L’entusiasmante documentario di Frederick Wiseman, Menus-plaisirs. Les Troisgros, racconta la storia di una dinastia di chef francesi che vivono e lavorano in una regione rurale della Francia centrale chiamata Ouches, circa cento chilometri a ovest di Lione. Tra le verdi colline e all’ombra di una quercia secolare, la famiglia Troisgros gestisce un famoso ristorante attivo dal 1930. L’attuale patriarca, Michel, che ha più di sessant’anni, cucina da una vita. Più che nella preparazione delle ricette, la sua attività consiste in un’espressione d’amore.
“Cucinare” è un verbo che non rende giustizia ai piatti preparati meticolosamente nella cucina del ristorante Le Bois Sans Feuilles. Ma se vogliamo parlare di cucina, quella di Michel è di livello stratosferico. Il ristorante è un’istituzione: nel 1956 ha ricevuto la prima stella Michelin e mantiene tre stelle dal 1968. Da allora ha attraversato una serie di ristrutturazioni e cambiamenti di nome. Il padre e lo zio di Michel, Pierre e Jean, sono considerati due pionieri della nouvelle cuisine. L’emblema della loro creatività è il famoso salmone all’acetosella.
Quattro ore
Menus-plaisirs è il 44° documentario di Wiseman, il primo dopo City Hall (2020), sull’edificio che ospita il comune di Boston. Tra City Hall e Menus-plaisirs, Wiseman ha effettuato una rara incursione nel mondo della finzione con Un couple, una biografia della moglie di Tolstoj, Sofja. Wiseman si concentra spesso sulle istituzioni e in particolare sulla tensione tra l’organizzazione – con i suoi spazi, le sue norme e i suoi rituali – e le persone che le animano. I titoli brutalmente descrittivi dei suoi documentari sono una firma d’autore che si mantiene intenzionalmente generica. Uno degli aspetti più gratificanti del suo lavoro è la capacità di trasformare il generale nello specifico.
Wiseman ha diretto, montato e prodotto Menus-plaisirs, un’eroica testimonianza lunga quattro ore, mezz’ora in meno rispetto a City Hall. Il documentario è appassionante. Gran parte degli eventi descritti si svolge dentro lo spazio luminoso e ispirato alla natura del Bois Sans Feuilles, all’interno di un complesso di metà ottocento restaurato dalla famiglia qualche anno fa. La struttura comprende anche un boutique hotel gestito dalla moglie di Michel, Marie-Pierre. Wiseman mostra anche un altro ristorante dei Troisgros, Le Central, nella vicina città di Roanne, prima di effettuare una visita più rilassata in un terzo locale, La Colline du Colombier, che è nelle campagne circostanti.
L’approccio di Wiseman è analitico, dialettico e solo apparentemente diretto. Come d’abitudine nei suoi documentari, in Menus-plaisirs sono del tutto assenti la musica, una voce narrante, testi descrittivi, titoli dei capitoli e altri espedienti a cui di solito i registi ricorrono per tenere viva l’attenzione. Wiseman usa invece immagini di luoghi specifici – il documentario comincia mostrando la stazione ferroviaria di Roanne e subito stacca sul ricco mercato contadino – che stabiliscono immediatamente una forte collocazione spaziale. In altre parole, il regista trascina lo spettatore nel mondo descritto dal documentario. Poi, faccia dopo faccia, inquadratura dopo inquadratura, scena dopo scena, aggiunge infiniti dettagli.
Il film è diviso in sezioni che descrivono i ritmi della gestione di un ristorante. Il primo segmento (che, per comodità, possiamo chiamare “preparativi”), presenta Michel e i suoi figli: César, che cucina insieme al padre e ad altre decine di persone al Bois Sans Feuilles, e il più giovane Léo, chef della Colline du Colombier. I due figli s’incontrano al mercato, dove frugano tra mazzi di barbabietole e ravanelli, verdure dall’aspetto impeccabile e grappoli di funghi orecchioni. Poi si vedono con il padre per discutere le variazioni sul menu. Le immagini, infine, ci portano nel Bois Sans Feuilles.
Tutto sul cervello
È nella spaziosa cucina del ristorante, animata da un quieto brusio, che il documentario prende slancio. Wiseman passa da una postazione all’altra: uno chef sfiletta sapientemente un grosso salmone mentre un altro taglia con estrema precisione delle costolette. In un’altra area del locale, Michel e un sommelier discutono di alcune costosissime bottiglie di Borgogna. Intanto un esercito di camerieri si prepara a garantire un servizio fulmineo ai clienti del ristorante.
Menus-plaisirs ha tutte le virtù di un film di Wiseman, ma l’attenzione riservata alla bellezza del cibo preparato e servito con passione lo rende un’esperienza seducente, anche se non tutte le pietanze sono facilmente apprezzabili. Per esempio, dopo aver visto il film mi sento un po’ troppo esperta della cottura delle cervella di bovino.
Quando arrivano i clienti (chiamiamo questa sezione “servizio”), il ritmo della cucina accelera all’improvviso. Chiunque abbia mai apprezzato un grande cuoco in azione (dal vivo o in uno dei tanti show televisivi) sa quanto sia gradevole e perfino ipnotico osservare un artista della cucina mentre trasforma l’ordinario in straordinario. Wiseman è sensibile agli scorci e al suono della cucina, di cui fanno parte il rumore incalzante dei coltelli e il sibilo delle pentole. Il regista rende onore al duro lavoro individuale e alla coordinazione tra gli chef. Queste cucine, più che palcoscenici dell’ego, sono teatri di placida intensità.
Dopo il movimentato servizio Menus-plaisirs allarga il proprio sguardo, mostrando gli chef mentre incontrano i fornitori in un piccolo allevamento, in una cantina e in una sala di stagionatura. Il rispetto reciproco è palpabile. La conversazione è schietta e spesso vira verso la sostenibilità. Ognuno di questi interludi potrebbe diventare un documentario a sé, ma combinati insieme espandono il ritratto sfaccettato di una famiglia la cui cucina è passione, estetica, etica ed espressione d’amore.
Nelle cucine dei Troisgros emerge innegabilmente un genio individuale, ma anche un colossale sforzo collaborativo che rende il documentario un’adeguata metafora del cinema. “Tutto è splendido”, ammette un commosso Michel parlando del suo ristorante. Lo stesso si può dire di questo film, tanto gradevole quanto profondo. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1557 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati