Nella sala seminari di Wat Suan Dok, a Chiang Mai, in Thailandia, ho trovato un monaco anziano, Phra Kyo, in piedi da solo e circondato da una quindicina di stranieri provenienti dal Nordamerica e dall’Europa. Appena ha cominciato a parlare, Phra Kyo ha catturato e mantenuto l’attenzione del pubblico per un’ora sottolineando la natura pacifica e universale del buddismo e il suo contrasto con il cristianesimo: “Alcuni di voi sono qui da qualche settimana, o forse da qualche mese. Avete mai visto un monaco fuori dal tempio invitare le persone a entrare porgendo opuscoli che parlano di buddismo? Avete mai visto un monaco bussare alle porte per illustrare gli insegnamenti del Budda?”.

Il pubblico ride e scuote la testa. L’idea di un monaco che cerca di convertire attivamente i non buddisti in questo modo è piuttosto comica. E Phra Kyo ha continuato: “No, noi non facciamo così. Non c’è alcuna relazione tra il Budda e me, siamo solo maestro e alunno. Se una persona chiede chi ha creato il mondo, il cristiano sarà felice di rispondere: ‘Dio’. Ma il buddista dice: ‘Non m’interessa chi ha creato il mondo. Voglio essere felice adesso e alleviare la sofferenza degli altri’”.

davide bonazzi

I missionari cristiani viaggiano in tutto il mondo per convertire le genti bussando alle porte, avvicinandole negli spazi pubblici, o aprendo scuole, orfanotrofi e ospedali. I missionari cristiani adempiono al grande mandato della Bibbia, tentando di emulare i primi apostoli di Gesù. Il grande mandato lo troviamo nel Vangelo secondo Matteo (28, 18-20), quando Gesù proclama ai suoi discepoli: “Mi è stata concessa ogni autorità in cielo e in terra. Andate dunque e trovate discepoli in tutte le nazioni, battezzandoli nel nome del padre, del figlio e dello spirito santo, e insegnando loro a obbedire a tutto ciò che vi ho comandato. E sicuramente io sarò sempre con voi, fino alla fine dei tempi”.

La chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni, conosciuta come chiesa mormona, sponsorizza alcuni dei missionari più riconoscibili. Il musical di Broadway The book of Mormon (2011) ne traccia il ritratto, mettendo in scena due missionari che viaggiano dallo Utah all’Uganda. Mentre prendono in giro la chiesa mormona, i suoi autori Robert Lopez, Trey Parker e Matt Stone (gli ultimi due famosi come i creatori di South park) spiegano al pubblico cosa significa andare in missione.

Spesso in camicia e cravatta, questi giovani puliti che portano sul petto una targhetta con il loro nome sono inviati in coppia dalla chiesa in un luogo che gli rimarrà assegnato per almeno un anno. Le comunità mormone si aspettano che all’età di 19 anni, dopo essersi diplomati, i ragazzi partano in missione, e in quel periodo devono riferire con quante persone hanno parlato, quante copie del Libro di Mormon hanno distribuito e quanti battesimi hanno celebrato. Ogni anno, più di 50mila giovani sono spediti in 350 missioni in tutto il mondo. I membri della chiesa mormona hanno la responsabilità di salvare le anime compiendo il loro dovere di missionari, e credono che questo gli porterà benedizioni spirituali e gioia eterna.

Anche i monaci buddisti sono missionari, ma in un modo più sottile e indiretto. Il loro obiettivo non è che ci siano più buddisti nel mondo. Identificarsi come buddista non è considerato necessario per raggiungere l’obiettivo dell’illuminazione, o nirvana. Tuttavia, è molto più facile raggiungerlo o essere ispirati a raggiungerlo se si entra in contatto con templi e monaci. I monaci sono diventati missionari approfittando dell’aumento della popolarità del buddismo negli ultimi anni, grazie al suo messaggio di pace e ai benefici delle sue pratiche di meditazione e consapevolezza. Invece di avvicinarsi alle persone usando i metodi dei missionari cristiani, i monaci buddisti si rendono disponibili a chi è interessato ad “andare a vedere”.

Un momento del documentario Walk with me (2017), sulla comunità del monaco vietnamita Thich Nhat Hanh (1926-2022), mostra il contrasto tra missionari buddisti e cristiani. Un gruppo di monaci e monache del Village des pruniers, in Francia, sono a New York. Cominciano una lenta meditazione camminando lungo una strada trafficata, e poi si siedono per meditare tranquillamente, creando uno spazio in cui gli altri possono osservarli e unirsi a loro. Mentre sono lì, arriva un missionario cristiano che grida ai monaci, agli spettatori e ai passanti: “Perché seguire un vicolo cieco per arrivare a Budda quando si può credere in Gesù e avere la vita eterna?”. Una giovane donna interviene e dice al missionario cristiano di smettere di giudicare i buddisti, perché Gesù ha detto di amare tutti nello stesso modo. Intanto i monaci e le monache continuano a meditare in silenzio, apparentemente indisturbati dal chiasso.

I missionari cristiani viaggiano in tutto il mondo per convertire le genti. Anche i monaci buddisti sono missionari, ma in un modo più sottile e indiretto

Il Budda disse ai suoi discepoli, che avevano già raggiunto il nirvana, di trovare quelli che erano pronti ad ascoltare il loro messaggio di saggezza, persone “con poca polvere negli occhi”, e di farne dei discepoli. Pronunciando quello che gli studiosi hanno chiamato il “grande compito” del buddismo, il maestro ordinò a questi esseri illuminati di vagabondare senza meta: “Che due di voi non seguano mai la stessa strada. Monaci, insegnate il dhamma (l’insegnamento buddista), che è bello all’inizio, bello nel mezzo e bello alla fine”.

Questa è l’idea centrale delle scritture che caratterizzano il buddismo come religione missionaria. Chi vuole capire i suoi insegnamenti trarrà beneficio dall’ascoltarli. Il Budda disse ai suoi discepoli già illuminati di sparpagliarsi nel mondo ed essere disponibili ad aiutare chi è pronto ad accogliere i loro insegnamenti.

Non tutti i missionari buddisti devono uscire per trovare persone disposte ad ascoltarli. Chi è curioso può andare direttamente da loro. Per diffondere la loro religione i monaci tailandesi hanno escogitato nuovi modi, che sfruttano la globalizzazione e il turismo religioso. Offrono l’opportunità ai viaggiatori non buddisti di partecipare a un ritiro di meditazione, unirsi a una comunità, parlare con un monaco, e consentono a volontari d’insegnare l’inglese in un tempio.

Questi programmi di scambio culturale sono nati nei primi anni duemila a Chiang Mai, nel nord della Thailandia, grazie alla confluenza tra istruzione, urbanizzazione e turismo. Dato che i monaci studenti hanno l’opportunità di frequentare la scuola superiore e l’università, dove imparano anche l’inglese, molti di loro sono felici di conversare con i turisti. I monaci che arrivano da luoghi del mondo buddista theravāda del sudest asiatico e dell’Asia meridionale apprezzano la possibilità di studiare il buddismo e le altre materie in inglese, cosa più difficile nei loro paesi. Il boom turistico a Chiang Mai è cominciato negli anni novanta ed è continuato, ridimensionato solo dalla pandemia di covid-19.

Questi monaci studenti provengono di solito da ambienti svantaggiati e scelgono la vita monastica soprattutto perché garantisce un’istruzione gratuita. Tuttavia a Chiang Mai i monaci non aprono i loro templi semplicemente come attrazione turistica o per esercitare l’inglese, ma come parte del loro dovere missionario. A proposito della diffusione del buddismo, un monaco studente ha detto: “Noi siamo quelli che mostrano, non quelli che sanno”. Con questo intendeva dire che i monaci buddisti indicano la via con le loro azioni e, se le loro azioni sono affascinanti, questo susciterà l’interesse di altre persone. Forse i turisti decidono di andare in Thailandia per le spiagge o semplicemente per rilassarsi, ma dopo aver visto la bellezza dei suoi templi e il modo in cui i monaci camminano lentamente e con determinazione, alcuni prendono in considerazione l’idea di capire meglio il buddismo. E i monaci che partecipano ai programmi di scambio sono disponibili a mostrargli la strada.

Nel 1977, quando i monaci tailandesi arrivarono per la prima volta nel Regno Unito per costruire un tempio, uscivano ogni mattina a chiedere l’elemosina come imponeva la normale routine di disciplina monastica che avrebbero seguito in Thailandia. Non pubblicarono nessun annuncio né dissero agli abitanti del villaggio cosa avrebbero fatto. All’inizio, non ottenevano altro che occhiatacce. Ma alla fine, il loro camminare calmo e consapevole attirò alcuni seguaci, che andarono al tempio per chiedere come potevano aiutarli. Anche se sembrava inutile, perché non garantiva il sostentamento, la richiesta di elemosina dimostrava il loro impegno. I monaci pensavano che quando le persone li vedevano, si ricordavano della possibilità di rinunciare a tutto e vivere una vita di purezza morale.

davide bonazzi

Ho osservato questo modo di “mostrare senza raccontare” tra i monaci missionari tailandesi nel Ladakh, in India, nel 2018. Anche se non sapevano parlare la lingua locale, ritenevano importante mostrare il buddismo tailandese alla comunità. Lo facevano in modo simile a quei monaci nel Regno Unito, con la quotidiana richiesta di elemosina. Camminavano ogni mattina dalle 8 alle 9.30. Durante il loro giro non ricevevano molto, ma volevano che “i buddisti di lì conoscessero il buddismo theravāda, e predicassero la fede nel Budda”. Con quel sacrificio di camminare a piedi nudi per circa otto chilometri ogni giorno al caldo e al freddo, stavano portando avanti la loro tradizione, quindi propagandando il buddismo.

A differenza dei missionari cristiani, che hanno una sola vita per salvare le persone, i buddisti credono che tutti noi rinasciamo continuamente. Se qualcuno non raggiunge l’obiettivo del nirvana in una vita, ha la possibilità di farlo in quelle future. È un atteggiamento molto meno pressante di quello dei missionari cristiani che, se non rivelano a tutti gli insegnamenti di Gesù, potrebbero morire e finire all’inferno per l’eternità.

Il karma e la certezza della rinascita sono due concetti buddisti che permettono ai missionari di assumere una prospettiva di lungo periodo. La parola karma significa semplicemente azione. Per il buddismo, tutte le nostre azioni volontarie contano come karma, e nel tempo creano nella nostra vita abitudini e modelli più complessi, determinando la nostra futura rinascita. Il karma è spesso simboleggiato dall’immagine dei semi. Piantiamo le nostre azioni come semi che potranno dare i loro frutti in futuro. Possiamo piantare semi buoni e virtuosi, che ci permettono di rinascere in situazioni in cui incontreremo di nuovo il buddismo e avremo l’opportunità d’impararlo e praticarlo. Oppure possiamo piantare semi immorali carichi di desideri malsani e di rabbia, che renderanno più difficile capire i benefici degli insegnamenti buddisti.

Dalle scritture buddiste emerge una cosmologia complessa composta da 31 regni di esistenza in cui un essere può rinascere all’interno del ciclo di morte e rinascita chiamato samsara. Ogni regno di rinascita è temporaneo e basato sul karma di ognuno. Per questo motivo, le possibili circostanze in cui un essere nasce, esiste e muore sono moltissime. Di solito questi regni sono divisi in tre parti: il mondo immateriale, il mondo materiale e il mondo dei sensi. Quelli nati nei quattro regni del mondo immateriale sono dei, che raggiungono stati di profonda meditazione. Il mondo materiale contiene sedici regni di dei, che raggiungono alti livelli di piacere mentale perché nelle loro azioni passate non hanno espresso odio o rabbia verso gli altri. Questi due mondi superiori sono regni celesti e nascere lì è considerato un vantaggio. Il mondo inferiore dei sensi è più vario, comprende undici regni, non tutti piacevoli. Nascere nel regno umano è vantaggioso, ma i quattro livelli più bassi, che comprendono gli animali, i fantasmi, i demoni e i regni infernali sono le destinazioni peggiori. L’obiettivo finale del nirvana è lasciarsi tutti questi regni alle spalle e considerare l’intero samsara una sofferenza.

L’idea della rinascita rende il missionariato buddista meno incisivo e diretto, ma le immagini del cosmo buddista possono infondere un senso di urgenza. I templi buddisti, i dipinti murali e le statue tailandesi mostrano le conseguenze di azioni morali e immorali. All’interno delle sale del tempio ci sono figure di divinità pacifiche, di bell’aspetto e vestite di abiti che si addicono ai reali. Queste ricompense per il buon karma sono in netto contrasto con le terribili condizioni degli esseri infernali. Vedere nei giardini infernali, che di solito fanno parte del complesso di un tempio, figure dal corpo contorto e i genitali dilatati, o con la testa di un animale e il corpo umano, che vengono torturate infonde il timore di finire in quello stato. I demoni trascorrono il loro tempo combattendo tra loro, mentre gli animali sono concentrati sulla sopravvivenza. I fantasmi sono in una condizione di fame e sete perenne, come punizione per essere stati avidi, scortesi e sprezzanti, soprattutto nei confronti dei monaci e dei templi. Poiché hanno un’esistenza molto piacevole, gli dei sono poco motivati a raggiungere il nirvana. Solo gli esseri umani sono in grado di sperimentare la sofferenza e hanno la capacità di comprendere gli insegnamenti buddisti, che sono la condizione necessaria per cercare il nirvana. Visitare uno dei templi della Thailandia dovrebbe spingere a coltivare una maggiore comprensione della moralità e dell’introspezione che portano al buddismo.

Nascere uomini è considerata un’opportunità rara e preziosa. Secondo il Budda lo stato umano è difficile da raggiungere, è probabile quanto l’eventualità che una tartaruga cieca infili accidentalmente il collo in un anello che galleggia sull’oceano, dato che sale in superficie molto raramente. Il nostro dovere come esseri umani è quello di approfittare della nostra attuale condizione e seguire il sentiero che conduce dalla sofferenza al nirvana.

Ho conosciuto monaci buddisti che si comportano come missionari e hanno insegnato a me e ai miei studenti a non sprecare il nostro tempo. Nel 2019, quando ho portato i miei studenti universitari statunitensi a pernottare in un tempio buddista, molti dei monaci hanno tenuto a dirci che dovremmo seguire tutti la morale buddista, per non rinascere in una delle condizioni sfortunate. Alcuni hanno sottolineato che il nostro obiettivo principale in questa vita dovrebbe essere quello di assicurarci di rinascere umani. Anche se gli studenti erano sorpresi di vedere i buddisti così “pervasi dal sacro fuoco”, come mi hanno detto, la loro retorica ha più senso quando si capisce il ruolo del monaco nel diffondere la sua religione e l’importanza di nascere umani nel cosmo buddista.

I monaci che partecipano ai programmi di scambio culturale di Chiang Mai credono che i visitatori dei loro templi abbiano nel loro passato dei semi karmici che adesso stanno germogliando. E se invece un visitatore entra in un tempio ma non è davvero interessato o sta solo seguendo un amico, in quella persona possono ancora essere piantati semi karmici sani, che germoglieranno in seguito. In entrambi i casi, il dovere monastico impone d’incoraggiare quei semi a germogliare.

A causa di questo approccio “vieni e vedi”, gli studiosi del buddismo e i visitatori spesso non si rendono conto che i monaci sono missionari. Gli stessi studenti di Chiang Mai non definirebbero il loro lavoro di missionariato alla maniera dei cristiani. Contrappongono la loro disponibilità a “mostrare la via” all’attività dei missionari cristiani, che vanno in cerca di potenziali convertiti. I monaci di Chiang Mai non pubblicizzano il loro modo di vivere, non chiedono sostegno né offrono la possibilità di diventare buddisti. Pensano piuttosto che quando emergeranno le connessioni karmiche, i viaggiatori arriveranno al tempio e i monaci saranno pronti a impartire i loro insegnamenti.

Anche se maestri buddisti molto rispettati, come il vietnamita Thich Nhat Hanh e il tailandese Buddhadasa Bhikkhu (1906-1993), hanno cercato il dialogo con il cristianesimo, per molti monaci studenti di Chiang Mai l’opera di conversione dei missionari cristiani sembra in contrasto con i valori buddisti.

Su scala internazionale, questa idea di mostrare invece che raccontare presenta vantaggi e svantaggi. Anche se i monaci sperano di aumentare la loro influenza, si prevede che la popolazione globale di buddisti diminuirà quasi del 2 per cento entro il 2050. La mancanza d’interesse per l’affiliazione religiosa e la conversione potrebbe esserne la causa.

Phra Raja Sittimuni Chodok (1918-1988), uno dei monaci che risiedevano nel tempio di Buddhapadipa, fondato nel Regno Unito nel 1966, ideò alcune delle migliori pratiche per presentare il buddismo agli stranieri. Come capo dei missionari di Londra, scrisse il piccolo opuscolo Dhamma of interest for foreigners (Il dhamma rilevante per gli stranieri). In quel manualetto sosteneva la necessità di cominciare con la tecnica di meditazione vipassana, razionale e pratica, perché la trovava fondamentale per presentare la religione ai non buddisti. Solo quando quelli hanno imparato a praticarla, il missionario buddista può introdurre lo studio del canone theravāda in lingua pāli. L’ultimo passo per i suoi discepoli è imparare rituali come inchinarsi, prostrarsi davanti alle statue di Budda e ai monaci, recitare i cinque precetti, cantare in pāli e impartire benedizioni protettive. Il missionario buddista sosteneva che la pratica è la cosa più importante per i non buddisti, e che solo dopo aver capito questo il non buddista può passare ad attività più devozionali e impegnate.

Nel piccolo libro Thai buddhism, pubblicato dal programma Monk chat a Wat Suan Dok, l’autore principale, Phra Saneh Dhammavaro, scrive nella prefazione che lo scopo è quello di essere utile agli stranieri e incoraggiarli nella loro ricerca degli insegnamenti essenziali del Budda, cosa che secondo lui porta alla vera pace, gioia e felicità. Il libro contiene alcuni degli approcci dei monaci all’insegnamento del buddismo agli stranieri, messi a disposizione per ridurre la sofferenza di ognuno. Come nel caso di buona parte dei metodi dei missionari buddisti, la loro retorica non mira al reclutamento.

I monaci studenti di Chiang Mai sono contenti che gli stranieri siano interessati alla meditazione e credono che questa apertura alla fine li porterà ad abbracciare l’intera religione, in questa vita o in una vita futura. Immaginano una traiettoria in cui gli stranieri arrivano al buddismo attraverso la porta della meditazione, e da lì la loro comprensione e il loro interesse possono aumentare.

I missionari buddisti hanno un modo educato e gentile di coinvolgere gli altri, ma il loro approccio ha i suoi lati negativi. Invece di un vero impegno per il dhamma, che potrebbe provocare una trasformazione radicale nella vita di una persona, alcuni aspetti della tradizione vengono esclusi. Se i monaci insisteranno nell’insegnare il buddismo come complemento della vita dei loro discepoli, è meno probabile che nascano nuove comunità monastiche o laiche, e nuovi buddisti che trasmetteranno gli insegnamenti ai loro figli. Ma secondo i monaci, se quegli insegnamenti e le loro pratiche saranno a disposizione di chi è interessato, alla fine quelle persone scopriranno l’intera tradizione. ◆ bt

Brooke Schedneck

è professoressa di studi religiosi al Rhodes college di Memphis, nel Tennessee, Stati Uniti. Questo articolo è uscito sul sito d’informazione culturale Aeon con il titolo Buddhist missionaries.

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Questo articolo è uscito sul numero 1477 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati