Dopo quattro anni di lavoro collettivo è stato pubblicato il rapporto dell’organizzazione internazionale per il progresso sociale (Ipsp), gruppo che riunisce accademici e intellettuali convinti che una società più giusta è possibile.
L’idea è nata nel 2013: chiamare a raccolta i principali studiosi di economia e scienze sociali di tutto il mondo per analizzare il grado di sviluppo della società globale e individuare come accelerare e generalizzare il progresso.“Possiamo aspirare a una società più giusta? Le scienze sociali non hanno mai avuto così tanti strumenti per rispondere, in virtù dei progressi degli ultimi sessant’anni”.
Nasce così l’International panel for social progress (Ipsp, la sua prima riunione si è tenuta nel giugno 2014 a Parigi), gruppo presieduto dal premio Nobel per l’economia Amartya Sen e diretto da un comitato di indirizzo di cui fa parte anche l’economista francese e professore all’università di Princeton Marc Fleurbaey.
“Dal secondo dopoguerra la situazione nel mondo è migliorata”, ammette Fleurbaey, ma la convinzione è che la ventata regressiva degli ultimi anni si possa considerare come effetto di “errori di governance”.
Dalla sua fondazione, l’Ipsp ha riunito circa trecento studiosi, che hanno contribuito a produrre il rapporto multidisciplinare in tre volumi intitolato Rethinking society for the 21st century, pubblicato da Cambridge University Press e riassunto nel Manifesto for a social progress.
Strategie diverse
Il concetto di progresso sociale oggetto del volume ne offre la descrizione più ampia possibile, e non si troverà una visione unica sulle strategie da adottare. “Il primo passo è stato riconoscere che non potevamo essere tutti d’accordo”, spiega Fleurbaey.
Variando punto di vista a seconda delle discipline, gli autori indagano le tendenze che caratterizzano le istituzioni fondanti della società (come il governo, il mercato, il welfare), alla ricerca dei modi in cui riformarle. La sfida è pensare una società più giusta, più equa e più sostenibile, come spiega uno degli autori del volume, il filosofo statunitense Henry S. Richardson, sul quotidiano francese Le Monde.
L’Ipsp vuole restare indipendente dalla politica, ma il suo appello si rivolge a governi, organizzazioni e movimenti.
Secondo i promotori, immaginare il progresso nel ventunesimo secolo significa innanzitutto imparare dagli errori del passato, ma anche riscoprire modelli che hanno ancora qualcosa da insegnare, come quello scandinavo.
“Lo spiego con un esempio” ha detto Marc Fleurbaye al quotidiano spagnolo El Periodico. “Un cittadino sovietico emigrato negli Stati Uniti una volta disse che in Unione Sovietica vigeva la democrazia sul lavoro e la dittatura nel sistema politico, mentre gli Stati Uniti erano politicamente democratici ma dittatoriali sul posto di lavoro. L’Ipsp vuole la democrazia in entrambe le parti. Continueremo a essere capitalisti, ma con la concertazione tra le parti sociali e seguendo un modello decentralizzato, il che ci permetterà di risolvere uno dei problemi maggiori del capitalismo, ovvero la dittatura del lavoro. Questo sì che è un cambiamento!”.
La giornalista Sofie Wolthers ha raccontato il processo di fondazione dell’Ipsp e i valori che lo animano in un documentario intitolato A new society.
I nomi degli studiosi che hanno aderito all’Ipsp e contribuito al rapporto Rethinking society for the 21st century sono sul sito dell’Ipsp.
Sullo stesso sito è scaricabile una scheda che riassume i contenuti del rapporto.
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