Nel 2012 Liz Truss e Kwasi Kwarteng, due degli autori di un pamphlet intitolato Britannia unchained (Britannia liberata), usarono l’Italia come avvertimento. Servizi pubblici aumentati a dismisura, bassa crescita, scarsa produttività: il Regno Unito aveva gli stessi problemi dell’Italia e di altri paesi dell’Europa meridionale. Dieci anni dopo, nel tentativo fallito di tracciare una strada diversa, Truss e Kwarteng hanno contribuito a rendere il paragone inevitabile. Il Regno Unito continua a soffrire di una crescita deludente e di disuguaglianze regionali. Ma è anche frenato da una cronica instabilità politica ed è sotto il tiro dei mercati obbligazionari. Benvenuti in Britaly.

Il confronto tra i due paesi è inesatto. Tra il 2009 e il 2019 il tasso di crescita della produttività del Regno Unito è stato il secondo più basso del G7, ma quello dell’Italia è stato peggiore. La Gran Bretagna è più giovane e ha un’economia più competitiva. I problemi dell’Italia derivano, in parte, dall’essere nell’Unione europea; quelli del Regno Unito, in parte, dall’esserne fuori. Il confronto tra i rendimenti obbligazionari dei due paesi è fuorviante. Il Regno Unito ha un debito pubblico più basso, una sua moneta e una sua banca centrale. I mercati finanziari ritengono che abbia molte meno possibilità di andare in bancarotta rispetto all’Italia. Ma pur non essendo una verità statistica, l’espressione Britaly coglie qualcosa di reale. Negli ultimi anni il Regno Unito si è avvicinato molto all’Italia sotto tre aspetti.

Oggi la politica è decisa dagli operatori di borsa specializzati in titoli di stato

Il primo, e più evidente, è che l’instabilità politica che contraddistingueva l’Italia ha contagiato il Regno Unito. Dalla fine del governo di coalizione nel maggio 2015, il Regno Unito ha avuto quattro primi ministri (David Cameron, Theresa May, Boris Johnson e Liz Truss), come l’Italia. È probabile che i due paesi continuino a seguire lo stesso cammino nel prossimo futuro. Giorgia Meloni dovrebbe prestare giuramento come presidente del consiglio a Roma; e il futuro di Truss non potrebbe essere più precario. La longevità dei ministri britannici si conta ormai in mesi: da luglio ci sono stati quattro ministri delle finanze; quella dell’interno si è dimessa il 19 ottobre, appena 43 giorni dopo essere entrata in carica. La fiducia nella politica è diminuita di pari passo con l’aumento del caos: nel 2010 il 50 per cento dei britannici si fidava del governo, oggi sono meno del 40 per cento. Da questo punto di vista, il divario con l’Italia si è ridotto da 17 punti percentuali a quattro.

La personalità dei singoli

Il secondo aspetto che lega i due paesi è che il Regno Unito è diventato il giocattolo dei mercati come l’Italia durante la crisi dell’eurozona, e sono i mercati a comandare. I conservatori hanno passato gli ultimi sei anni a inseguire il sogno di una maggiore sovranità britannica, ma hanno perso il controllo. Silvio Berlusconi si è dimesso nel 2011, dopo essersi messo nei guai con Bruxelles e Berlino. Kwarteng è stato cacciato dal suo incarico di ministro delle finanze a causa della reazione dei mercati alla serie di tagli alle tasse che avrebbero prodotto più debito. Ora sono gli operatori di borsa specializzati in titoli di stato gli arbitri della politica del governo britannico. Jeremy Hunt, il nuovo ministro delle finanze, ha cancellato la maggior parte dei tagli alle tasse e ha giustamente deciso, a partire dall’aprile 2023, di ridisegnare il sistema di garanzia dei prezzi energetici deciso dal governo. Le decisioni che dovrà prendere per colmare il buco nelle finanze pubbliche sono messe a punto tenendo conto dei mercati.

Proprio come gli italiani si preoccupano dello spread tra i loro titoli di stato e i bund tedeschi, così i britannici hanno seguito un corso accelerato su come i rendimenti dei titoli di stato influenzino moltissime cose, dal costo del loro mutuo alla sicurezza delle loro pensioni. In Italia istituzioni come la presidenza della repubblica e la banca centrale hanno a lungo agito come baluardi contro i politici. Ora è così anche nel Regno Unito. Interrompendo, lo scorso 14 ottobre, l’acquisto d’emergenza di titoli di stato, la Banca d’Inghilterra ha costretto il governo a invertire la sua rotta più rapidamente. Il terzo aspetto è che il problema della bassa crescita del Regno Unito è più radicato. La stabilità politica è un prerequisito per la crescita, non un optional. Per i governi italiani è faticoso portare a termine qualsiasi cosa. Lo stesso vale per quelli del Regno Unito, quando durano poco. Se i cambi di premier sono sempre dietro l’angolo, è la pantomima e la personalità dei singoli a sostituire la politica. Johnson è stato soprannominato “Borisconi” da alcuni; continuando ad aleggiare sulla scena politica, potrebbe rendere questo paragone ancora più calzante.

Anche se la disciplina in materia fiscale dovrebbe calmare i mercati, non aumenterà la crescita. Hunt sta correndo per riequilibrare i conti nell’ambito di un piano di tassazione a medio termine che sarà presentato il 31 ottobre. Risparmiare denaro spendendo meno in infrastrutture sarebbe positivo per i rendimenti dei titoli di stato, ma non aiuterà l’economia a crescere. C’è poco spazio per tagli drastici ai servizi pubblici. È meglio eliminare gradualmente il “triplo blocco”, una formula generosa volta ad aumentare le pensioni statali, e raccogliere fondi in modi più sensati: eliminando lo status di non-dom (non domiciliato, che quindi non deve pagare tasse) o aumentando le tasse di successione. Alzare l’imposta sul reddito sarebbe meglio che ripristinare l’aumento dei contributi alla previdenza sociale, che ricade solo sui lavoratori.

La situazione sta diventando sempre più “britalica”. I deputati conservatori sono allo sbando, come dimostrano i loro contrasti per il voto sul fracking (la tecnica della fratturazione idraulica per estrarre gas e petrolio), le voci di altre dimissioni e gli intrighi su quanto tempo resterà al potere la premier. Truss è diventata come Larry, il gatto che vive sì a Downing street, la residenza di chi guida il governo, ma non esercita alcun potere. Se e quando i deputati tory (conservatori) decideranno di farla cadere, dovranno trovare un sostituto, invece di chiedere agli iscritti al partito. Le probabilità che le diverse fazioni in lotta trovino una figura unificante sono basse.

Di conseguenza, si rafforza l’ipotesi di elezioni anticipate. È improbabile che succeda: perché i deputati tory dovrebbero votare per la loro stessa scomparsa? L’idea secondo cui Truss, o qualsiasi successore, non avrebbe un mandato è sbagliata in un sistema parlamentare. Ma se il parlamento non è in grado di dar vita a un governo che funziona, allora è il momento di rivolgersi agli elettori. Quel momento si sta avvicinando.

Le elezioni non hanno risolto i problemi dell’Italia. Ma c’è motivo di essere più fiduciosi per quanto riguarda il Regno Unito, dove l’instabilità politica è ormai la malattia di un solo partito. I conservatori sono diventati quasi ingovernabili a causa del logoramento prodotto dalla Brexit e della stanchezza maturata dopo dodici anni al potere. Truss ha ragione nell’individuare nella crescita il problema principale del paese. Tuttavia, la crescita non dipende da piani fantasiosi e grandi colpi di teatro, ma da un governo stabile, da una politica attenta e unita. Così come sono, i tory non sono in grado di assicurarla. ◆ff

Da sapere
Gli ultimi sviluppi

◆ Questo articolo è stato pubblicato dall’Economist il 19 ottobre 2022, un giorno prima delle dimissioni di Liz Truss da capo del governo britannico e prima che, il 22 ottobre a Roma, Giorgia Meloni giurasse come presidente del consiglio italiana. Il 24 ottobre il deputato britannico Rishi Sunak è diventato il nuovo leader del Partito conservatore e quindi automaticamente anche primo ministro, dato che i tory hanno la maggioranza in parlamento.


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Questo articolo è uscito sul numero 1484 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati