Editoriali

I repubblicani ostaggio di Trump

Donald Trump scherzava, ma solo a metà. Dopo l’annuncio della terza incriminazione nei suoi confronti, quando gli era stato chiesto di cosa avrebbe avuto bisogno per essere rieletto alla presidenza degli Stati Uniti, aveva risposto: “Di un altro rinvio a giudizio”. Il 14 agosto è stato accontentato, dallo stato della Georgia. Considerando che ogni rinvio a giudizio ha incrementato il suo vantaggio sui rivali repubblicani, a questo punto è molto probabile che sarà lui il candidato dei conservatori alla Casa Bianca nel 2024. La posizione del partito è denunciare la “caccia alle streghe” nei confronti di Trump. La sua campagna elettorale si basa sulla tesi secondo cui lui è l’unico che può difendere gli elettori da uno stato corrotto. I sondaggi indicano che più di metà degli elettori crede a questa idea. Ma nel complesso l’opinione pubblica statunitense non è ancora convinta, e il risultato di un’ipotetica sfida con Joe Biden appare incerto.

Nell’ultimo rinvio a giudizio, che riprende molte delle tesi formulate in quello federale, Trump è accusato di aver agito illegalmente per ribaltare il risultato elettorale del 2020, non solo in Georgia ma anche in altri stati e a livello nazionale. L’ex presidente è inoltre accusato di aver violato le leggi contro la corruzione, di aver istigato funzionari pubblici a violare i loro obblighi legali e di aver cospirato per rendere false testimonianze e presentare documentazioni alterate. Dato che si tratta di un procedimento statale e non federale, se Trump fosse rieletto non avrebbe la possibilità di concedersi la grazia. Secondo l’accusa Trump avrebbe partecipato direttamente agli illeciti: avrebbe diffuso una serie di pericolose bugie, cercato di intimidire funzionari elettorali e colleghi di partito affinché “fabbricassero” voti e provato a costringere il vicepresidente Mike Pence a non certificare al senato il risultato delle elezioni presidenziali.

Dopo quattro incriminazioni, è sbalorditivo che uno dei due grandi partiti statunitensi non abbia ancora escluso dalla corsa alla candidatura un uomo accusato di aver cospirato per sovvertire la democrazia, di aver messo a repentaglio la sicurezza nazionale, di aver ostacolato la giustizia e di aver falsificato i registri contabili per nascondere il denaro speso per comprare il silenzio di una pornostar. Questo, purtroppo, non fa che confermare la profonda trasformazione subita da un partito ormai ostaggio di Trump. ◆ as

L’Argentina precipita ancora

È diventato quasi un eufemismo descrivere la situazione dell’Argentina come una crisi. Da anni il paese sudamericano è afflitto dal declino economico e da una discordia politica che rende impossibili le riforme. Questo contesto ha permesso la vertiginosa ascesa di un candidato improbabile come Javier Milei, il più votato alle primarie del 13 agosto. La voglia di cambiamento è confermata dal secondo posto di Patricia Bullrich, leader dell’opposizione di destra.

Le primarie sono una peculiarità del sistema argentino. Prima delle presidenziali, che si terranno a ottobre, gli elettori sono chiamati a pronunciarsi per eliminare le candidature irrilevanti e risolvere le dispute all’interno dei partiti e delle coalizioni. Stavolta hanno rivelato la forza di Milei, che si definisce “anarco-capitalista” ed è considerato, a seconda dei punti di vista, un estremista di destra, un ultraliberista o un libertario. Economista con un passato nel settore finanziario, promette tagli radicali alla spesa pubblica e una drastica deregolamentazione. Milei attacca la politica nonostante sia un parlamentare, un paradosso che lo avvicina all’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro. È favorevole al possesso di armi e contrario all’aborto, e si esprime in modo aggressivo e minaccioso. Il candidato dei peronisti (al governo), il ministro dell’economia Sergio Massa, si è fermato al terzo posto, conseguenza ovvia di un’inflazione che supera il 100 per cento annuo mentre l’amministrazione stampa moneta per far quadrare i conti, alimentando la povertà e la disuguaglianza.

Il sistema a doppio turno dovrebbe favorire la moderazione e le alleanze, e c’è ancora tempo per una riconfigurazione del quadro elettorale. Ma sarà difficile trovare un’intesa sulle misure da adottare per rimediare al ritardo di un paese ancora fermo agli anni ottanta, che non ha più una moneta credibile e dipende dagli aiuti del Fondo monetario internazionale. ◆ as

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1525 - 18 agosto 2023
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