Karim Sahib, Afp

I circa cento paesi favorevoli all’abbandono dei combustibili fossili, tra cui quelli dell’Unione europea e gli stati insulari, stanno cercando di raggiungere un difficile accordo il 12 dicembre nell’ultimo giorno della Conferenza delle Nazioni Unite sul clima Cop28 in corso a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. Ma l’Arabia Saudita e l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec) continuano a opporsi.

La scadenza delle 7 gmt del 12 dicembre fissata la scorsa settimana dal presidente della Cop28 Sultan al Jaber è trascorsa senza che si sia trovato un accordo, come molti negoziatori si aspettavano.

L’ultima bozza di accordo messa sul tavolo l’11 dicembre da Al Jaber è considerata troppo debole dall’Unione europea, dagli Stati Uniti, dagli stati insulari e da molti paesi sudamericani.

Il documento di ventuno pagine lascia ai firmatari dell’accordo di Parigi del 2015 la libertà di scegliere come “ridurre” l’uso dei combustibili fossili, senza imporre obblighi.

Non fissa alcun obiettivo di “eliminazione graduale” del petrolio, del gas e del carbone, come prevedevano le versioni precedenti.

“Il testo è inaccettabile e ben lontano dall’ambizione che serve per mantenere le nostre isole al di sopra del livello del mare”, ha dichiarato il 12 dicembre Joseph Sikulu, responsabile dell’ong 350.org per la regione del Pacifico. “È un insulto a chi è venuto fin qui a lottare per la propria sopravvivenza”.

L’Unione europea considera l’ultima bozza “insufficiente” e gli Stati Uniti chiedono un “rafforzamento sostanziale”.

I negoziatori europei si sono riuniti il 12 dicembre per coordinare gli sforzi e cercare di rendere il testo più vincolante.

Una nuova bozza di accordo dovrebbe essere presentata in giornata, ma l’adozione di un testo storico che sancisca l’uscita graduale dai combustibili fossili appare molto improbabile.

Una minoranza di paesi produttori di idrocarburi, guidata dall’Arabia Saudita, si oppone infatti a qualunque testo che prenda esplicitamente di mira la loro principale fonte di reddito.

Nelle conferenze delle Nazioni Unite sul clima i testi sono adottati per “consenso”, un concetto diverso dall’unanimità, in quanto non c’è una vera votazione, e giuridicamente poco definito, ma che teoricamente consente anche a un singolo stato di opporsi.

“Menu à la carte”

Ong ed esperti denunciano una bozza di accordo che si presenta come una “lista della spesa” o un “menu à la carte” che mette sullo stesso piano lo sviluppo delle tecnologie solari, eoliche, nucleari, dell’idrogeno e della cattura dell’anidride carbonica.

Queste ultime, ancora allo stato embrionale, sono molto apprezzate dai paesi produttori di petrolio e dall’industria dei combustibili fossili, ma avranno un impatto limitato in questo decennio cruciale.

Tutti gli occhi sono puntati sugli Stati Uniti e la Cina, i due paesi con le maggiori emissioni di gas serra al mondo (insieme raggiungono il 41 per cento del totale). L’11 dicembre l’inviato cinese non ha rilasciato dichiarazioni pubbliche.

A novembre le due superpotenze hanno concordato di non parlare di “eliminazione graduale” dei combustibili fossili, ma hanno sottolineato l’importanza dello sviluppo delle energie rinnovabili per poterli gradualmente sostituire.