Editoriali

Piccoli passi avanti in Ucraina

La pace ha ancora una possibilità. Il cambio di tono delle autorità russe, secondo cui la diplomazia può ancora trovare una soluzione alla crisi in Ucraina, è un passo minimo ma significativo nella direzione giusta. Per settimane la Russia ha giocato al rialzo con una mobilitazione militare e una retorica pericolosa. Gli Stati Uniti hanno risposto con un allarmismo altrettanto rischioso. Una spirale che poteva e può ancora far temere il peggio: molti conflitti, come la prima guerra mondiale, sono stati innescati dalla mobilitazione militare e da una dinamica delle alleanze divenuta impossibile da controllare.

Il tentativo russo di aprire una crepa nell’unità dell’occidente per ora è fallito. Anche la Germania, che molti consideravano l’anello debole dell’Unione europea a causa dell’ambivalenza dei suoi interessi politici ed economici con la Russia, non ha tentennato. Il cancelliere Olaf Scholz ha riaffermato l’inviolabilità delle frontiere dell’Ucraina e ha fatto capire che Russia e Germania hanno tutto l’interesse a trovare una soluzione diplomatica. La sospensione del gasdotto Nord stream2 potrebbe rientrare fra le sanzioni che europei e statunitensi approverebbero in caso d’invasione dell’Ucraina. Una minaccia che Putin, nonostante il suo avvicinamento alla Cina, deve prendere sul serio. Il suo sistema di potere dipende anche dai ricchi guadagni dell’esportazione di gas e petrolio in Europa.

E ora? Niente è ancora risolto. Forse Putin non ha ricevuto le garanzie che si aspettava in materia di sicurezza, ma solo un primo riconoscimento che gli permette di non perdere la faccia. Il suo ricatto sull’Ucraina ha provocato un balletto diplomatico di capi di stato e ministri in visita al Cremlino, e questo dimostra che la Russia è un elemento del quale si dovrà tenere conto nei futuri calcoli sulla sicurezza dell’Europa. ◆ ff

Lasciamo i soldi agli afgani

L’afgano medio non era ancora nato l’11 settembre 2001. È solo uno dei motivi per cui sarebbe ingiusto consegnare i fondi della banca centrale dell’Afghanistan alle famiglie delle vittime dell’attentato contro le torri gemelle. In Afghanistan ci sono già genitori costretti a vendere i loro organi per sfamare i figli, e il 98 per cento della popolazione non ha abbastanza cibo. Se il denaro non tornerà a circolare la situazione è destinata a peggiorare.

L’ordine esecutivo firmato l’11 febbraio dal presidente statunitense Joe Biden consente di dividere i sette miliardi di dollari della banca centrale afgana congelati dagli Stati Uniti dopo la presa del potere da parte dei taliban. Metà della cifra sarà conservata in attesa dell’esito delle cause intentate dai parenti delle vittime dell’11 settembre. L’altra metà, se i tribunali saranno d’accordo, sarà usata per gli aiuti umanitari all’Afghanistan. I fondi della banca centrale dovrebbero essere coperti dall’immunità diplomatica, ma a quanto pare Washington può disporne con il consenso di “un rappresentante riconosciuto del governo afgano”. A prescindere dai cavilli legali, l’aspetto morale è chiaro. Gli afgani non possono essere incolpati per i fatti dell’11 settembre 2001, di cui hanno già scontato ampiamente le conseguenze. Le famiglie delle vittime hanno già ricevuto sette miliardi di dollari, e altri dieci devono ancora essere versati. È evidente il contrasto con ciò che è successo in Afghanistan, dove nelle rare occasioni in cui gli Stati Uniti hanno accettato di risarcire le loro vittime civili le cifre sono state irrisorie.

Detto ciò, gli aiuti umanitari non sono un’alternativa a un’economia funzionante. Questo sistema apre una prospettiva in cui i salari degli operatori umanitari verrebbero pagati dagli afgani, mentre un’ondata di aiuti alimentari potrebbe causare altri danni all’agricoltura. Le Nazioni Unite hanno avvertito che il sistema finanziario afgano potrebbe crollare nel giro di pochi mesi. Sequestrare i beni della Banca centrale significherebbe assestare il colpo di grazia. Sono state proposte diverse soluzioni per ripristinare la liquidità senza cedere il controllo dei beni ai taliban. Il problema non è la mancanza di alternative, ma di volontà. Nessuno vuole aiutare i taliban, le cui prime vittime sono gli afgani. Ma nessuno può sostenere che il piano di Washington sia nell’interesse del popolo afgano. ◆ as

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1448 - 18 febbraio 2022
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