Lo scrittore e giornalista T.J. English, nel suo libro Dangerous rhythms, afferma che il jazz, nato nella comunità afroamericana, è un tentativo di trovare salvezza in un mondo estraneo e violento. Ma non parla della musica come forma d’arte. Fa invece un dettagliato resoconto di come, nei sessant’anni che vanno dall’introduzione del proibizionismo alla promulgazione del Rico act, fatto per colpire in modo specifico il crimine organizzato, lo sviluppo del jazz sia stato favorito da alcuni celebri criminali. Come disse Louis Armstrong, i criminali hanno sempre amato la buona musica. In più, nota English, in una società costruita sull’ingiustizia razzista gli artisti neri (come Duke Ellington, Count Basie, Billie Holiday e altri) trovavano una qualche forma di protezione offerta da mafiosi e gangster (bianchi). English scrive che negli Stati Uniti “la violenza è parte integrante dell’avanzamento sociale” e nel libro prova a ricostruire il suo ruolo nella storia di una grande forma d’arte statunitense. The Economist

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Questo articolo è uscito sul numero 1475 di Internazionale, a pagina 89. Compra questo numero | Abbonati