24 settembre 2018 17:05

Il rapporto con le sue radici è qualcosa di complicato per Harry Gruyaert. Nato ad Anversa nel 1941, a poco più di vent’anni lascia il Belgio per trasferirsi a Parigi. Negli anni sessanta lavora già come direttore della fotografia per la televisione fiamminga, ma per Gruyaert il Belgio è un posto rigido e soffocante da cui fuggire. Vuole viaggiare, fotografare, scoprire nuovi orizzonti culturali. Alla fine degli anni settanta ha già vissuto e lavorato in mezzo mondo: Egitto, Marocco, Stati Uniti, India, Giappone. È a questo punto che si sente pronto a tornare in Belgio; ha raggiunto il giusto distacco ed è capace di guardare il paese con occhi nuovi.

Gruyaert non si considera un fotogiornalista, preferisce un approccio formale e pittorico. “Non ci sono storie. È solo una questione di luci e forme”, afferma in un’intervista di qualche anno fa, ma nonostante questa posizione così definitiva sulla fotografia, in Roots riesce a cogliere perfettamente lo spirito e le atmosfere che caratterizzano il Belgio tra gli anni settanta e ottanta. Senza sentimentalismi e fotografando feste di paese, serate alcoliche in bar aperti fino all’alba, cerimonie religiose o paesaggi desolati, Gruyaert mette a fuoco una questione fondamentale nella storia del Belgio: la totale mancanza di un sentimento nazionale.

Le foto di Roots sono ora esposte alle gallerie Fifty one e Fifty one too di Anversa, fino al 3 novembre. Le due mostre accompagnano una nuova edizione del libro, rivista e ampliata.

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