Cultura Suoni
Sympathy for life
Parquet Courts (Pooneh Ghana)

Ai Parquet Courts finora sembrava bastare il mix di post punk fine anni settanta e scarne melodie alla Pavement. Sympathy for life è stato presentato come il loro primo disco dance, ma questo flirt con la poliritmia e i sintetizzatori dub fa venire in mente i Talking Heads di Remain in light, che è del 1980, più che la dance elettronica dei nostri giorni. Questo potrebbe far dire che la band è diventata una versione dei Greta Van Fleet innamorati dei Wire anziché dei Led Zeppelin, ma per fortuna qui ci sono anche le cose che rendono i Parquet Courts uno dei gruppi più amati dell’indie rock di oggi: la disinvoltura newyorchese e la capacità di scrivere bene le canzoni. Sympathy for life non ha la vulnerabilità emotiva di Human performance (2016) o il divertente eclettismo di Wide awake! (2018), ma la musica e le svogliate voci di Andrew Savage e Austin Brown sono sempre un piacere. La band, insomma, si conferma un’ottima compagnia quando mantiene lo stile senza fronzoli dei suoi vecchi idoli.

Jeremy Winograd,
Slant

Colourgrade

Le canzoni spoglie, minimali di Tirzah hanno la misteriosa capacità di evocare mondi nascosti. Dopo qualche giro quello che a un primo ascolto suona esile e freddo si scalda e ci sommerge. Questa abilità ha reso Devotion, del 2018, un classico. Colourgrade, l’atteso ritorno, è ancora più obliquo e impiega sempre molto a rivelare il suo cuore. Come nei primi mixtape della musicista britannica, queste canzoni funzionano come dei bozzetti che si rinforzano l’uno con l’altro per creare un ascolto generale gratificante. Scritto dopo la nascita del primo figlio e registrato prima dell’arrivo del secondo, l’album racconta la stanchezza, l’isolamento, la bellezza e gli aspetti surreali del diventare madre. In Beating canta “Tu hai me, io ho te. Abbiamo creato la vita, sta pulsando”, sostenuta solo da una semplice percussione e rumori di fondo. Il brano è seguito da Sleeping, un blues futuristico che coglie bene le notti deliranti che si vivono con un neonato. Ma sarebbe veramente riduttivo leggere Colourgrade solo attraverso la lente della maternità. Certo, l’atmosfera è la stessa per tutto il disco e i pezzi sono scheletrici, ma Tirzah riesce a manifestare una varietà di emozioni spesso indescrivibili. È un’artista che sa farci sentire in maniera vivida le cose più ineffabili di cui prima non ci accorgevamo neanche.

Skye Butchard,
The Skinny

Astro tough
audiobooks (Heavenly Recordings)

Quando si tratta degli audiobooks, nulla è come sembra. Ogni canzone è un puzzle da risolvere, tra miriadi di allusioni che trascinano in un vortice di contraddizioni. Il debutto del 2018 ci aveva lasciato con un magnifico synth pop surrealista, come se Dare degli Human League fosse un orologio di Salvador Dalí. Astro tough vede David Wrench ed Evangeline Ling riprendere quel discorso, ma stavolta fanno i conti con un paese, il Regno Unito, sempre più noioso e arrabbiato, riuscendo a trovare dei modi interessanti per raccontare il loro disagio. È un album che non resta mai fermo in un posto solo: la voglia di disprezzo lo conduce verso gli strani, instabili ma irresistibili elementi reggae di The english manipulator. La parte migliore è nei testi, grazie alla voce e alla produzione che funzionano come bizzarri universi complementari. Pensiamo al gioco di parole in Blue tits, dove il contenuto esplicito trascende la volgarità per diventare un commento sull’uso del corpo femminile in una società patriarcale. La festa al rallentatore di Farmer chiude un disco che non sarà capito subito, anzi forse mai, ma è soprattutto qualcosa da provare, uno specchio che riflette il nostro curioso mondo malato. Gli audiobooks ci hanno regalato una seconda prova eccezionale.

Robin Murray,
Clash Music

La Eloquence, etichetta australiana della Universal, dedica un box a Igor Markevitch con tutti i dischi che il direttore pubblicò per la Philips tra il 1959 e il 1968. Le registrazioni sono quasi sempre una perfetta testimonianza delle sue caratteristiche: sensibilità musicale esemplare, flessibilità stilistica, puntualissima attenzione al dettaglio e capacità di ottenere grandi risultati da ogni musicista. In ogni performance diretta da Markevitch capita di trovare qualche particolare che sembra strano o non ortodosso, ma invece è nella partitura e aspettava solo di essere scoperto. In sostanza, nessun appassionato di repertorio per orchestra o di direttori geniali può fare a meno di questo cofanetto.

Jed Distler,
ClassicsToday

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1432 - 22 ottobre 2021
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