L’inflazione è al 138 per cento su base annua. (Luis Robayo, Afp)

Stremati dall’inflazione e delusi dai politici, gli argentini andranno alle urne il 22 ottobre per il primo turno delle elezioni presidenziali.

Gli argentini faticano a capire perché il loro paese, la terza economia dell’America Latina, ricco di risorse naturali, abbia un’inflazione tra le più alte del mondo (il 138 per cento su base annua), un tasso di povertà del 40 per cento e un debito fuori controllo.

Javier Milei, un economista ultraliberista che vuole tagliare drasticamente la spesa pubblica e aprire al dollaro, Patricia Bullrich, un’ex ministra di destra che promette il pugno di ferro contro i professionisti dello sciopero e i delinquenti, e Sergio Massa, ministro dell’economia di centrosinistra convinto che il peggio sia passato, sono i principali candidati.

“Non cambierà nulla”, afferma Pedro Maidana, un pensionato di 63 anni di Buenos Aires. “Nessuno dei candidati mi convince”.

In base alla media di circa trenta sondaggi, Milei è in testa con il 35 per cento delle intenzioni di voto, contro il 30 per cento di Massa e il 26 per cento di Bullrich.

Due candidati minori, Myriam Bregman (sinistra radicale) e Juan Schiaretti (centro) si fermano sotto il 4 per cento.

Circa dodici milioni di argentini vivono in condizioni di povertà, con un reddito familiare medio di 124mila pesos (340 dollari).

Oltre a un’inflazione al 138 per cento, non si riesce ad arrestare la svalutazione della valuta nazionale, che in due anni è passata da 99 pesos a 365 pesos per un dollaro.

“C’è una perdita di potere d’acquisto generalizzata”, afferma Leopoldo Tornarolli, del Centro di studi distributivi, sociali e del lavoro di La Plata.

“L’idea di poter comprare una casa, che per i nostri genitori era scontata, è un’utopia”, dice Valentín Figarra, uno studente di 20 anni.

“I parassiti della casta”

Le elezioni segnano un punto di svolta, con il calo dei consensi dei due blocchi che hanno dominato la politica argentina negli ultimi vent’anni: una coalizione peronista di centrosinistra, al potere dal 2003 al 2015 e dal 2019 a oggi con il presidente uscente Alberto Fernández, e un blocco di centrodestra al potere dal 2015 al 2019 con Mauricio Macri.

La rabbia degli argentini ha il volto di Javier Milei, un economista di 52 anni che due anni fa è passato dagli schermi televisivi alla politica attiva, apprezzato soprattutto dai giovani e dai più poveri per la promessa di eliminare “i parassiti della casta”.

“Non deve restarne uno”, ha tuonato Milei nel comizio di chiusura della sua campagna elettorale, il 18 ottobre, davanti a quindicimila sostenitori entusiasti.

“In molti paesi sudamericani c’è una tendenza all’indebolimento dei partiti tradizionali e all’emergere di forze antisistema”, spiega Michael Shifter del gruppo di esperti Inter-American dialogue.

Comunque vadano le elezioni, c’è grande preoccupazione per il futuro.

La “dollarizzazione” auspicata da Milei è stata contestata da 170 economisti di varia estrazione in un manifesto che parla di “miraggio” dagli enormi costi sociali.

Massa non prevede una rapida uscita dall’inflazione, ma una serie di aggiustamenti graduali concordati con il Fondo monetario internazionale (Fmi).

Bullrich, legata all’ex presidente Macri, evoca il ricordo della crisi nel 2018-2019, quando il governo aveva dovuto chiedere all’Fmi un prestito da 44 miliardi di dollari, che ora fatica a ripagare.

Per essere eletto al primo turno, il primo classificato deve ottenere almeno il 45 per cento dei voti, oppure il 40 per cento con un vantaggio del 10 per cento sul secondo classificato.