10 novembre 2018 19:16

Rosalía, Malamente
Una delle cose buone che ha fatto internet è quella di aver scardinato almeno in parte il dominio dell’estetica occidentale/statunitense sui gusti dell’ascoltatore medio di musica pop. Al momento questo processo è appena cominciato, ma probabilmente tra dieci anni, o anche prima, le cose saranno cambiate radicalmente.

Oggi è più facile che un disco colombiano, giapponese o, come in questo caso, spagnolo possa imporsi anche al di fuori dei confini nazionali. Un caso in grado di fare scuola è quello della catalana Rosalía, che con il suo secondo album El mal querer sta raccogliendo recensioni entusiaste dalla stampa di mezzo mondo, da Pitchfork al Guardian, e si è portata a casa cinque nomination ai Latin grammy.

Il successo mondiale delle canzoni in lingua spagnola (alle quali in Italia siamo abituati da tempo, soprattutto d’estate) non è certo una novità. E sicuramente il fatto che negli Stati Uniti gli ispanici siano arrivati a quota 52 milioni è un fattore. Ma la forza di Rosalía prescinde anche da queste considerazioni: i suoi brani sono splendidi. La ragazza prende un genere tipicamente spagnolo come il flamenco e lo modernizza con invidiabile gusto pop e con una scelta degli arrangiamenti impeccabile.

In El mal querer, prodotto dalla stessa Rosalía insieme a Pablo “El Guincho” Díaz-Reixa (già collaboratore di Björk), si alternano momenti di flamenco quasi tradizionale (Que no salga la luna è bella da far tremare i polsi) ad altri più rnb come Pienso an tu mirá e Bagdad (in quest’ultimo pezzo la voce della cantante è satura di autotune). Questa non è musica fatta solo per fare record su YouTube in stile Despacito. El mal querer è un concept ispirato alla trama della Flamenca, un romanzo anonimo del duecento, e ogni canzone racconta una parte della storia. Anche l’estetica dei video di Rosalía, che giocano con l’iconografia spagnola un po’ come i video di Liberato giocano con quella napoletana (e infatti c’è già chi accusa Rosalía di non essere abbastanza “autentica”, buon per lei, vuol dire che ha fatto centro) fa perfettamente parte del gioco.

El mal querer è un piccolo saggio di cos’è oggi il pop globale di qualità. È un disco anche coraggioso, perché si permette di chiudere con un brano a cappella come A ningún hombre. A tratti è sicuramente paraculo e s’intuisce che è stato supportato da un discreto investimento a livello promozionale (dietro c’è la Sony). Ma funziona, eccome se funziona.

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Daughters, City song
Un po’ in sordina, in questi giorni è uscito uno dei dischi “rock” più interessanti degli ultimi mesi. Si tratta di You won’t get what you want dei Daughters, gruppo noise di Providence, Rhode Island, che era fermo discograficamente da otto anni.

Mescolando rock, metal e industrial, i Daughters hanno creato un album che sembra figlio delle paranoie dei Birthday party di Nick Cave e delle atmosfere care ai Jesus Lizard. Batteria marziale, testi minimalisti e forti come coltellate (l’ossessivo verso “This city is an empty glass” di City song è memorabile nella sua semplicità) e atmosfere da fine del mondo. You won’t get what you want si ascolta tutto d’un fiato, come una lunga corsa al buoi verso gli scogli. Se vi piace la musica cupa, per voi questo disco sarà una pacchia.

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Salmo, Stai zitto (feat. Fabri Fibra)
Ci vorrà qualche giorno per metabolizzare Playlist, il nuovo disco di Salmo (protagonista di una bella intervista sulla copertina di Rolling Stone). Perché, come s’intuisce dal titolo, è un album vario e discontinuo per scelta. E questo è un fatto inedito nella discografia del rapper di Olbia, che ha sempre impostato i suoi lavori come dei concept, seguendo un preciso filo conduttore musicale e iconografico.

Playlist è tutto il contrario: un album mordi e fuggi, con pezzi che spesso parlano del qui e ora. È il suo album più politico, come già si era capito dal singolo 90MIN, flirta con la trap ma non la abbraccia (In Cabriolet spunta fuori Sfera Ebbasta e quasi si prende in giro da solo citando Mr.Thunder). Ma il giochino di affiancare le due generazioni di rapper in questo caso non funziona e finisce per mandare fuori strada anche lo stesso Salmo. Il pezzo migliore, per il momento, è Stai zitto, arricchito da un featuring stellare di Fabri Fibra, e che ha uno dei versi migliori di Playlist: “Se parlo poco è perché ho il chiasso dentro”. Ma anche Lunedì, il brano finale che cita XXXTentacion (del quale parliamo poche righe sotto) sembra di alto livello.

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Objekt, Secret snake
Che suono farebbe una fusione tra uomo e macchina? Che disco ascolterebbe oggi J.G. Ballard in salotto, se fosse ancora vivo? Forse metterebbe Cocoon crush di Objekt, producer elettronico nato a Tokyo e cresciuto a Oxford, che nel suo ultimo lavoro tocca vette fantascientifiche di bellezza tecno.

Questi brani starebbero bene dentro un film del Cronenberg dei bei tempi. Non so perché, mi fa tornare un po’ in mente il periodo in cui Mark Pritchard pubblicava dischi sotto lo pseudonimo Harmonic 313 per la Warp.

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XXXTentacion, Bad
Brutta storia, quella del rapper XXXTentacion. Jahseh Dwayne Ricardo Onfroy, questo il suo vero nome, era nato a Plantation, in Florida, nel 1998 ed è morto a giugno a soli vent’anni in seguito a una sparatoria. Nei pochi anni in cui ha vissuto ha collezionato arresti, pesanti accuse di violenza domestica e altri crimini.

Se proviamo, con fatica, a separare l’aspetto umano da quello artistico (da queste parti lo facciamo, anche se capisco che può dar fastidio) e ci concentriamo solo sulle canzoni, possiamo dire che i pezzi di XXXTentacion erano ottimi, sicuramente tra i migliori dell’ondata del Soundcloud rap. In particolare Look at me!, uscita nel maggio del 2017, affascina ancora oggi per la sua profonda oscurità e nichilismo. Il disco postumo di XXXTentacion, intitolato Skin, uscirà il 7 dicembre e questo è il primo singolo. L’annuncio è arrivato quasi in contemporanea con l’uscita di Come over when you’re sober, pt. 2 di Lil Peep un altro disco postumo di un rapper morto giovane.

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P.S. Playlist aggiornata, buon ascolto!

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