gomma. Alcune tratte vengono lasciate lentamente morire grazie a investimenti controproducenti e poca lungimiranza delle regioni.

A questo penso mentre il nostro treno prosegue per il suo percorso, in molti si sporgono pericolosamente per fare foto dai finestrini, io preferisco godermi questa sensazione di salire verso il cielo bianco guardando la cresta della Maiella. Oppure osservare paesini che spuntano nel mezzo di questo far west abruzzese; poi di nuovo volare in picchiata verso il basso, quando il buio ormai ha avvolto l’antico treno che prosegue fiero fino a Sulmona. Per un attimo puoi chiudere gli occhi e pensare di essere ancora sulla leggendaria “Napoletana”. E dimenticare quel puzzolente regionale che dovrai prendere per tornare a casa.

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