Il 20 febbraio il primo ministro dell’Etiopia, Abiy Ahmed, ha ufficialmente avviato la produzione di elettricità della Grand ethiopian renaissance, la grande diga sul Nilo Azzurro. Il progetto, costato 4,2 miliardi di dollari, è al centro di una disputa lunga un decennio tra Egitto, Sudan ed Etiopia. Il Cairo l’ha più volte definito una seria minaccia alla fornitura idrica nazionale, il 97 per cento della quale arriva dall’Etiopia e attraversa l’Egitto fino al mar Mediterraneo.

In un comunicato il ministro degli esteri egiziano ha dichiarato che l’uso della diga per generare energia è “un’ulteriore violazione degli obblighi stabiliti dalla dichiarazione di princìpi del 2015”. Con quell’accordo, Addis Abeba, Khartoum e Il Cairo s’impegnavano a non intraprendere azioni riguardo alle acque del Nilo che potessero comportare un “danno significativo” agli altri.

L’Etiopia sostiene che il riempimento del bacino della diga in due fasi, nel 2020 e nel 2021, e il suo avvio ora non costituiscano un danno significativo. Una fonte ufficiale egiziana che ha chiesto di restare anonima ha spiegato che la dichiarazione del 2015 garantisce all’Etiopia il diritto di realizzare progetti sul Nilo Azzuro e si può fare poco per impedirglielo. Per trovare una soluzione servirebbe una “seria pressione internazionale”, che però è “improbabile”. Secondo i mezzi d’informazione di stato etiopi, la diga ha cominciato a produrre 375 megawatt di elettricità da una delle sue turbine. Una volta completata, l’infrastruttura dovrebbe produrre cinquemila megawatt di elettricità.

Un ostacolo dopo l’altro

Dopo il 2015 i negoziati trilaterali si sono sempre più inaspriti. Nel 2020 un breve giro di trattative è stato mediato dagli Stati Uniti, poi è subentrata l’Unione africana. Nel 2021 le richieste del Cairo e di Khartoum si sono concentrate su un accordo legalmente vincolante per il riempimento e il funzionamento della diga, e i negoziati si sono scontrati con un ostacolo dopo l’altro.

Inoltre, dopo lo scoppio della guerra tra il governo federale dell’Etiopia e le autorità regionali del Tigrai alla fine del 2020 e il colpo di stato che nell’ottobre 2021 ha fatto naufragare la transizione verso la democrazia in Sudan, i negoziati sulla diga sono passati in secondo piano. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1449 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati