Dal 1 luglio le città della Libia hanno assistito a grandi proteste in cui i cittadini chiedevano di sciogliere tutti gli organismi di governo e di cacciare i mercenari stranieri dal paese. I manifestanti hanno denunciato le loro difficili condizioni di vita, le divisioni politiche e la mancanza di servizi, assicurando che continueranno a scendere in piazza finché “tutte le élite non faranno un passo indietro, rinunciando al potere”. Hanno inoltre annunciato di voler intensificare la loro mobilitazione, montando delle tende nelle piazze e lanciando azioni di disobbedienza civile.

Le manifestazioni si sono svolte a Tripoli e in alcune delle città più grandi del paese. Una folla fuori controllo ha dato fuoco alla sede del parlamento libico a Tobruk. Le Nazioni Unite hanno invitato alla calma, aggiungendo che “è arrivato il momento di ascoltare le richieste dei giovani”. Anche gli Stati Uniti hanno espresso preoccupazione per lo stallo politico, economico e finanziario all’origine dei recenti disordini.

Le proteste hanno motivazioni diverse. Ma la prima è la necessità di trovare una soluzione alla mancanza di elettricità. Le forniture elettriche in Libia continuano a soffrire per le lunghe e frequenti interruzioni, mentre il paese fa i conti con un’ondata di caldo intenso. Nonostante le tante promesse, il governo di unità nazionale di Abdul Hamid Dbaibah non è stato in grado di risolvere la crisi. Nel febbraio 2021 Dbaibah aveva promesso che il problema sarebbe sparito in dieci mesi. Ne sono passati più di diciotto e la situazione continua a peggiorare. Le ragioni principali sono la mancata manutenzione delle centrali, i furti dei cavi e i ritardi nella costruzione di nuovi impianti. La settimana scorsa ha suscitato parecchio sdegno la foto di un uomo seduto per strada vicino a un generatore che alimentava il respiratore del figlio malato. L’episodio è stato una delle scintille che hanno dato il via alle manifestazioni.

Divisioni politiche

Nel 2021 Dbaibah è stato nominato primo ministro di un governo il cui scopo era organizzare le elezioni entro dicembre. I libici ci speravano, visto che a due milioni e mezzo erano state recapitate le tessere elettorali. Ma il voto è saltato. Ci si aspettava allora che Dbaibah lasciasse il potere al nuovo esecutivo scelto dalla camera dei rappresentanti di Tobruk, guidato da Fathi Bashagha. Ma non è successo, e le divisioni politiche nel paese si sono intensificate.

Il governo di Bashagha ha tentato più volte d’insediarsi a Tripoli, senza successo. Alla fine ha stabilito la sua sede a Sirte. Queste divisioni hanno spinto i libici a chiedere le dimissioni di tutti gli organismi politici: sono stanchi di soluzioni temporanee e conflitti istituzionali, e sperano di poter presto votare e adottare una costituzione in modo permanente.

Anche se i mandati di molte istituzioni sono terminati, i loro funzionari continuano a restare aggrappati al potere. Questi enti, estranei allo stato, non smettono di assorbire milioni di dinari, anche se i loro dipendenti non forniscono nessun servizio alla popolazione. Intanto la maggior parte dei cittadini deve fare i conti con il costo della vita sempre più alto, la carenza di beni di prima necessità, la mancanza di cure e di farmaci, oltre a livelli insoddisfacenti di sicurezza e istruzione.

In Libia c’è anche scarsità di contanti, visto che per ricevere gli stipendi arretrati migliaia di persone si mettono in fila davanti alle banche. I distributori di carburante sono troppo pochi, e i cittadini devono aspettare ore per fare il pieno, in un paese estremamente ricco di petrolio. Manca anche il pane, perché gli ingredienti costano caro, e si formano assembramenti e file di fronte ai panifici. Inoltre i servizi per il rilascio di carte d’identità e altri documenti ufficiali non sono più attivi per i cittadini, che si assiepano davanti agli uffici dei passaporti e dell’anagrafe.

La carenza generalizzata di servizi si accompagna a una corruzione rampante. Non passa un giorno senza che le agenzie di controllo non denuncino il furto di milioni di dinari di denaro pubblico. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1468 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati