Da sei mesi una grande guerra semina orrore in Europa. È una guerra combattuta nelle trincee e con l’artiglieria, ma in gran parte influenzata dall’umore politico di statunitensi ed europei, la cui disponibilità a sopportare l’inflazione e la crisi energetica potrebbe determinare la prossima fase del conflitto. Nessuno sa come andrà a finire. Il presidente russo Vladimir Putin ha detto che la Russia “non ha ancora cominciato a fare sul serio”. Il suo collega ucraino Volodymyr Zelenskyj ha dichiarato che le possibilità di un accordo sono minime e ha invitato i cittadini a non piegarsi.

Il sostegno occidentale all’Ucraina resisterà alla prospettiva di un inverno senza il petrolio e il gas russi? È possibile che Putin, dopo gli attacchi ucraini in Crimea e l’uccisione di un’opinionista nazionalista, intensifichi le ostilità? Zelenzkyj sarà capace di mantenere la determinazione del suo paese di fronte a un nemico che possiede armi nucleari? La Russia controlla ormai il 20 per cento del territorio ucraino, ma l’obiettivo di riportare Kiev nella sua sfera d’influenza pare più lontano che mai. Al momento, tuttavia, niente lascia pensare che Putin sia disposto a cedere. A sei mesi dal giorno in cui le forze russe hanno varcato il confine ucraino, ecco come il conflitto si presenta alle parti in lotta e a un intero continente sprofondato nel caos.

Fragile normalità

Il 24 agosto la festa dell’indipendenza ucraina ha coinciso con un’altra ricorrenza: esattamente sei mesi prima la Russia ha invaso il paese, scatenando una guerra che ha costretto molti ucraini a lasciare la propria casa, ha provocato la morte di migliaia di soldati e ha stravolto l’economia. Nei centri abitati lungo il fronte, nelle aree occupate dai russi e nelle zone colpite dai missili a lungo raggio sono evidenti gli effetti del conflitto più intenso esploso in Europa dalla seconda guerra mondiale. Tuttavia gli ucraini, ormai abituati al pericolo, stanno ritrovando un senso di normalità dopo lo shock dell’invasione. Le famiglie si preparano per la riapertura delle scuole e i clienti affollano i tavolini dei bar. Le regioni in cui vive la maggioranza degli ucraini sono relativamente sicure. Il governo è stabile, e l’esercito, equipaggiato con armi occidentali sempre più potenti, è ancora in piedi. “All’inizio il rischio era che l’esercito russo, il secondo più grande al mondo, stabilisse una superiorità aerea e un dominio totale”, spiega Andriy Zagorodnyuk, ex ministro della difesa ucraino. “Siamo riusciti a capire come fermarlo”.

Ma l’economia in caduta libera, gli attacchi aerei e il peso di una guerra d’attrito potrebbero intaccare la resistenza dell’Ucraina, ha precisato Zagorodnyuk, sottolineando che dopo sei mesi la sopravvivenza non equivale a una vittoria: “Non possiamo permettere che la guerra si trasformi in un conflitto a bassa intensità. Dobbiamo trovare il modo di cacciare i russi”.

Se non altro, la situazione è molto diversa da come Mosca se l’era immaginata. Nei giorni scorsi gli ucraini hanno organizzato nelle strade di Kiev una “parata” di carri armati e mezzi militari russi catturati. I bambini si arrampicavano sui blindati mentre i passanti si scattavano selfie. “A febbraio i russi pensavano a una parata trionfale”, ha scritto su Twitter il ministero della difesa ucraino. “Sei mesi dopo questa imbarazzante esposizione di rottami serve a ricordare a tutti i dittatori che i loro piani possono essere mandati all’aria da una nazione libera a coraggiosa”.

Ma questa fragile parvenza di normalità nasconde le pesanti conseguenze della guerra. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha riferito che 5.587 civili sono stati uccisi e 7.890 sono rimasti feriti, precisando che con ogni probabilità le cifre reali sono molto superiori. Valeriy Zaluzhnyi, comandante delle forze armate ucraine, ha ammesso che novemila soldati ucraini sono rimasti uccisi.

I falchi alzano la voce

A febbraio pochi russi si aspettavano un’invasione dell’Ucraina. Perfino i commentatori più vicini al Cremlino pensavano che sarebbe stata un’operazione troppo azzardata e costosa. Putin aveva rivelato i suoi piani solo ai più stretti collaboratori e si aspettava che tutto sarebbe finito nel giro di pochi giorni.

Poi ci sono stati gli errori militari, le sanzioni, la fuga dei russi contrari alla guerra, un’umiliante ritirata dalla capitale ucraina, immagini di atrocità e prove sempre più evidenti delle enormi perdite tra i soldati russi. Invece di essere accolto come un liberatore, Putin è diventato il responsabile della più grande guerra in Europa dal 1945.

Ma a sei mesi dall’inizio delle ostilità, Putin sta ancora combattendo. E non è solo. “Un paese, un presidente, una vittoria”, ha scandito il deputato nazionalista Leonid Slutsky al funerale di Daria Dugina, figlia del teorico di estrema destra Aleksandr Dugin, uccisa in un attentato a Mosca il 20 agosto.

Dopo mezzo anno di conflitto, la Russia appare molto diversa e allo stesso tempo sorprendentemente immutata. Ciò che restava dei mezzi d’informazione, della cultura e della politica indipendente è scomparso, sostituito dall’ultranazionalismo militante propagandato dalla tv di stato. Le manifestazioni contro la guerra organizzate nelle prime settimane sono svanite, anche perché in base a una legge introdotta a marzo basta un post sui social network per rischiare una condanna a quindici anni di prigione.

Eppure Putin ha resistito alle pressioni in favore della mobilitazione totale. Il governo è riuscito a smorzare l’impatto delle sanzioni economiche sulla vita quotidiana e a fare a meno della coscrizione di massa. Anche per questo, secondo un sondaggio del centro Levada, il 43 per cento dei russi non è interessato a quello che succede in Ucraina.

Con le sue truppe bloccate al fronte, Putin sembra accontentarsi di condurre una guerra d’attrito senza precisare quali potrebbero essere le sue condizioni per un cessate il fuoco. Accusa l’occidente di voler “combattere la Russia fino all’ultimo ucraino”, facendo intendere che può resistere più a lungo del nemico.

L’inverno alle porte e la dipendenza dell’Europa dal gas russo lo spingono ad andare avanti finché emergeranno le prime divisioni nel campo occidentale o l’esercito e il governo ucraino cederanno per sfinimento. Ma in Russia i sostenitori della guerra stanno mettendo in discussione questa strategia, sottolineando che gli attacchi ucraini nella Crimea occupata e l’uccisione di Dugina in un ricco sobborgo di Mosca dimostrano quanto il Cremlino abbia sottovalutato l’avversario.

Al funerale della figlia, Dugin ha spiegato quale sarebbe stata la sua volontà: “Non glorificatemi. Combattete per il nostro grande paese”. Nonostante le smentite di Kiev, la Russia ha accusato l’Ucraina dell’omicidio, e la vicenda sembra aver rafforzato la posizione dei falchi convinti che Putin dovrebbe intensificare le ostilità. Per loro la guerra non serve solo a riconquistare un impero perduto, ma anche a estirpare ogni residuo di liberalismo dalla società russa. “Secondo loro più il paese sprofonda in questa catastrofe e meno possibilità ci sono che a un certo punto le cose cambino”, sottolinea l’esperto di politica russa Marat Guelman.

Il momento della verità

Dopo sei mesi di guerra e senza che se ne intraveda la fine, la solidarietà dell’Europa all’Ucraina resiste agli effetti delle sanzioni economiche. Perfino i leader dei grandi paesi lontani dal fronte – Francia, Germania, Spagna, sull’orlo di una recessione e colpiti duramente dall’inflazione – hanno evitato di criticare la linea dell’Unione europea, pur chiedendosi come e quando si concluderà la guerra. Europa e Stati Uniti hanno collaborato per mantenere alta la pressione su Mosca, coordinando le sanzioni e gli aiuti militari. Tra le due sponde dell’Atlantico il legame è più solido di quanto sia mai stato dopo la fine della guerra fredda. Di fronte alla resistenza degli ucraini e alle atrocità commesse dai russi, gli europei non chiedono più un cessate il fuoco e non pensano più di coinvolgere la Russia in una struttura di sicurezza come aveva proposto il presidente francese Emmanuel Macron all’inizio del conflitto.

“L’Europa è più unita di quanto la maggior parte di noi si aspettasse sei mesi fa”, spiega Bruno Tertrais della Fondazione per la ricerca strategica di Parigi. “La volontà di mantenere le sanzioni nonostante le divergenze e le tensioni sporadiche è concreta”. Secondo Fabian Zuleeg dell’European policy center, la guerra ha già portato profondi cambiamenti nell’Unione, con un’azione senza precedenti in materia di sanzioni, aiuti militari e allargamento (Ucraina e Georgia hanno ottenuto lo status di candidati all’adesione). I rapporti tra gli Stati Uniti e la Nato sono migliorati e i paesi europei hanno accolto a braccia aperte i profughi ucraini.

Per Guntram Wolff, direttore del Consiglio tedesco per le relazioni estere, “l’unità europea sta reggendo”. Anche sui temi più delicati “non emergono grandi divergenze. Ma non ci sono neanche nuove iniziative”. Paesi come Germania e Francia sono restii ad aumentare gli aiuti militari, temendo che un successo troppo evidente dell’Ucraina possa spingere la Russia ad ampliare il conflitto e a coinvolgere la Nato.

Fin dalle prime voci di un’invasione, gli Stati Uniti hanno collaborato strettamente con l’Unione europea e la Nato per creare una coalizione di paesi pronti a reagire. Con il tempo la guerra è stata percepita sempre di più come uno scontro tra la Russia e un fronte guidato dagli Stati Uniti. Gran parte del resto del mondo è rimasta indifferente o si è schierata con Mosca. Metà del pianeta si è rifiutata d’imporre sanzioni alla Russia, comprese Cina e India. I due paesi si considerano potenze in ascesa, penalizzate da un ordine globale dominato dall’occidente e convinte che Stati Uniti ed Europa siano in declino.

Gli stati europei più vicini al conflitto, come la Polonia e i paesi baltici, hanno cercato di tenere alta l’attenzione sul pericolo dell’aggressione russa. Ma ora perfino in Polonia si percepisce una certa fatica davanti al numero enorme di profughi ucraini, ed emergono divisioni sulle sanzioni energetiche. Ungheria e Serbia mantengono uno stretto legame con la Russia e hanno rifiutato le misure proposte da Bruxelles.

“L’inverno sarà il momento della verità”, spiega Tertrais. “Dovremo affrontare le difficoltà economiche, l’impatto sociale della crisi e la reazione delle forze populiste che cercheranno di attribuire alle sanzioni la responsabilità dei problemi interni, proprio come vuole il Cremlino”. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1475 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati