Nel 2017 Peter Ley, un dipendente pubblico in pensione che vive a Londra, ha scoperto di avere un cancro al colon. L’asportazione chirurgica è riuscita, ma la chemioterapia ha causato una reazione così grave da richiedere un ricovero di due settimane e l’interruzione delle cure.

Tutto questo si sarebbe potuto evitare con un semplice test per analizzare un gene che codifica la diidropirimidina deidrogenasi (dpd), un enzima epatico che scompone vari antitumorali. Se la dpd è assente, i livelli tossici dei farmaci si accumulano nel corpo, a volte con esito fatale. La totale incapacità di produrre l’enzima è rara, ma il gene che lo regola può subire quattro mutazioni che ne limitano la produzione. A quanto pare, Ley ne aveva una.

Gli screening per i farmacogeni stanno cominciando a diffondersi. Negli Stati Uniti molti grandi ospedali testano i pazienti per analizzare una decina di questi geni. Altri progetti sono in corso in almeno sette paesi dell’Unione europea. Il servizio sanitario nazionale (Nhs) del Regno Unito effettua esami di questo tipo su alcuni pazienti a cui sono prescritti antitumorali e farmaci per l’hiv. Uno studio recente della British pharmacological society e del Royal college of physicians propone di estendere i test a quaranta farmaci tra i cento più prescritti su cui incidono i farmacogeni.

Le mutazioni possono influire sui farmaci in vari modi, determinandone l’efficacia, la tossicità, l’assorbimento e la scomposizione. Alcune varianti genetiche incidono su più farmaci contemporaneamente perché alterano gli enzimi presenti nelle vie metaboliche più usate. Dal progetto britannico “100,000 genomes” è emerso che quasi il 99 per cento delle persone ha almeno un farmacogene e il 25 per cento ne ha quattro. Il 9 per cento dei caucasici ha, come Ley, una carenza di dpd (nello 0,5 per cento dei casi l’enzima è del tutto assente). Nell’8 per cento dei britannici è inefficace l’analgesico codeina per l’assenza dell’enzima che la metabolizza e la converte in morfina.

Finora gli scienziati hanno individuato circa centoventi coppie di farmaci e geni. Secondo Henk-Jan Guchelaar, farmacologo dell’università di Leida, nei Paesi Bassi, in circa metà dei casi è possibile intervenire modificando la dose o sostituendo il farmaco per ottenere risultati migliori. Munir Pirmohamed, farmacologo e genetista dell’università di Liverpool, dice che i britannici con più di settant’anni hanno il 70 per cento di probabilità di assumere almeno un farmaco la cui sicurezza o efficacia è compromessa dai geni.

Oggi l’incompatibilità tra farmaci e geni è spesso gestita procedendo per tentativi, un metodo lento e potenzialmente rischioso. Nel caso, per esempio, di farmaci prescritti per la pressione o il colesterolo, in attesa del farmaco giusto possono verificarsi ictus, infarti o danni agli organi. Oltre che per i pazienti, le prescrizioni intelligenti sarebbero vantaggiose per l’intero sistema sanitario. Nel Regno Unito il 6,5 per cento dei ricoveri è legato a reazioni avverse ai farmaci.

L’ostacolo principale è economico. Nei Paesi Bassi un test per cinquanta farmacogeni costa circa duecento euro. Testare l’intera popolazione è quindi molto costoso. Tra qualche mese, quando saranno presentati i risultati dello studio Prepare, sapremo se vale la pena investire così tanto. Il progetto, coordinato da Guchelaar, ha analizzato le mutazioni che incidono su quarantadue farmaci in settemila pazienti di sette paesi europei. La metà dei partecipanti è stata testata e ha ricevuto l’elenco dei farmaci inefficaci. Guchelaar e gli altri ricercatori puntano a quantificare la riduzione delle reazioni avverse rispetto ai partecipanti non testati e, di conseguenza, i risparmi per il sistema sanitario.

L’analisi costi-benefici sarà essenziale per convincere governi e assicurazioni a investire sugli screening di massa. Nel frattempo le autorità sanitarie stanno cercando di capire se è meglio, per esempio, cercare i farmacogeni quando a un paziente è prescritto per la prima volta un farmaco a rischio, o testare tutti gli ultracinquantenni. L’Nhs sta valutando se effettuare uno screening completo su tutti i nuovi nati. Un giorno potrebbe tornargli utile. ◆ sdf

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Questo articolo è uscito sul numero 1457 di Internazionale, a pagina 103. Compra questo numero | Abbonati