Uno schiavo di dodici anni che nell’ottocento da solo scopre il segreto dell’impollinazione della vaniglia è il protagonista di Il frutto più raro, che può essere annoverato nella nuova ondata di letteratura esotica dedicata a eroi dimenticati. L’eroe di questa storia è Edmond Albius, nato nel 1829 a Bourbon, l’antico nome dell’isola della Réunion, e morto nel 1880. Senza di lui la sorte di questa ex colonia francese sarebbe stata molto diversa. Gaëlle Bélem però ha un obiettivo più ambizioso: scrivere un romanzo sull’origine della Réunion. La volontà della scrittrice, nata sull’isola nel 1984, è chiara fin dalle prime pagine. Un ciclone devasta i campi del botanico francese Ferréol Beaumont che da anni era alla ricerca di una particolarissima specie di orchidea. Una mattina però trova sulla sua soglia qualcos’altro: Edmond, un orfanello nero di poche settimane lasciato lì dalla sorella nella speranza di scaldare il suo cuore inaridito di uomo maturo senza figli. Tra schiavo e padrone nasce un legame filiale inaccettabile per l’epoca. E non è un caso se Bélem sceglie come protagonista della sua storia un personaggio che non sa da dove viene ma che comunque sa dove deve andare. Parlare di Edmond Albius, infatti, le permette di esplorare la storia incredibile di un’isola rimasta intatta fino al 1665, quando s’insediarono lì i primi coloni europei, e di farlo con prosa elegante, ritmo agile e umorismo arguto.
Gladys Marivat, Le Monde
In Termush, un romanzo breve scritto nel 1967 dall’autore danese Sven Holm, il peggio è successo. La guerra atomica ha devastato il mondo e si dà per scontato che chi non è già morto lo sarà presto. Una minuscola parte dell’umanità fatta di ricchi paranoici e disperati vive ancora in una sorta di hotel di lusso chiamato Termush. Hanno pagato per anni una quota in vista dell’apocalisse e ora vivono in bunker corazzati pieni di cibo e medicine. Il narratore, di cui non si conosce il nome, dice che è potuto entrare a Termush “grazie al suo capitale privato” e insieme ad altri pochi fortunati ha aspettato la fine della guerra nei bunker dell’hotel: “Nessuno di noi si aspettava che tutto sarebbe andato in modo così indolore. Sia letteralmente sia metaforicamente”. Dopo sei giorni chiusi nei bunker gli ospiti cominciano a riflettere e a osservare, interrotti da occasionali allarmi per le radiazioni che li rispediscono sotto terra. Ci sono pochi nomi propri a Termush: il narratore per esempio si accompagna a una certa Monica e sulle pareti ci sono quadri di Klee e di Monet. Quando qualcuno crolla emotivamente gli danno dei sedativi e il personale dell’hotel cerca di mantenere un’aria di normalità. Con il tempo si formano delle fazioni, non sempre organizzate attorno a nobili princìpi e poi, affamati e contaminati, cominciano a bussare alle porte di Termush altri sopravvissuti armati e ben organizzati. Termush ha quasi sessant’anni ma oggi riesce a essere più disturbante che mai.
Matthew Keeley, The Washington Post
Sterile ed essenzialmente privo di trama, Corteo è un antiromanzo. E sicuramente non passa il test di Hardwick: unico compito di un antiromanzo, scriveva la critica Elizabeth Hardwick, è quello di essere tutto interessante, “ogni pagina, ogni capoverso”. Corteo si svolge nel mondo dell’arte. Quasi tutti i personaggi sono pittori o scultori. E sono tutti identificati con la stessa iniziale: la G. Uno G è un pittore maschio dominante che dipinge immagini al contrario nei suoi quadri. Una seconda G è una scultrice che con i suoi ragni giganteschi ricorda Louise Bourgeois. Molti di questi personaggi hanno problemi da gente ricca. Sono abituati a girare il mondo in tutta comodità, hanno seconde case, grandi studi e cucine luccicanti. Ma allo stesso tempo se ne escono con commenti tipo: “All’improvviso ci siamo trovati a non poter tollerare più il capitalismo. Abbiamo cominciato a sentire la sua presenza nelle nostre vite che si sono trasformate in prigioni”. Ogni volta che leggo un libro che trovo orrendamente pretenzioso penso a un saggio tratto dalla raccolta L’estasi dell’influenza di Jonathan Lethem: “Alla parola pretenzioso mi si drizzano le orecchie: di solito si parla proprio del film che voglio vedere o del libro che voglio leggere”. Ho provato ad avvicinarmi a Corteo con lo stesso spigliato entusiasmo di Lethem ma ne sono uscito del tutto sconfitto.
Dwight Garner, The New York Times
Leggendo C’ero una volta si ha la sensazione di essere in pieno doposbronza da anni sessanta. È una parabola caleidoscopica sulle promesse mai mantenute di quel decennio, su sogni infranti e cattive vibrazioni. Il romanzo comincia nel 1969 quando Elizabeth, una ragazza con una benda su un occhio, vive con la madre in una roulotte fuori da uno stabilimento caseario nell’Ontario. La madre sogna di diventare una star della musica in California ma il suo è appunto solo un sogno. Fino al giorno in cui prende Elizabeth, ruba uno scuolabus e fugge con lei negli Stati Uniti. Ma anziché il sole della California trovano una setta millenarista spersa nelle campagne del Midwest. C’ero una volta è il primo romanzo di Cram e mostra molta padronanza della scrittura. È capace di tenere insieme due trame contemporaneamente passando con destrezza da una all’altra. Chiunque sia interessato al lato oscuro degli anni sessanta troverà questo libro appassionante come è successo a me.
Roz Milner, PRISM international
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