È come andare a casa dei nonni nella campagna svizzera: su uno scaffale del ristorante Hütte (rifugio di montagna, in tedesco) sono sistemati delle fotografie ingiallite e un vecchio macina caffè, mentre alla parete è appeso un quadro che raffigura una salita all’alpeggio. Nella stanza sul retro un’armonica prende polvere sotto una lampada a petrolio. Le tovaglie sono a quadri bianchi e rossi, e il menù offre brasato marinato nell’aceto, rösti (un piatto tipico svizzero a base di patate), crauti con purea di mele, formaggio. Il ristorante Hütte si trova a Helvetia, nella West Virginia.
Questo villaggio ha una doppia esistenza ma probabilmente la maggior parte delle persone ne conosce solo una, la versione fittizia, quella del videogioco Fallout 76. Siamo nel 2102 e dei sopravvissuti alla guerra atomica devono ripopolare Helvetia, una cittadina in rovina. Umani e robot vagano in un paesaggio contaminato in cui gli edifici sono identici a quelli dell’Helvetia reale. Il vero paese si trova negli Appalachi e ha 38 abitanti. Gli immigrati svizzeri cominciarono a stabilirsi qui dal 1869 perché il paesaggio collinare gli ricordava la loro terra. Helvetia è talmente isolata che i cellulari non prendono: per fare una telefonata devi usare il fisso del ristorante oppure la cabina telefonica a gettoni nel centro del paese. Il numero per le emergenze è gratuito.
Per usare internet la soluzione migliore è la biblioteca, che ha il wifi e ospita l’archivio: tra le altre cose ci si può trovare la bandiera svizzera che gli immigrati portarono centocinquant’anni fa. Un altro punto di riferimento è la Kultur-Haus, la casa della cultura, che è insieme l’ufficio postale e spaccio del paese, che espone una collezione di maschere di carnevale in cartapesta. Oltre a formaggio e miele di produzione locale, ci sono i libri, come il ricettario Öppis guets vu Helvetia (Buona fortuna con Helvetia). Ma nessuno qui conosce lo svizzero tedesco.
Senza la scuola
Helvetia è un posto tranquillo: sembrerebbe l’esatto opposto del villaggio del videogioco. Un’alternativa all’America moderna e divisa. Ma le cose non sono così semplici. Nei primi anni del novecento Helvetia raggiunse il numero più alto di abitanti, circa cinquecento, molti di loro lavoravano nelle miniere di carbone. Poi, però, è cominciato il declino dell’industria carbonifera, e ora sta per chiudere anche l’ultima miniera della zona. Helvetia è piena di case abbandonate e fatiscenti, la popolazione sta invecchiando. Per andare a scuola i pochi bambini rimasti devono raggiungere Pickens, il paese vicino, perché quella di Helvetia ha chiuso negli anni sessanta. La chiesa invece è ancora aperta, anche se la messa non è molto frequentata. I giovani se ne vanno perché non c’è lavoro e per fuggire da una vita che considerano noiosa. Helvetia condivide questo destino con molte località della West Virginia, che è il quarto stato più povero degli Stati Uniti. La crisi degli oppioidi, qui particolarmente diffusa, ha causato dei morti anche a Helvetia.
I suoi abitanti temono che il paese possa scomparire: è una sorta di paura collettiva della morte. Anche la scuola di Pickens si è ridimensionata pericolosamente. Un’eventuale chiusura potrebbe decretare la fine della piccola comunità che, senza famiglie, andrebbe verso l’estinzione, finendo per somigliare all’Helvetia postapocalittica di Fallout 76. Ecco perché gli abitanti considerano quel videogioco un monito inquietante. E si aggrappano alle tradizioni: sperano che qui tutto possa rimanere come è sempre stato.
La sera Dave Whipp ci invita a cena: c’è la raclette. Dopo mangiato, e con qualche bicchiere di vino in corpo, Joe McInroy tira fuori la chitarra e intona vecchie canzoni svizzere come Gang rüef de Bruune con un forte accento statunitense. I testi sono stati tramandati di generazione in generazione, ma ormai nessuno è in grado di capirli, così con il passare del tempo hanno subìto delle variazioni, come succede nel gioco del telefono senza fili: una generazione sussurra qualcosa all’orecchio di quella successiva, che lo ripete nel modo più accurato possibile, ma comunque il risultato finale ha ben poco a che vedere con il punto di partenza.
Whipp è una sorta di storico del villaggio. Il tour di Helvetia comincia da un prato dove c’è un vecchio capanno di legno: è qui che arrivarono i primi immigrati, quattordici uomini e una donna, alla fine dell’autunno del 1869.
Dopo aver affrontato il difficile viaggio da New York costruirono questa baita di tre metri per tre dove vissero il primo anno tutti insieme. Poi si unirono gli altri. Nel 1871 erano 32 persone. Ben presto si aggiunsero altri immigrati di origine svizzera provenienti da varie zone degli Stati Uniti e del Canada, alcuni direttamente dalla Svizzera. Tra loro c’erano molti professionisti e lavoratori qualificati: muratori, carpentieri, imbianchini, casari, maestri, musicisti, sacerdoti, medici, orologiai e calzolai. Fu proprio questa concentrazione di competenze così varie ad attrarre sempre più persone. Nel 1874 la popolazione arrivò a 308 persone. Il cimitero del villaggio è pieno di nomi dal suono familiare per uno svizzero: Wenger, Roth, Daetwyler, Arnett, Hofer, Bürki.
Una delle poche persone che è andata via per poi tornare è Clara Lehmann, 38 anni. Lei qui c’è nata: “Ma da giovane volevo solo scappare”. Si è trasferita in Minnesota per studiare arte e lì ha conosciuto il marito Jonathan, con cui poi si è sistemata a Chicago. “Stavo bene lì, ma poi è successa una cosa che non mi aspettavo: ho cominciato a sentire nostalgia di Helvetia”. A quel punto la coppia ha fatto una scelta atipica: dalla metropoli si è spostata nel villaggio e ha fondato Coat of arms, un’azienda di produzione video. Le chiedo se non considera strano aprire un’attività così moderna in un paese tanto isolato, con una connessione internet che va e viene. “All’inizio lo pensavamo”, racconta Lehmann, “poi però abbiamo cominciato a cogliere i vantaggi di una sede periferica: lontano dalla città abbiamo sviluppato un’altra prospettiva, più originale. E così ci distinguiamo da quello che fanno tutti”.
A Helvetia non ci sono poliziotti, racconta Lehmann: “Quando hai un problema è meglio che cerchi un vicino con un’arma. La prima stazione di polizia è a un’ora di distanza”. Nonostante la presenza di un piccolo ambulatorio, anche le emergenze sono un problema. “Chiami l’ambulanza e intanto prendi l’auto e le vai incontro per raggiungerla a metà strada”.
L’isolamento e i pochi abitanti hanno portato Helvetia a essere in qualche modo dimenticata dagli Stati Uniti. È unincorporated, non è inclusa nella struttura amministrativa ma ha il vantaggio di essere autonoma. Non ci sono né un sindaco né un’amministrazione locale: una volta, per gioco, gli abitanti hanno eletto primo cittadino Jessie, il cane del villaggio. Le questioni che riguardano la collettività sono gestite da club, formati da volontari non retribuiti. Gli abitanti di Helvetia vogliono essere certi che nessuno abbia troppo potere. La democrazia diretta di stampo svizzero qui è diventata una sorta di pacifica anarchia, e non sorprende che molti non si considerino né repubblicani né democratici: al momento del voto guardano più al candidato e al programma che al partito.
Per giorni un ragazzo è stato con la sua canna da pesca sul torrente Buckhannon, vicino al ponte del villaggio, cercando di catturare una trota. A quanto pare è sempre la stessa: il ragazzo la vede nuotare ma lei non abbocca mai. “Tanto ho tempo”, ha osservato paziente. Sulla riva opposta una donna era con i piedi a mollo e salutava i passanti. È questa la spa di Helvetia. Ma sbaglia chi crede che qui la vita sia monotona e che tutti gli abitanti si somiglino: a essere “atipici” non sono solo Clara Lehmann e suo marito, ma un po’ tutti.
Duemila visitatori
Thrayron Morgan produce formaggio: “La ricetta me l’ha data mia nonna”. Solo che, come per le canzoni, nel passaggio intergenerazionale gli ingredienti originali sono stati un po’ cambiati. Il formaggio è buono, ma con quello svizzero ha poco in comune.
Ce l’hanno detto tutti che alla sua porta è meglio non bussare troppo presto: pare sia l’unica in paese a non essere mattiniera. Lei e il marito in casa custodiscono uno dei tesori di Helvetia: due corni alpini. Per le nozze d’argento hanno fatto un viaggio in Svizzera e, su incarico del villaggio, hanno comprato un corno alpino artigianale che alla comunità di Helvetia è costato un patrimonio. Morgan e il marito Russell però non lo sanno suonare. A Russell piace incontrare gli amici per giocare a Jass, un tipico gioco di carte elvetico. “Può darsi che qui teniamo alla tradizione ancora di più che in Svizzera”, dice la donna.
Nancy Gain abita nelle vicinanze con il marito e le due nipoti, intente a dare da mangiare alle pecore e a raccogliere le uova nel pollaio. Da uno scaffale prende un volume fotografico sui costumi tradizionali svizzeri: lei e altre donne usano foto e didascalie per cucire gli abiti tradizionali che indossano alle feste. Nel pomeriggio le ragazze si cambiano per andare alla Star band hall, dove incontreranno le figlie di Clara Lehmann per le danze popolari tradizionali e poiché i maschi scarseggiano due ragazze faranno da cavalieri.
La storia di Fallout 76 è cominciata quando per le strade di Helvetia è stata vista un’auto con la telecamera sul tetto: gli abitanti non sapevano di cosa si trattasse. “Poi al ristorante sono arrivati dei ragazzi un po’ strani che hanno fatto domande sul cimitero e sui morti”, ricorda Lehmann. Nel 2018 il videogioco è arrivato sul mercato e ha conquistato subito 14 milioni di giocatori, che muovono i loro avatar in un villaggio che riproduce Helvetia nei minimi dettagli.
Così nel 2019, nella data più importante del calendario – il giorno del carnevale di Basilea e la festa della primavera di Zurigo – il villaggio si è riempito di facce sconosciute. Durante la festa gli abitanti di Helvetia indossano maschere di cartapesta che si fanno da soli e danno fuoco a un pupazzo che rappresenta l’inverno che se ne va. Di solito oltre agli abitanti locali intorno al falò si riuniscono due o trecento visitatori dai paesi vicini. Ma quella volta sono arrivate duemila persone, soprattutto fan di Fallout 76. Alcuni di loro, con costumi futuristici ispirati al videogioco, avrebbero voluto dare vita a un loro corteo a tema Fallout 76. Per gli abitanti di Helvetia era troppo. “Ne abbiamo discusso durante un’assemblea della comunità”, ricorda Lehmann. E nel tentativo di mantenere l’equilibrio tra tradizione e innovazione, da buoni svizzeri hanno optato per un compromesso: “Potevamo offrire ai giocatori un tour dedicato, ma abbiamo capito che ci teniamo a mantenere intatto il carattere della festa e del villaggio”. ◆ sk
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Questo articolo è uscito sul numero 1557 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati