crisi climatica

Secondo un autorevole rapporto scientifico, la crisi climatica sta già provocando effetti diffusi, estesi e in alcuni casi irreversibili su individui ed ecosistemi in tutto il mondo, ed è ormai chiaro che l’umanità potrà adattarsi solo in parte a un pianeta surriscaldato.

L’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc), presentato il 28 febbraio, afferma che 3,6 miliardi di persone vivono in aree altamente esposte al caldo estremo, alle piogge torrenziali, alla siccità e agli incendi. Durante la conferenza stampa di presentazione, il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres l’ha definito “l’atlante delle umane sofferenze”.

Rispetto al 2014, l’anno a cui risale il rapporto precedente dell’Ipcc, è diventato più facile attribuire gli eventi estremi al cambiamento climatico prodotto dalle attività umane. Il messaggio che emerge dalla sintesi di 35 pagine per i governi (il rapporto ne ha 3.675) è che l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale entro un grado e mezzo rispetto all’era preindustriale, stabilito dall’accordo di Parigi, potrebbe evitare le conseguenze peggiori e favorire le politiche di adattamento.

“È evidente che ci sono dei limiti alle nostre capacità di adattamento”, spiega Rachel Warren della University of East Anglia, nel Regno Unito, che ha collaborato al rapporto. “Con un aumento di due gradi invece che di un grado e mezzo i rischi si moltiplicherebbero, e diventerebbe molto difficile gestire la situazione”. Guterres è stato ancora più esplicito: “Rinviare significa morire”. Nonostante gli impegni assunti da quasi duecento paesi durante la conferenza Cop26 che si è svolta a Glasgow nel novembre 2021, il mondo si sta avviando rapidamente verso un aumento superiore ai due gradi.

La crisi climatica incide già sulla salute umana, e anche su quella mentale. Secondo Helen Adams del King’s college di Londra, che ha collaborato al rapporto, le cause principali del disagio mentale sono gli eventi estremi, ma anche la cosiddetta ecoansia.

Le conseguenze della crisi non pesano nello stesso modo sui ricchi e sui poveri. I più vulnerabili sono gli abitanti dei paesi a basso reddito dell’Africa occidentale, orientale e centrale, dell’Asia meridionale e del Sudamerica, oltre a quelli degli stati insulari e delle regioni artiche. In queste aree tra il 2010 e il 2020 le vittime di alluvioni, siccità e tempeste sono state quindici volte di più rispetto alle aree meno vulnerabili, cioè i paesi ad alto reddito.

Sicurezza alimentare a rischio

Negli anni trenta e quaranta di questo secolo aumenteranno i pericoli per l’intero pianeta perché le emissioni di gas serra prodotte finora causeranno inevitabilmente un riscaldamento di almeno un grado e mezzo. A metà secolo un miliardo di persone saranno minacciate dalle inondazioni costiere, compresi gli abitanti dei piccoli stati insulari, alcuni dei quali subiranno una “minaccia letale” nei decenni seguenti. Un riscaldamento di due gradi metterebbe a rischio la sicurezza alimentare globale, causando malnutrizione in varie regioni del pianeta.

Tuttavia Adams invita a non cedere allo sconforto: “La situazione è grave, ma il futuro lo scriviamo noi, non il clima”. Secondo il rapporto, contenendo il riscaldamento a un grado e mezzo potremmo almeno ridurre i danni. I tentativi di adattarsi a un mondo più caldo, per esempio costruendo difese lungo le coste e piantando varietà diverse di colture, hanno già dato alcuni risultati. Purtroppo però sono interventi limitati e distribuiti in maniera irregolare, e a volte hanno anche ricadute negative, come l’erosione delle coste causata indirettamente dai frangiflutti.

Una delle autrici del rapporto, Daniela Schmidt dell’università di Bristol, nel Regno Unito, avverte che la guerra in Ucraina potrebbe sviare l’attenzione dalla crisi climatica, ritardando gli interventi necessari.

Il rapporto dell’Ipcc, il sesto dal 1990, si conclude con un messaggio urgente: “Ogni ulteriore rinvio di un’azione globale preventiva e concertata per adattarsi alla crisi climatica e per mitigarla significa sprecare l’ultima occasione di garantire un futuro vivibile all’umanità”. ◆ sdf

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Questo articolo è uscito sul numero 1450 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati