La neve ricopre la strada che stiamo percorrendo e, vorticando intorno a noi, forma uno strato sempre più spesso sui finestrini e sul parabrezza del nostro mezzo. Mentre il mondo di fuori sparisce nel bianco, restano solo le panche di questo ex lanciarazzi adattato per trasportare i turisti all’ingresso di un tunnel che conduce all’interno del ghiacciaio. Il veicolo pesa venti tonnellate ed è piuttosto potente, come s’intuisce dal rumore che produce. La guida è costretta a ricorrere al microfono per descriverci il panorama nascosto dalla neve: qui un fiume, lì un ponte, qui ghiaia, lì detriti. E poi uno dei pochi boschi islandesi, con le betulle che arrivano fino a quattro metri di altezza.

Noi non riusciamo a vedere niente e abbiamo l’impressione di dirigerci verso il nulla, su una strada non asfaltata – il Kaldidalur, cioè strada della valle fredda – tra le più antiche dell’isola. Il punto di partenza del nostro viaggio in queste bianche profondità è la cittadina di Húsafell, un tempo ritrovo di artisti. È nell’ovest dell’Islanda, a un’ora dal mare e a due ore da Reykjavík. Largo venti chilometri e lungo 55, il Langjökull è per dimensioni il secondo ghiacciaio islandese e il quarto al mondo. Inoltre, essendo il più vicino alla capitale, è la meta di molti islandesi per le gite del fine settimana e per le escursioni nel ghiaccio.

Da alcuni anni in Islanda aumenta l’offerta di attività sul ghiaccio. Del resto, circa il 10 per cento del territorio è ricoperto da ghiacci perenni. Il programma di oggi – viaggio con l’ex lanciarazzi e passeggiata nel tunnel artificiale di ghiaccio – è forse la variante meno impegnativa, anche se siamo muniti di ramponi e abiti pesanti. Dal bianco artico emerge una casa rossa, che compare anche in Katla, ci spiega la nostra guida Adrian Pop, dando per scontato che tutti conoscano la serie di Netflix. In effetti più del 39 per cento dei turisti stranieri dichiara di aver scelto l’Islanda dopo averne visti i paesaggi nei film e nelle serie. Katla prende il nome da uno dei vulcani più attivi del paese, nel sud dell’isola. Qui nel Langjökull sono state girate solo le scene in cui compare la casa rossa. Forse sarebbe meglio guardare quest’inquietante serie nordic-noir solo dopo essere stati qui: parla di un vulcano che erutta sotto un ghiacciaio generando cloni degli abitanti del villaggio, che rischiano un incontro ravvicinato con se stessi. Non sarebbe per niente rassicurante farsi venire fantasie come questa proprio ora.

Fuori è sempre tutto bianco, non si vede a un palmo dal naso. In Islanda le eruzioni vulcaniche fanno parte della quotidianità. L’ultima è avvenuta nella primavera del 2021 sul monte Fagradalsfjall, a trenta chilometri dalla capitale. Ma qui siamo al sicuro. In realtà sotto il Langjökull sono in agguato due vulcani attivi, che però non eruttano dall’epoca della colonizzazione dell’Islanda, nel nono secolo. In questa zona ci sono state solo 32 eruzioni negli ultimi diecimila anni.

C’è da sperare che la conducente ci veda meglio di noi. La sua cabina di guida è separata dal resto del veicolo, quindi lei parla solo via radio con la guida. Ma finché non si fa viva possiamo supporre che sia tutto a posto. In realtà la visibilità non è fondamentale, perché l’autista potrebbe anche affidarsi al gps, che conosce la collocazione dei crepacci: quando ne vengono scoperti di nuovi, gli addetti li inseriscono subito nel sistema. Il nostro veicolo è tenuto con gli pneumatici quasi sgonfi: sta praticamente scivolando. Proprio come il ghiacciaio, che è sempre in movimento e scorre a ritmo lentissimo. Purtroppo, però, il Langjökull si sta anche sciogliendo. Sui cartelli lungo la strada è segnata l’altezza della linea del ghiaccio nel corso degli anni. Nel campo base di Klaki, dove oggi si vedono solo detriti ricoperti da una sottile coltre di neve fresca, nel 1940 c’era ancora il ghiacciaio.

Superficie ridotta

Negli ultimi vent’anni i ghiacciai islandesi hanno perso il 7 per cento della loro superficie. Nel 2019 gli scienziati hanno inscenato il funerale del ghiacciaio di Okjökull, che da 38 chilometri quadrati si era ridotto a tre e aveva smesso di muoversi. Ora si chiama semplicemente Ok, perché non merita più la desinenza -jökull, che sta per ghiacciaio. Il ghiacciaio che stiamo attraversando ha 3.500 anni, ma potrebbe averne davanti tra i 50 e i 150 appena: dipende da quale previsione sul cambiamento climatico si realizzerà.

Arrivati quasi nel punto più alto, la guida libera l’ingresso del tunnel dalla neve caduta durante la notte. È il tunnel di ghiaccio più grande mai costruito, ma per evitare che il ghiacciaio lo inghiotta rapidamente va allungato ogni anno. C’incamminiamo all’interno di una coltre di ghiaccio dello spessore medio di 580 metri e scendiamo sempre più in basso. Almeno qui non nevica, non soffia il vento e la temperatura è intorno allo zero. Il tunnel penetra nel ghiaccio per ottocento metri, arrivando fino a trenta metri di profondità. È stato scavato da un trapano gigantesco. Si vede uno strato grigio dovuto all’eruzione dell’Eyjafjallajökull nel 2010 (la sua nube di ceneri portò alla chiusura degli spazi aerei e di vari aeroporti nell’Europa centrosettentrionale). La guida si diverte a insegnarci la pronuncia, ma solo l’unico islandese del gruppo riesce a dirlo correttamente. Gli altri momenti principali del tour sono la vista di un crepaccio dal basso e di un mulino glaciale, cioè un crepaccio orizzontale formato dall’acqua di disgelo. Se ti dovesse cadere il cellulare mentre scatti una foto, lo ritroveresti centinaia di metri più in basso.

A venti chilometri dal bordo del ghiacciaio, negli Húsafell Canyon Baths, il mondo appare completamente diverso. Immersi nel paesaggio o, meglio, immersi nell’acqua calda fino al collo, non ci curiamo più dell’inverno. Nel terreno sono state calate due piscine di pietra naturale e una casupola con docce e spogliatoio. L’Islanda è ricca di sorgenti calde. Intorno ad alcune sono stati costruiti stabilimenti termali, altre invece sono accessibili a tutti e immerse nella natura.

Vita sociale

Scaldarsi così fa parte della cultura islandese e anche nelle pozze calde, che i locali chiamano heitur pottur, si svolge la vita sociale: al calduccio pensionati, politici, amici e sconosciuti s’incontrano e a volte spet­tegolano. Inoltre, sembra che quest’acqua proveniente dal cuore della Terra abbia proprietà curative. Non è permesso fare il bagno ovunque: in alcune pozze la temperatura dell’acqua è troppo alta, mentre altre sono state dichiarate monumenti.

Dopo averlo ripulito dalla neve, sul cartello leggiamo Snorralaug. È la piscina di pietra, una delle prime tredici piscine d’acqua calda del paese e oggi una delle ultime quattro rimaste. Si trova proprio sulla strada provinciale per Húsafell, alle spalle di una chiesa moderna, un edificio appena costruito, e del museo Snorri, dal nome dell poeta, storico e politico Snorri Sturluson, uno degli islandesi più famosi in assoluto. Quasi mille anni fa passava il tempo con gli amici in questa piscina, magari parlando della storia dell’Islanda, come racconta lui stesso nella saga che scrisse.

Snorri non era solo un uomo influente, era anche una fucina d’idee: è stato scoperto un tunnel sotterraneo che stabiliva un collegamento diretto tra casa sua e la pozza. Oggi il calore proveniente dal sottosuolo serve a più cose: alcuni lo usano solo per scaldarsi, l’allevatrice di cavalli Hrafnhildur Guðmundsdóttir lo usa per cuocere il pane. La ricetta è appesa alla parete della sala comune del maneggio di Sturlureykir, perché tutti gli ospiti possano trascriverla e provarci da soli.

C’è scritto che in mancanza di una sorgente calda, si può ricorrere anche a un forno normale, cuocendo il pane a temperatura bassa per otto ore. Il forno di Guðmundsdóttir è sempre in funzione, perché i fenomeni di vulcanismo che avvengono sotto il suo terreno non prevedono interruzioni. Non essendo elettrico, inoltre, il forno non consuma neanche energia. A prescindere dal privilegio di avere una sorgente calda tutta per sé, c’è da dire che in Islanda gran parte dei sistemi di riscaldamento centralizzato sfruttano l’energia geotermica.

Per controllare se il pane è pronto, Hrafnhildur Guðmundsdóttir solleva una sorta di enorme coperchio posto direttamente sul terreno dietro alla casa. Dall’apertura tira fuori un contenitore in tetrapak, lo apre e annusa il pane di segale fresco: “Questa è l’unica novità rispetto alla ricetta di famiglia: infiliamo l’impasto nei cartoni del latte vuoti”.

Dal forno interrato esce del fumo, come da molti altri punti alle spalle della casa. Inizialmente pensiamo ci siano dei camini o dei falò, in realtà sono sorgenti calde: nella zona le si vedono fumare e le si sente ribollire ovunque. Situata sul circolo polare, l’Islanda è un paese freddissimo solo a prima vista, perché il calore è in agguato dappertutto, nei cortili sul retro di una casa come a più di cinquecento metri sotto i ghiacciai. ◆ sk

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1449 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati