Il governo di Quito aveva promesso di usare le maniere forti per vincere la guerra dichiarata due anni fa alla criminalità organizzata. Il 1 aprile il presidente Guillermo Lasso (conservatore) ha autorizzato il porto d’armi di uso civile per la difesa personale. “Abbiamo un nemico comune: la delinquenza, il narcotraffico e la criminalità organizzata”, ha detto in un messaggio alla na­zione trasmesso in tv.

La decisione arriva mentre il paese sta affrontando il periodo più violento della sua storia. Nel 2022 gli omicidi hanno raggiunto la cifra di 4.603, con un aumento dell’83 per cento rispetto al 2021. L’Ecuador è uno dei paesi più pericolosi della regione, con un tasso di 25 omicidi ogni centomila abitanti. La violenza si concentra a Guayaquil: la città si affaccia sull’oceano Pacifico e muove gran parte dell’economia, perché possiede cinque degli otto porti del paese e storicamente ha attirato un’importante migrazione interna. Ma le politiche comunali non sono riuscite a rispondere alla crescita della popolazione. Oggi almeno dieci organizzazioni criminali si contendono il potere sul territorio attraverso estorsioni, rapimenti, rapine, omicidi e attentati. E la popolazione ha dovuto cambiare il suo stile di vita. “Ora passiamo la maggior parte del tempo chiusi in casa”, racconta Virginia Cedeño, che vive a Isla Trinitaria, un quartiere povero nel sud della città dove la maggior parte degli abitanti sopravvive con lavori informali.

Soldati davanti alla prigione del Litoral. Guayaquil, 4 novembre 2022 (Dolores Ochoa, Ap/Lapresse)

Il 5 aprile venticinque giovani armati sono arrivati in moto a Isla Trinitaria e sui muri delle case hanno scritto “‘Lk’, cioè Latin Kings. Ora il quartiere appartiene a loro”, dice Cedeño.

Le sparatorie sono diventate normali e le armi non sono più un’eccezione: “Userei una pistola se la vita dei miei figli fosse in pericolo”, afferma la donna. Ma aggiunge: “Il problema è che in questo paese i criminali sono protetti dal sistema giudiziario”. Per ora lei non ha i soldi per comprare un’arma né le munizioni né per partecipare al corso di addestramento necessario per ottenere il porto d’armi. Il ministero della difesa rilascerà i certificati di idoneità e quello della sanità è incaricato dei test psicologici. Si dovrà realizzare un sistema di registrazione, sotto il comando congiunto delle forze armate. Ci sono però dubbi sulla regolarità delle licenze di porto d’armi, data la corruzione nelle istituzioni.

Centro di distribuzione

L’annuncio di Lasso è stato accompagnato dalla dichiarazione dello stato di emergenza, il decimo da quando si è insediato questo governo, e dall’imposizione del coprifuoco, per limitare la circolazione delle persone e militarizzare le aree più violente. Le forze dell’ordine, a cui manca l’equipaggiamento di base (come giubbotti antiproiettile, elmetti e armi), non riescono a far fronte alla situazione.

Secondo il governo, la crisi è causata dall’aumento del narcotraffico e dall’indebolimento della polizia e delle forze armate determinato dai governi precedenti. Per Daniel Pontón, ricercatore dell’Instituto de altos estudios nacionales, il problema risale al periodo del Plan Colombia, il piano lanciato nel 1999 dagli Stati Uniti per combattere i cartelli della droga colombiani. “La strategia era spostare il conflitto verso il confine. Questo spostamento ha generato migrazioni forzate verso l’Ecuador, legate alle attività criminali”, dice.

La prima provincia a finire nelle mani del narcotraffico è stata Esmeraldas, che confina con i dipartimenti di Nariño e Putumayo, in Colombia, dove si produce il 42 per cento della cocaina esportata in Europa e negli Stati Uniti, stando ai dati dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine.

La situazione è cambiata ancora con la disintegrazione dei grandi cartelli colombiani e l’ascesa di quelli messicani. L’Ecuador, che era un paese di transito, è diventato un centro di stoccaggio e distribuzione. Dietro ai recenti massacri nelle carceri ecuadoriane – in cui sono morte più di quattrocento persone – e agli omicidi nelle strade ci sono i cartelli messicani di Sinaloa, Jalisco Nueva Generación e la mafia albanese, incaricata di far arrivare la droga in Europa. ◆fr

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Questo articolo è uscito sul numero 1507 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati