Da anni l’autore di questo libro – anima di collettivi molto attivi (prima Ippolita, ora Circe) – riflette sui modi migliori d’interagire con le tecnologie digitali senza farsene dominare e mantenendo aperta la curiosità e la critica, esprimendo insomma quella voglia di smontare per guardare cosa c’è dietro, che lui chiama “attitudine hacker” e che va insegnando a giovani e adulti. Quest’ultimo lavoro esprime bene l’essenza del suo pensiero. Alla base si scorge il principio profondamente anarchico dell’impossibilità di separare i mezzi dai fini. Applicato alla tecnologia significa che ogni strumento che usiamo non è solo un mezzo, ma ha dei suoi fini, legati alla sua invenzione ma anche alla sua evoluzione successiva. Comprendere questi fini significa da un lato liberarsi rispetto a esperti che lavorano volontariamente o meno per riprodurre potere, dall’altro interagire insieme ad altre persone con macchine (lavatrici, computer, internet, Google, TikTok…) che, in sé non hanno alcuna colpa, e sono piuttosto portatrici di caratteristiche proprie, quasi di personalità, spesso molto interessanti. Insomma, una volta capito cosa le tecnologie sono capaci di fare e far fare, possiamo anche decidere di usarle per liberarci, e di farlo “convivialmente”. Ci vuole pazienza, metodo e fantasia, e forse proprio per questo – sembra di capire – ne vale la pena. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1494 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati