Alla fermata di Nordstan, nel centro di Göteborg, chiedo a un passante se il tram per Biskopsgården passa di là. L’uomo mi guarda sconcertato: “Perché mai ci vuole andare?”. Sembra sinceramente preoccupato, come se stessi progettando di attraversare a piedi nudi la Nuova Guinea. Poi aggiunge con tono di avvertimento: “Biskopsgården è davvero molto lontano”.

Per la Ryaskola, la scuola elementare di Biskopsgården, sono solo dieci fermate di tram, tredici minuti di viaggio. Ma l’uomo ha ragione: la scuola è “molto lontana”, almeno dalla Svezia ricca, dallo stato sociale scandinavo e dall’idea di sicurezza.

Perciò cominciamo con alcune regole base di Biskopsgården, esposte da un gruppo di ragazzi della settima classe (seconda media): “Se ci sono criminali in giro tieni sempre gli occhi bassi”. “Non guardarli mai dritto negli occhi”. “Tieni sempre a portata di mano il cellulare”. “Torna a casa prima che faccia buio”. “Non vagare qua e là, vai direttamente dove devi andare a passo svelto, meglio se in compagnia”. Vi è già capitato di avere a che fare con i criminali? Loro esitano, non perché non abbiano una risposta ma perché è una domanda molto strana: “Ho a che fare con loro in continuazione”, spiega un ragazzo di nome Abdi. Quando è successo per la prima volta? “Non saprei, forse quando avevo sette anni”. Oggi ne ha tredici.

Insomma, benvenuti alla Ryaskola, nella periferia ovest di Göteborg. Qui non c’è nulla che lasci immaginare una situazione così difficile. Dalla fermata del tram di Mildvädersgatan si continua a piedi: la strada si snoda in salita tra vecchi abeti, poi ecco alcuni caseggiati. Già si sente il chiasso della ricreazione. Tre edifici in mattoni, una mensa nuova di zecca, bambini che giocano. La vicepreside Angelica Lundin ci tiene a dire che qui è pieno di cose belle, come il bosco e il lago, e che la Ryaskola è “una normalissima scuola di Göteborg“, con 610 alunni dalla prima alla nona classe. “La scuola non ha nulla a che fare con la violenza. Né i colpevoli né le vittime vengono da qui”. È verissimo, eppure è altrettanto vero che tutti alla Ryaskola sono obbligati a fare i conti con la violenza: negli ultimi tre anni ci sono state sette sparatorie nel raggio di cinquecento metri, con due morti e sei feriti.

La cosa assurda è che questa non è affatto un’eccezione, almeno non nei quartieri “molto lontani”. Tra il gennaio 2020 e il dicembre 2022 in Svezia ci sono state settecento sparatorie nelle immediate vicinanze di scuole elementari. Lo ha ricostruito l’emittente televisiva Svt in uno dei tanti servizi sulla violenza tra bande. Nel paese scandinavo, che ha dieci milioni di abitanti, nel 2022 sono state uccise a colpi di arma da fuoco 61 persone. In nessun altro stato dell’Europa occidentale si registra una percentuale paragonabile.

Gli studenti sono nell’aula ricreazione, dove possono passare le ore libere e i pomeriggi: ci sono sedie comode, un armadio pieno di giochi, un tavolo da ping pong. Qui si sentono al sicuro: è fuori dalla scuola che cominciano i problemi. La Ryaskola, infatti, sorge proprio tra Biskopsgården Norra (nord) e Biskopsgården Södra (sud), roccaforti delle due bande locali. Cosa gli dicono i criminali quando li avvicinano? Le risposte arrivano alla rinfusa: “Vuoi un pezzo di pizza?”. “Ti servono delle scarpe nuove?”. “Se vuoi puoi salire in macchina a scaldarti”. “Hai bisogno di soldi?”. A chi risponde, la volta dopo chiedono semplicemente di portare un pacchetto da qualche parte. Perché è raro che un dodicenne venga fermato e perquisito dalla polizia.

Influencer con la pistola

Aya è arrivata dalla Siria con la sua famiglia nel 2015. È la prima della sua classe e da grande vuole fare la medica. Abdi, figlio di due somali, con la sua gran parlantina vorrebbe studiare giurisprudenza. I cinque ragazzi ridacchiano, Abdi è ancora un bambino ma, come tutti gli altri, ha già riflettuto sull’eventualità che un suo familiare muoia in una sparatoria. I ragazzi parlano molto apertamente, ma chiedono di non citare i loro cognomi e di non scattare foto, perché non si sa mai. Mobina racconta di aver assistito per la prima volta a un’aggressione a otto anni. “Ero in lavanderia con mia madre e, guardando giù in cortile, ho visto un ragazzo con la pistola in pugno che ne inseguiva un altro”.

Può toccare a chiunque: proprio dietro l’angolo è stato ucciso un poliziotto. Quel giorno era senza uniforme e stava chiacchierando con alcuni ragazzi quando l’assassino è arrivato su un monopattino elettrico, gli ha sparato e se n’è andato. Lo aveva scambiato per un gangster di Biskopsgården sud. Nessuno di loro c’era, ma ne parlano come se l’avessero visto con i loro occhi. “È arrivato sul monopattino elettrico!”. “Era vicinissimo!”.

In qualche modo, ovviamente, ne sono affascinati. Secondo Abdi il problema è proprio che i criminali sono diventati una specie di “influencer di Biskopsgår­den”: “Si vestono alla moda, e far parte di una banda criminale è fico”. Perciò anche gli adolescenti che riescono a stare lontani dalla violenza di sera girano per strada con i passamontagna neri. “Tutti vestiti di nero, ovvio”. E c’è anche chi porta il giubbotto antiproiettile. “Come in Snabba cash”, spiega Mobina. Snabba cash, soldi veloci, è una serie su Netflix che parla delle bande criminali delle periferie svedesi, tra droga e lotte per il territorio che sembrano scene da guerra civile. Secondo Abdi a Biskopsgården tutti i ragazzi hanno visto Snabba cash: “Mostra come stanno davvero le cose”.

Poco dopo la messa in onda della serie, un alunno di seconda elementare è andato dalla vicepreside a dirle tutto orgoglioso: “Non voglio più fare il criminale, signora Lundin”. Come se fino a quel momento fare il criminale fosse stata un’opzione normale per un bambino di sette anni. Secondo Lundin “non è giusto che per i nostri bambini queste assurdità siano una costante”. L’autunno scorso, racconta, è andata nel bosco con i ragazzi dell’ottava classe. Era una giornata meravigliosa, e si sono seduti in riva al lago. Poi si è resa conto che un poliziotto andava su e giù in moto lungo la strada. “E i ragazzi mi hanno detto: non lo sa? Lì la settimana scorsa hanno tirato una bomba a mano. Non hanno aggiunto altro, come se fosse normale che qui si tirino bombe a mano contro le case”.

Eppure questa è la Svezia, uno dei paesi più ricchi del mondo, che ha praticamente inventato lo stato sociale con pari opportunità e istruzione per tutti. Da dove viene tutta questa violenza?

Deserti d’asfalto

Christian Jensen fa il poliziotto da quattro anni e lavora a Hjällbo, un altro quartiere “molto lontano”, ma dalla parte opposta della città. Secondo Jensen la violenza ha molte cause e alcune ce le può mostrare, visto che è di pattuglia a Hjällbo, Hammarkullen e Lövgärdet, tre dei diciannove quartieri svedesi attualmente considerati särskilt utsatta områdena, zone ad alto rischio. Tra questi c’è anche Biskopsgården. Percorriamo una strada che si snoda per chilometri attraverso un fitto bosco, poi compare un ammasso di palazzoni, rotatorie e distese di cemento.

È evidente che Hjällbo non si è sviluppato in maniera organica: è come se un gigante avesse rovesciato uno scatolone di Lego. Hjällbo, Hammarkullen e Löv­gärdet furono progettati a tavolino negli anni sessanta, quando il governo socialdemocratico lanciò il suo programma edilizio per la costruzione di un milione di case, il “Miljonprogrammet”. All’epoca la Svezia aveva urgente bisogno di alloggi, e i blocchi di cemento spuntarono come funghi.

Quando arriviamo a Hammarkullen, Jensen indossa il berretto, fa un bel respiro e scende dall’auto. Alcuni palazzi sono lunghi quasi quattrocento metri. La segregazione si è concretizzata in porte e finestre sbarrate. Mentre cammina quasi a passo di marcia sull’asfalto grigio, Jensen racconta che a Hammarkullen capita di continuo d’incontrare gente che, pur vivendo qui da vent’anni, non parla una parola di svedese. “Ormai sono rimasti pochissimi finlandesi e qualcuno che viene dalla ex Jugoslavia, per il resto sono tutti turchi, somali, afgani e siriani”.

Il compito di Jensen e dei suoi colleghi è soprattutto farsi vedere: “Nei punti nevralgici del quartiere gli abitanti devono vedere noi, non i criminali”. A ogni angolo scorgiamo gruppi di adolescenti e giovani che si nascondono negli androni appena ci avviciniamo. Hammarkullen è saldamente in mano a un grande clan turco, spiega il poliziotto. “Qui praticamente nessuno si rivolge alla polizia o al comune, nemmeno le vittime”.

Jensen parla di Gårdsten, la storia di successo del nord: negli ultimi anni questa zona è stata oggetto di profondi interventi di riqualificazione, e tra il 2017 e il 2019 il tasso di criminalità è sceso del 20 per cento. Da allora non è più considerata un quartiere ad alto rischio, e alcune aziende hanno aperto qui la loro sede. Mentre ci racconta queste cose con orgoglio, Jensen si interrompe e dal finestrino mostra un punto: “Lì l’anno scorso hanno ucciso un ragazzo. Alle tre del pomeriggio. Era nella sua macchina”. Indica un enorme parcheggio circondato da caseggiati: chi spara può star certo che qualcuno lo vedrà. Poi Jensen riprende.

Quale killer professionista ucciderebbe qualcuno in pieno giorno? Qui in Svezia i gangster sembrano sparare senza pensare. E infatti molti attacchi sono stati ripresi dalle telecamere di sorveglianza. “Sì”, risponde Jensen, “sono dilettanti. Perché da quando è stata decifrata EncroChat quasi tutti i professionisti sono dietro le sbarre”.

EncroChat è un programma di messagistica crittografata che dal 2016 ha cominciato a farsi pubblicità dichiarando di essere a prova di intercettazione. I gruppi criminali di tutta Europa lo usavano per i loro affari, finché nel 2019 la polizia francese è riuscita a decifrarlo: nell’estate del 2020 sono stati eseguiti più di ottocento arresti in tutto il continente, e anche in Svezia molti boss sono finiti in galera. Ma questo ha scatenato lotte selvagge per il controllo del territorio, spiega Jensen. “Tutti vogliono diventare i nuovi boss, ci sono tante zone da spartire. È una lotta di tutti contro tutti. Ed ecco spiegati i quindicenni che si sparano a vicenda”.

Auto bruciate a Göteborg, agosto 2018 (Adam Ihse, TT News Agency/Afp/Getty)

Per molto tempo la Svezia ha avuto la legge sulle armi più permissiva d’Europa, e oggi è sommersa dalle armi da fuoco. “La situazione era assurda”, osserva Jensen. “Dovevamo lasciar andare persone fermate con le armi cariche”. Nel 2018 il governo ha inasprito la legge, e ora è previsto un minimo di due anni di carcere per porto d’armi illegale. Chi viene fermato con un’arma carica finisce automaticamente in custodia cautelare e non può essere rilasciato prima del processo.

Palazzoni di cemento e distese deserte in cui il vento gioca con i rifiuti di plastica: la desolazione di queste periferie ricorda le banlieues francesi. “Nelle banlieues scoppiano rivolte periodiche”, dice Jensen. “Questi crimini sono una specie di copia e incolla”. Copia e incolla? Jensen spiega: in tutti i paesi i criminali si copiano a vicenda. Le banlieues sono regolarmente colpite da rivolte. A Londra c’è un’inflazione di accoltellamenti. “E qui in Svezia si spara. I nostri rivali sparano? Allora spariamo anche noi. Si ripagano con la stessa moneta”.

Jensen pattuglia i tre quartieri per più di un’ora, ma non parla con nessuno. Quando scende dalla macchina, nel centro di Angered, alcune ragazze esclamano: “Ehi, ma è un poliziotto vero?“. “Sì”, risponde Jensen educatamente, “sono vero.“ “Che fico”, dice una di loro ridendo, poi spariscono dentro un negozio di kebab.

Come fosse un mantra, Jensen ripete spesso la frase “Get back to the street”: lui e i suoi colleghi passano per strada l’ottanta per cento del tempo. E i risultati si cominciano a vedere. Il tasso di criminalità è sceso: a Göteborg nel 2015 le bande avevano ucciso dodici persone, mentre nel 2022 i morti sono stati solo cinque. La città sembra sulla buona strada, anche grazie alla stretta collaborazione con scuole, centri giovanili e associazioni.

Promessa non mantenuta

La risata dell’assistente sociale Andreas Wetterberg sembra lo scricchiolio di una vecchia sedia di legno. Con i cinque omicidi dell’anno scorso, Göteborg sarebbe sulla buona strada? Lui replica: “Al massimo può essere un attimo di tregua, niente di più”.

Wetterberg è impiegato al comune di Göteborg da quindici anni. È responsabile degli interventi sociali nel quadrante nordest. I suoi collaboratori lavorano con la polizia e le scuole, coordinano programmi di uscita dall’illegalità, stanno molto in strada, spiegano agli insegnanti come riconoscere un ragazzo che rischia di scivolare nel mondo delle bande criminali. Wetterberg conosce le periferie pattugliate da Jensen e le cause che il poliziotto ha elencato per spiegare la violenza: EncroChat, il copia-incolla, le leggi permissive sul porto d’armi e l’isolamento dei quartieri. Ma per lui c’è una cosa che conta ancora di più: in tutti questi posti a partire dal 2000 il tasso di disoccupazione è andato diminuendo, ma allo stesso tempo è calato anche il reddito medio annuo. “Gli autori dei reati sono tutti immigrati di seconda generazione. Vedono i genitori che lavorano cinquanta ore alla settimana senza riuscire a mantenere dignitosamente la famiglia. E sotto casa ci sono gli spacciatori che offrono soldi facili”.

Dal centralissimo ufficio di Wetterberg si vede la Göteborg ricca: edifici di mattoni, boutique eleganti, raffinate pasticcerie. Secondo l’assistente sociale questa ricchezza così tangibile ha un legame diretto con la violenza. In Svezia si continua a ripetere una promessa di uguaglianza che però non viene più mantenuta. Anzi.

Negli ultimi vent’anni le classi medio-alte hanno accumulato ricchezza. Sono state cancellate le imposte sulla successione e sulle donazioni, è stata abolita la patrimoniale, l’imposta sugli immobili è diventata uno scherzo, così come quella sulle plusvalenze. Negli stessi vent’anni in cui si assisteva all’aumento continuo della violenza nei quartieri emarginati, lo smantellamento del sistema fiscale ha reso la Svezia un paradiso per ricchi: in proporzione agli abitanti, oggi ha il triplo di miliardari rispetto agli Stati Uniti. Wetterberg è molto cauto, ma una cosa è evidente: i reati sono commessi quasi sempre là dove sono di casa anche povertà, malattia e miseria. “A Hjällbo o Hammarkullen in media si muore dieci anni prima che nel centro di Göteborg. Diabete, malattie cardiache, denti guasti. La povertà uccide quanto armi e droga, solo che ci mette un po’ di più”.

Ma la povertà c’è anche in altri paesi europei. Wetterberg alza le spalle. “È vero. Più faccio questo lavoro, meno capisco questa spirale di violenza”. Certo è che le bande sono bloccate in un “circolo vizioso letale”: in una sparatoria non possono esserci feriti, perché chi sopravvive poi si vendicherà. Allora gli avversari vanno uccisi al primo tentativo. Questo significa che quando Jensen e colleghi arrestano qualcuno salvano delle vite.

Nella notte dopo la nostra conversazione con Wetterberg, a Skarpnäck è esploso un ordigno artigianale, a Solna un uomo è stato ucciso a colpi di arma da fuoco e a Gullmarsplan, un quartiere di Stoccolma, una macchina inseguita dalla polizia è precipitata da un ponte. Il ventenne al volante è riuscito a fuggire, i due passeggeri quindicenni sono finiti in ospedale. Nella macchina la polizia ha trovato diverse armi automatiche. ◆sk

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Questo articolo è uscito sul numero 1505 di Internazionale, a pagina 62. Compra questo numero | Abbonati