Arriva al suo secondo volume l’imperdibile cronaca di un lungo viaggio giovanile dell’autore compiuto insieme al cugino nella metà degli anni ottanta. Non assomiglia davvero a nulla di quanto visto e letto finora, eppure sono ormai numerosi, e non di rado notevoli, gli esempi d’ibridazione della fiction con il reportage, di viaggio e non. Dopo l’Italia e la ex Jugoslavia, il viaggio che diventa reportage (anche antropologico, anche politico) si rivela più che mai percorso della memoria, e si sposta alla Bulgaria e poi a Istanbul. Lavorando di pura poesia grafica, unendo con finezza profondità e immediatezza, l’autore, impregnato di surrealismo, crea suggestioni che danno una sensazione di levità spirituale, di sospensione nello spazio e nel tempo: come certo cinema d’autore più avanzato, le reminiscenze creano una sorta di dimensione proustiana dei poveri, o comunque della classe media, con digressioni altrettanto proustiane. I rimandi pittorici a Chagall e soprattutto a Turner sono osmotici con la realtà rappresentata e al tempo stesso diventano come un sogno. In altre parole, la memoria come sogno. E le lunghe digressioni, come il viaggio in Bielorussia di dieci anni dopo, all’inizio del potere di Lukašenko, documentano ma contemporaneamente, ancora una volta, annullano ogni confine. Scalcagnato come la vecchia auto con cui viaggiano, Visa transit è più che mai un trip road-movie. Francesco Boille

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Questo articolo è uscito sul numero 1438 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati