“Sosteniamo l’Ucraina”, c’era scritto su un cartello alla grande manifestazione pacifista del 27 febbraio a Berlino. Altri dicevano “Fermiamo la guerra!” in diverse lingue, e “Perché non semplicemente pace?”. Su altri ancora si leggeva: “Armi per l’Ucraina!”.
Un appello alla fornitura di armi in una manifestazione pacifista? Qualche anno fa sarebbe stato impossibile. Se qualcuno avesse mostrato un cartello simile sarebbe stato allontanato dagli altri manifestanti. Stavolta invece non solo questi messaggi sono stati tollerati, ma facevano parte di un quadro variegato composto da molte voci, ed erano tutt’altro che casi isolati.
“Se la Russia smette di combattere, la guerra finisce. Se l’Ucraina smette di combattere, l’Ucraina smette di esistere”, recitava un cartello che compare in una foto postata su Twitter da Campact, l’ong che ha organizzato la manifestazione.
Compromesso minimo
Se in passato la sinistra radicale aveva già chiesto di fornire armi ad altri paesi, finora i pacifisti non avevano mai voluto avere niente a che fare con l’uso della forza. Ora invece queste rivendicazioni possono essere sventolate accanto alle immagini delle colombe bianche, che da sempre hanno un solo, chiaro significato: costruiamo la pace senza armi.
C’è un altro motto che ogni pacifista conosce bene: la pace è qualcosa di più dell’assenza della guerra. Forse proprio questo spiega l’apparente contraddizione. Quello che univa le centinaia di migliaia di persone in piazza a Berlino era evidentemente non il desiderio di pace ma piuttosto, come compromesso minimo, l’assenza della guerra. E se questo obiettivo si può raggiungere solo con l’uso delle armi, perché il nemico non può essere convinto attraverso il dialogo, la diplomazia, le sanzioni, allora…
Per un vero pacifista è difficile concludere questa frase senza sentire di aver tradito i suoi ideali. Perché abbandonarli in una circostanza estrema come questa potrebbe voler dire dare ragione a chi pensa che i pacifisti siano degli ingenui fuori dalla realtà.
L’eccezione alla regola
Chi è convinto che nessuna ideologia da sola possa offrire la risposta giusta per ogni circostanza arriverà con il cuore pesante alla conclusione che l’Ucraina può essere una delle famose eccezioni alla regola. Dovrebbe esserlo. Lo è. Anche se la fornitura di armi non garantisce nemmeno la fine della guerra, ma solo il diritto dell’Ucraina a difendersi.
Ma un’eccezione significa che la regola è ancora valida. E che la diplomazia deve restare la via maestra per la risoluzione di tutti i conflitti. Qualunque altra strada porterebbe dritto alla barbarie.
Parlare è sempre meglio che sparare. Prendere tempo è sempre meglio di un’escalation avventata. Oggi molti accusano il governo tedesco di essersi attenuto troppo a lungo al principio di non far arrivare armi nelle zone di crisi. Ma qualcuno pensa davvero che Putin avrebbe rinunciato a invadere l’Ucraina se la Germania avesse consegnato dei missili un paio di settimane prima? Che il sostegno tedesco avrebbe potuto essere decisivo contro un esercito enorme come quello russo, che è possibile sconfiggere solo assumendosi il rischio di scatenare una terza guerra mondiale? Non è questo solo un modo per essere a posto con la coscienza, prima senza armi e ora con le armi?
Una cosa è certa: chi crede che la resistenza armata sia l’unica soluzione si sbaglia almeno quanto i pacifisti più intransigenti. È proprio per questo che le grandi manifestazioni pacifiste come quella di Berlino non sono superate, ma essenziali. ◆ mp
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Questo articolo è uscito sul numero 1450 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati