Cultura Suoni
Sometimes I might be introvert
Little Simz (Nwaka Okparaeke)

Wow. Succedono così tante cose nelle 19 tracce del quarto album di Little Simz che ai fan della rapper londinese ci vorrà molto più tempo di quello che impieghiamo noi critici frettolosi per metabolizzare tanta ricchezza di suoni e di idee. Quello che posso dire fin da subito è che Sometimes I might be introvert è l’album più esaltante dell’anno. È pieno di dramma. Grandi orchestrazioni degne di una sigla di James Bond. Enormi cori soul. Campionamenti vintage molto sexy. Afrobeat anni settanta. Ottoni, flauti, beats e la voce di una rapper che sa quando spingere e quando tirarsi indietro. Little Simz è un’artista che affronta la politica lasciando sempre trapelare il privato. E Inflo, il produttore che è anche un suo amico d’infanzia, rincara la dose con i suoi ricchi arrangiamenti. Ascoltando Sometimes I might be introvert si ha l’impressione di essere di fronte a qualcosa di epocale.

Helen Brown,
Independent

Certified lover boy

album in studio di Drake, Scorpion, aveva visto il rapper canadese realizzare alcuni dei più grandi successi della sua carriera, come God’s plan e In my feelings. Eppure si aveva la sensazione che Drake fosse entrato in un vicolo cieco creativo. Uno degli aspetti positivi della seconda metà di Scorpion, quella più incentrata sull’rnb, era stato l’impressione che Drake stesse cominciando a spingersi oltre i suoi confini creativi, anche se con risultati alterni. Sfortunatamente il tanto atteso seguito, Certified lover boy, pur essendo più coerente e raffinato, suona come un’ulteriore passo indietro. Invece di far evolvere il suo sound, il rapper ha cercato di far contenti i fan. Certified lover boy in realtà comincia con l’interessante Champagne poetry, che campiona Michelle dei Beatles. Ma per il resto dell’album Drake sta rintanato nella sua comfort zone. Il punto emotivamente più alto viene toccato da Yebba’s heartbreak, dove la cantante Yebba offre una performance straziante accompagnata da un pianoforte inquietante. Questo non è un disco scadente, anzi, ma la pubblicazione quasi contemporanea a quella di Donda di Kanye West, porta a fare una riflessione: l’album di West è ricco di contraddizioni, ma almeno provoca delle reazioni negli ascoltatori. Certified lover boy invece è completamente privo di ambizione e di momenti memorabili. William Rosebury, The Line of Best Fit

The witness
Suuns (joyful noise)

Suuns

Durante la lavorazione dell’ultimo disco, i Suuns hanno cercato di evitare le loro solite sonorità indisciplinate a favore di arrangiamenti più educati e discreti. L’idea alla base di questo cambiamento era costruire un flusso naturale in cui le canzoni suonassero come un’unica composizione coesa. Ma non preoccupatevi: la band psych rock di Montréal non ha abbassato il volume. Ha solo scelto di procedere in maniera più paziente e riflessiva. The witness si presenta come un album immersivo da subito con Third stream, dove alla produzione densa si aggiunge una distorsione avvolgente, abbastanza da far perdere il senso del tempo all’ascoltatore. Oltre alle influenze provenienti dai Clinic, dai Low, da Shine on you crazy diamond dei Pink Floyd e dal kraut­rock, il gruppo introduce una nuova sensibilità per il jazz che rende la sua gamma sonora ancora più sofisticata. The witness è un’opera riuscitissima e coinvolgente.

Zara Hedderman, Loud and Quiet

Händel: quattro suite per clavicembalo

Il libretto di questo cd sottolinea una cosa interessante sulle otto “grandi suite” per clavicembalo di Händel: quando furono pubblicate nel 1720 suscitarono enorme ammirazione in tutta Europa, poi finirono sempre più dimenticate perché considerate inferiori a quelle di Bach. Anche Pierre Hantaï le trascurava, poi incontrò Svjatoslav Richter, che dopo aver saputo che era un clavicembalista gli chiese subito: “Lei suona Händel?”. Ringraziamo il grande pianista per avere portato uno dei massimi clavicembalisti del mondo a farci scoprire la sua interpretazione delle prime quattro suite, che dipendono moltissimo dalla capacità dell’esecutore di cogliere la loro grandezza e usare tutte le risorse dello strumento per farcela sentire. Hantaï ci riesce splendidamente. L’esecuzione è nitida, ragionata e piena di vivaci piccoli trilli e mordenti, variazioni ritmiche e arpeggi. Sono molto efficaci nei passaggi più tranquilli, ma anche nei momenti più estroversi, che diventano ricchissimi di slancio e peso sonoro.

Lindsay Kemp, Gramophone

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1426 - 10 settembre 2021
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