04 luglio 2019 16:33

Dele Sosimi ha cominciato a suonare con Fela Kuti a 16 anni. Oggi ne ha 56 e porta avanti la tradizione del grande pioniere dell’afrobeat. Sosimi, tastierista cresciuto tra Londra e la Nigeria, è seduto al caffè Savoia, un bar che si affaccia sulla piazza centrale di San Vito Lo Capo, sulla punta nordoccidentale della Sicilia. Sono le cinque del pomeriggio e fa molto caldo. I turisti e gli abitanti del posto sono ancora quasi tutti in spiaggia, mentre gli organizzatori di Mondo sounds preparano il palco per il concerto serale. Il musicista sta per salire sul palco ed è uno degli ospiti più attesi del festival.

“Quando ho incontrato Fela Kuti per la prima volta avevo 15 anni. Andavo a scuola con suo figlio, Femi, e facevamo le cover delle canzoni di Fela. Un giorno alla fine di un concerto gli ho detto che volevo suonare con lui. All’inizio è rimasto sorpreso, poi mi ha risposto: ‘Perché no?’”, racconta Sosimi. “Da quel giorno ho cominciato ad andare tutte le sere alle prove del gruppo. Piano piano ho imparato tutti i pezzi e ogni tanto ai concerti lui mi faceva salire sul palco per fare due o tre brani. Quando ho finito le superiori, alla fine degli anni settanta, sono entrato stabilmente nella sua band, gli Egypt 80”, prosegue.

L’esperienza con Fela Kuti, musicista e attivista famoso per il suo impegno politico e l’opposizione al regime militare nigeriano, per Sosimi è stata molto formativa: “Lui aveva un orecchio incredibile. Capiva i tuoi punti di forza e le tue debolezze in un secondo. E voleva che tu suonassi esattamente quello che ti chiedeva, non una nota in più, non una di meno. Era molto esigente, ma anche stimolante”.

Sono tanti gli aneddoti che ricorda degli anni passati in tour in giro per il mondo. Mentre mangia un gelato al pistacchio di Bronte, con il quale cerca di combattere il caldo, racconta: “Non posso dimenticarmi quando Fela fu arrestato a Milano nel 1984. Qualcuno che lavorava per il governo nigeriano cercò d’incastrarlo e aggiunse ai suoi bagagli da imbarcare delle valigie piene di marijuana. Ma fu fortunato: il giorno che dovevamo partire tutte le sue scarpe erano state imbarcate per sbaglio e lui era scalzo. Per la religione tradizionale africana se devi partire per un viaggio importante e non hai le scarpe significa che ti aspetta una brutta sorte. Quindi lui decise che prima le scarpe dovevano essere tirate fuori dalla valigia e solo dopo sarebbe partito, e noi con lui. Il pilota dell’Alitalia si rifiutò di aspettarlo e fece partire il volo per Milano”.

Dele Sosimi al festival Mondo sounds, San Vito Lo Capo, il 29 giugno 2019. (Mondo sounds)

“Quando i bagagli con dentro l’erba arrivarono in Italia, Fela ovviamente non c’era”, prosegue Sosimi, “nel frattempo eravamo partiti con il volo successivo, facendo scalo ad Amsterdam, e quando arrivammo nei Paesi Bassi il promoter lo chiamò per dirgli che se fosse andato in Italia lo avrebbero arrestato. Lui, tosto come al solito, rispose: ‘Io non faccio lo spacciatore, quell’erba non è mia. Ma non resto qui. Vado in Italia a difendere il mio nome’. A Milano la polizia entrò in hotel e arrestò tutti. Fela assunse un avvocato e si difese, accusando il governo nigeriano di averlo incastrato. Uscì dal carcere dopo due giorni, facendo i complimenti alle prigioni italiane per le condizioni in cui si era trovato. Era abituato alla Nigeria, figuriamoci”.

Poche ore dopo questo racconto, Dele Sosimi sale sul palco insieme alla sua Afrobeat Orchestra, della quale fanno parte musicisti nigeriani, somali, britannici, cubani e non solo, e con un ospite speciale, il trombettista siciliano Roy Paci. E tutte queste storie sembrano venire fuori nella sua musica: suona brani come E go betta, pubblicata nell’album del 2015 You no fit touch am, e Different category, un inedito che farà parte del prossimo album in arrivo verso le fine del 2019. Brani militanti, come quelli del maestro, che mescolano la tradizione africana con il funk e il jazz. In scaletta c’è spazio anche per brani di Fela Kuti, come Ikoyi blindness e l’indimenticabile Opposite people, regalata al pubblico durante il bis.

Cumbia al tramonto
Durante Mondo sounds si sono vissute diverse esperienze come questa. Il festival – organizzato da due produttori musicali siciliani, Francesca Perricone e Fabio Rizzo, con la collaborazione del comune di San Vito Lo Capo – si è tenuto dal 28 al 30 giugno. E ha fatto atterrare come un’astronave una piccola utopia mondialista e tropicale in un paese che di solito fa del turismo il suo principale punto di forza. Un’utopia diventata realtà a due passi dal mare, grazie a un crocevia di musiche a cavallo tra Africa, America Latina e Sicilia, e al netto di qualche problema organizzativo che si può perdonare a chi mette in piedi per la prima volta un evento del genere. Si spera che l’anno prossimo il Mondo sounds possa attirare un pubblico ancora più ampio, perché il programma era di ottimo livello.

Il festival sulla spiaggia, San Vito Lo Capo, il 30 giugno 2019. (Mondo sounds)

Oltre all’esibizione di Sosimi, c’è stato almeno un altro momento memorabile: il concerto di Chancha Via Circuito, artista argentino che fonde con grande originalità cumbia ed elettronica.

Lo show, che si è tenuto il 30 giugno sul palco Antropico, appena fuori dal paese, si è svolto in condizioni ideali: al tramonto, con il monte Cofano sullo sfondo, in uno scenario perfetto per amplificare le suggestioni andine di Chancha Via Circuito, al secolo Pedro Canale, sul palco con un percussionista e la compagna Heidi Lewandowski, in arte Kaleema. Il producer argentino ha suonato brani come la splendida Ilaló e la più ritmata Sierra Nevada, estratti dal suo ultimo album Bienaventuranza.

Il festival ha offerto anche altro: la drum and bass dei giovani palermitani emigrati a Londra Stoner & Ethik, che sono riusciti a far meglio del più titolato Roni Size, apparso un po’ sottotono rispetto alle attese. E poi il cantautorato di Alessio Bondì, che usa il siciliano come una lingua universale.

La forza del Mondo sounds è stata quella di non far sembrare fuori posto nessuno di questi artisti. Di aver abbattuto steccati di genere che sono sempre più anacronistici, accogliendo gli spettatori con un’ospitalità sincera che non capita di trovare a tutti gli eventi del genere. “Non mi capita spesso di essere ospitato da persone così gentili e rispettose della musica”, confessava Chancha Via Circuito la notte del 30 giugno, mentre tornava in albergo trascinando la valigia con dentro gli strumenti. Un parere condivisibile. Il Mondo sounds è un festival giovane, ma merita fiducia.

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