Per la sua ventunesima edizione, il festival Fotografia europea di Reggio Emilia prende in prestito un frammento di Eraclito, “la natura ama nascondersi”. Con queste parole il filosofo greco poneva l’essere umano all’interno di un più vasto organismo, mettendo in collegamento tutti i viventi. Ognuno però con le proprie caratteristiche, e una percezione diversa della realtà, frammentata.

I lavori selezionati dai curatori Walter Guadagnini, Luce Lebart e Tim Clark parlano di storie di interconnessioni, tra occultamenti e scoperte, facendo del doppio il tema fondamentale della vita sulla Terra nell’era dell’antropocene.

In programma ci sono progetti più tipicamente legati al racconto dei cambiamenti climatici, come Permafrost di Natalya Saprunova, There’s no calm after the storm di Matteo de Mayda e The Shunyo Raja monographies di Arko Datto. Le loro foto documentano il rapporto distruttivo tra esseri umani e ambiente naturale, mostrandone le conseguenze ma anche soluzioni possibili per affrontare l’emergenza.

Trovano spazio anche lavori che si concentrano sull’osservazione dei legami con diversi aspetti della natura, cercando di andare oltre lo sguardo antropocentrico, come la mostra collettiva Sky album. 150 years of capturing clouds, Landscaping di Jo Ractliffe e Cloud physics di Terri Weifenbach. Inoltre, Fotografia europea ospita la prima retrospettiva italiana su Susan Meiselas, fotoreporter statunitense dell’agenzia Magnum, celebre per i reportage sulla rivoluzione sandinista in Nicaragua ma anche sull’industria del sesso, la violenza di genere e i diritti umani.

Il festival comincia il 26 aprile e nel weekend di apertura sono previste letture portfolio e concerti. Incontri e presentazioni di libri si terranno fino alla chiusura dell’evento, il 9 giugno.

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