25 gennaio 2019 18:43

James Blake, Assume form
Quando James Blake ha pubblicato il suo disco d’esordio nel 2011 sembrava un artista in grado di cambiare il panorama del pop elettronico. E un po’ in effetti l’ha cambiato. Canzoni come Limit to your love (in realtà una cover di Feist) e The Wilhelm scream sono diventate subito dei piccoli classici. Il suo modo di alternare atmosfere dolci a bassi potenti, di giocare con i silenzi e con la sua voce soul hanno influenzato la musica leggera britannica e statunitense, dando il via libera a una schiera di imitatori, da Sam Smith in poi.

Eppure da quel momento, nonostante gli attestati di stima dei colleghi e le tante collaborazioni di prestigio (tra le ultime la colonna sonora di Black panther con Kendrick Lamar, che l’ha voluto anche come spalla per il suo tour europeo), Blake si è un po’ perso per strada. Ogni disco successivo sembrava più annacquato del precedente. Overgrown, a parte il grandioso singolo Retrograde e un altro paio di pezzi, era un disco dalla qualità discontinua, mentre The colour in anything era troppo lungo e stucchevole.

Con Assume form, il suo terzo lavoro, Blake ha cercato di mettere a frutto le varie collaborazioni di questi anni. E voleva evidentemente registrare un lavoro più vivace e vario rispetto agli altri, viene da dire più solare. In effetti l’album gioca con i generi molto di più rispetto al passato e spuntano fuori il trapper Travis Scott, Andre 3000 degli Outkast, ma anche la popstar spagnola Rosalía, che rende intrigante Barefoot in the park.

Purtroppo anche stavolta l’ispirazione langue. Assume form è costruito in modo impeccabile, con arrangiamenti raffinati, ma che corre a vuoto. I pezzi più ambiziosi come Mile high e Where’s the catch, dove la virata verso il rap è più evidente, non vanno a segno, così come il soul glaciale Tell them (dove c’è un altro grande ospite, Moses Sumney).

Va meglio quando Blake canta da solo: il pezzo d’apertura che dà il titolo al lavoro è il migliore dell’album, Can’t believe the way we flow è una canzone d’amore gioiosa e gioca con un campionamento del gruppo vocale The Manhattans. Ma in generale James Blake sembra avere più qualcosa da dimostrare che qualcosa da dire. Peccato, forse per il futuro il cantautore britannico avrebbe bisogno di un produttore in grado di fargli tirare fuori quello che avevamo ascoltato agli esordi. Un periodo che ormai comincia a essere lontano nel tempo.

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Deerhunter, Nocturne
Nel 2005 Renzo Arbore lanciò Meno siamo, meglio stiamo!, un programma in seconda serata che rendeva omaggio alla televisione di una volta. I Deerhunter vengono da Atlanta e non c’entrano niente con Arbore, però quando ho letto il comunicato stampa del loro ultimo disco, Why hasn’t everything already disappeared?, ho pensato ad Arbore. Nel comunicato, scritto probabilmente dal leader della band, Bradford Cox, il gruppo si chiede se abbia ancora senso pubblicare album in quest’epoca dove “la curva dell’attenzione è ridotta quasi allo zero”. “È rilevante? Forse solo per un pubblico ristretto”, è la loro risposta.

È per questo probabilmente che Why hasn’t everything already disappeared?, soprattutto nella seconda parte, è un disco molto libero e disinibito, che porta i Deerhunter a uscire un po’ dalla forma canzone, in particolare nel pezzo conclusivo Nocturne, nel quale la voce di Cox è spezzata, quasi interrotta. Nella seconda parte del brano si apre una lunga coda strumentale prog e orientaleggiante. Ci sono altri pezzi notevoli in questo disco, a partire da Death in midsummer. Il nuovo album dei Deerhunter non scalerà le classifiche, ma piacerà tanto ai fan, perché la band statunitense ha fatto esattamente quello che voleva senza cercare di arruffianarsi nessuno. Pochi ma buoni, come insegna Arbore.

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Vampire Weekend, Harmony Hall
I Vampire Weekend sono di New York e non potrebbero venire da nessun’altra parte. Gli studi alla Columbia vengono fuori ciclicamente nelle loro canzoni. Per esempio, in questo nuovo singolo – che come al solito suona come un seguito contemporaneo di Graceland di Paul Simon – viene citato l’Harmony Hall, il dormitorio che ospita gli studenti dell’università.

Da buoni newyorchesi ben istruiti e un po’ hipster, i Vampire Weekend sono turbati per il clima che si respira nel loro paese (“Anger wants a voice, voices wanna sing”), nelle scuole e nelle strade. Ed è per questo che la canzone è molto meno spensierata di quello che potrebbe sembrare. Non fatevi ingannare dai coretti e da quelle soffici chitarre acustiche, i Vampire Weekend sono preoccupati. Il brano anticipa Father of the bride, il nuovo disco atteso nei prossimi mesi.

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Tre Allegri Ragazzi Morti, C’era un ragazzo che come me non assomigliava a nessuno
È rassicurante sapere che ogni due o tre anni esce un album dei Tre Allegri Ragazzi Morti. Per la voce di Davide Toffolo, per i giri di basso di Enrico Molteni e per la batteria di Luca Masseroni e per quella sensazione di eterna giovinezza che si respira nelle canzoni del trio di Pordenone. Sindacato dei sogni è il loro disco più rock da un po’ di tempo a questa parte (il titolo è un omaggio ai Dream Syndicate). Molto più rock di Inumani e di Primitivi del futuro, lo splendido album del 2010 che ha dato una forte spinta alla seconda parte della loro carriera.

Sindacato dei sogni è un disco nostalgico e sincero, di una band che è consapevole di quello che sa fare e lo fa bene, senza girarci troppo intorno. Senza inventarsi soluzioni strane, come se fosse in sala prove. Per ora il pezzo che mi piace di più, a partire dal titolo, è l’adolescenziale C’era un ragazzo che come me non assomigliava a nessuno. Mezzo voto in più per l’assolo di sax di Francesco Bearzatti.

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Flamingo Pier, Hold it
L’8 febbraio dall’etichetta Soundway Records è in arrivo un interessante ep di musica dance che ci porta in territori afrocentrici. I Flamingo Pier sono un collettivo di Londra. Organizzano feste nell’est della capitale britannica e un festival in Nuova Zelanda che a giudicare dalle foto si tiene in un posto niente male.

Del nuovo ep del collettivo si sono occupati i dj Luke Walker, Dominic Jones e Bradley Craig. Le influenze sono tante, dal boogie alla musica africana, dal soul alla house.

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P.S. Playlist del 2019 aggiornata, buon ascolto!

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