Nel 1203, un gruppo di nobili francesi che si erano ritrovati a Costantinopoli per la quarta crociata furono testimoni di un incontro che avrebbe rivelato agli occhi del loro ospite, l’imperatore bizantino Alessio IV, la loro ignoranza del mondo fuori dall’Europa.

Mentre i nobili erano a palazzo, “venne un re la cui pelle era tutta nera, e aveva una croce al centro della fronte”. L’imperatore subito si alzò per andare incontro al re e rendergli onore. Poi si rivolse ai nobili e domandò: “Sapete chi è quest’uomo?”.

“Assolutamente no, sire”, am­mi­sero.

“È il re della Nubia, che è venuto qui in pellegrinaggio”, li informò l’imperatore.

Il re innominato di questa ricostruzione è Moses Georgios del regno di Makuria, che, seguendo la tradizione dei suoi predecessori, aveva abdicato al trono per ritirarsi a una vita di preghiera. I nobili franchi erano ignari del vasto mondo che si estendeva al di là del Mediterraneo e “guardavano il re con grande meraviglia”, invece i nubiani non erano per niente stupiti. Moses Georgios, infatti, non era né il primo africano della Nubia a visitare l’impero romano né il primo a viaggiare in veste ufficiale.

Più di mille anni prima di questo affascinante incontro, nel 20 aC, Amanirenas – regina del regno di Kush, da cui nacque poi quello di Makuria – aveva inviato degli emissari nell’isola greca di Samos per trattare con l’imperatore Augusto dopo la vittoria del suo esercito contro i legionari romani che avevano provato a invadere il suo regno. Solo dopo che Kush diede inizio a questo scambio diplomatico e istituì l’ufficio dell’“inviato a Roma” i romani mandarono i loro ambasciatori a Kush. Nel terzo secolo, un ufficiale romano di nome Actus lasciò un’iscrizione sul tempio di Musawwarat, in Sudan, per ricordare la sua missione e augurare “buona fortuna alla signora regina” di Kush.

Altri imperatori romani, per esempio Nerone, diedero seguito all’iniziativa di Kush organizzando la famosa spedizione sul Nilo, con due centurioni accompagnati da scorte kushite e lettere di salvacondotto dall’antica città di Meroe. Spesso descritta come una missione scientifica finalizzata alla scoperta della fonte del Nilo, in realtà la spedizione aveva soprattutto l’obiettivo politico di conquistare Kush.

In quello che sarebbe diventato un motivo ricorrente nelle relazioni tra l’Africa e l’Europa, furono quasi sempre gli africani i primi a prendere l’iniziativa nel processo di scoperta dell’Europa e del resto dell’Africa, in contraddizione con le teorie che ingigantiscono il ruolo degli “audaci” esploratori europei dei quali parla la tradizione vittoriana. Emissari e pellegrini africani intrapresero spesso pericolosi viaggi in Europa sulla base di consolidati costumi politici e culturali, nati da processi interni ai loro regni.

Il regno di Makuria di Moses Georgios era ricco di luoghi di pellegrinaggio, tra cui la chiesa di Banganarti, dove nel quattordicesimo secolo un franco originario dell’attuale Provenza lasciò un’iscrizione nella sua lingua nativa, ricambiando in un certo senso la cortesia del re nubiano che secoli prima aveva incontrato i nobili franchi a Costantinopoli.

Il regno di Kush della regina Amanirenas fu una grande potenza del Mediterraneo antico, soprattutto al suo apice, nel settimo secolo aC. Emissari di Kush furono inviati presso la capitale assira di Ninive, nell’attuale Iraq, dove sono stati scoperti dei sigilli di argilla con i calchi assiri e kushiti, probabilmente collegati al ruolo di Kush nelle guerre tra l’Assiria e il regno di Giuda. Mercenari e addestratori di cavalli kushiti compaiono nelle diaspore di vari imperi classici, dall’Assiria alla Persia, dalla Grecia a Roma.

Gli africani furono quasi sempre i primi a prendere l’iniziativa nel processo di scoperta dell’Europa, in contraddizione con le teorie che ingigantiscono il ruolo degli europei

La tradizione diplomatica kushita che ispirò i viaggi nell’Europa romana sarebbe continuata anche in epoca tardoromana, quando sia Roma sia Kush entrarono in declino.

Nel 336, gli emissari di Kush arrivarono a Costantinopoli accompagnati dai rappresentanti del regno dei blemmi, che occupavano anche loro la Nubia. Mentre l’imperatore Costantino non ricambiò ufficialmente la visita, nel 453 una missione guidata da Olimpiodoro di Tebe partì dall’Egitto romano per raggiungere la capitale dei blemmi su invito dei governanti locali, quasi un secolo dopo il crollo di Kush e l’ascesa della Nubia.

I tre regni nubiani cristiani, che raccolsero l’eredità di Kush e assorbirono il regno dei blemmi, furono altrettanto aperti ai contatti con il mondo romano. Nobazia, Makuria e Alodia accolsero due missioni religiose da Costantinopoli guidate da Giuliano e Longino, rispettivamente nel 541 e nel 569. Nel 573, il regno di Makuria inviò un emissario a Costantinopoli con un carico di doni per l’imperatore Giustino. Makuria si unì al regno di Nobazia nel settimo secolo e poi a quello di Alodia nell’undicesimo secolo, poco prima del viaggio di Moses Georgios a Costan­tinopoli.

A rendere quella visita ancora più degna di nota fu il fatto che il re e i suoi compagni nubiani volevano raggiungere la chiesa di Santiago di Compostela in Spagna, un sito importante di cui i pellegrini nubiani erano probabilmente a conoscenza grazie alla loro ben documentata presenza in Terra Santa, oltre che a Cipro e in Siria.

Come i loro più illustri connazionali, i pellegrini nubiani si erano spinti oltre i monasteri dell’Africa nordorientale e dell’Asia occidentale per raggiungere mete meno conosciute nell’Europa meridionale. Un codice latino del dodicesimo secolo e un testo del quattordicesimo secolo di Ibn Idhari attestano la presenza di pellegrini nubiani a Santiago fin dal decimo secolo.

Gli africani che viaggiavano per l’Europa premoderna non erano originari solo della Nubia. Nel 336 per celebrare i trent’anni del regno di Costantino si recarono a Costantinopoli, insieme agli ambasciatori dei regni di Kush e dei blemmi, gli emissari del regno di Axum, in quelle che oggi sono Etiopia ed Eritrea.

Non era la prima volta che gli axumiti visitavano una capitale romana in veste ufficiale: nel 272, i rappresentanti del regno avevano partecipato ai festeggiamenti per il trionfo dell’imperatore Aureliano sulla regina Zenobia. La visita del 336, tuttavia, fu un’occasione importante, perché coinvolgeva tre diversi stati africani in impegni internazionali ben lontani dai loro territori.

Axum era un importante partner commerciale di Roma: i mercanti axumiti trasbordavano beni di lusso dallo Sri Lanka nel porto di Adulis, prima di salpare verso i porti romani nel nord del Mar Rosso. L’iniziativa axumita di contattare Roma fu ricambiata alla fine del quinto secolo da un famoso avvocato di Tebe, esperto viaggiatore, e solo nel 530 l’imperatore bizantino Giustiniano inviò due missioni ad Axum, guidate da Giuliano e Nonnosus. Gli axumiti avevano già inviato degli uomini a Costantinopoli nel 362, e ricambiarono la visita di Giustiniano mandando due missioni presso la sua corte nel 532 e nel 549, prima che l’ascesa degli imperi islamici segnasse il declino del dominio axumita e bizantino sulla regione del Mar Rosso.

Mentre gli imperi islamici dell’Africa concentrarono le loro relazioni soprattutto sul vicino oriente, la fondazione dell’Andalusia (la Spagna musulmana) nell’ottavo secolo spinse in Europa altri africani, oltre a quelli della Nubia e di Axum.

Gabriella Giandelli

Un resoconto illuminante scritto nel dodicesimo secolo documenta la presenza di viaggiatori africani nell’Europa sudoccidentale. Parlando della diffusione dell’islam nell’impero del Ghana, il geografo andaluso Al Zuhri scrive: “Oggi gli abitanti del Ghana sono musulmani e hanno studiosi, avvocati e lettori del Corano, e sono diventati preminenti in questi campi. Alcuni dei loro capi sono venuti ad Al Andalus (Andalusia)”. Questa presenza in Spagna è ulteriormente corroborata dagli scritti di Ibrahim al Kanemi, un erudito dell’Africa occidentale che aveva studiato in Ghana e si era ritirato in Spagna dopo una brillante carriera come grammatico a Marrakesh, capitale del califfato degli almohadi.

Dall’altra parte del continente, a partire dal quattordicesimo secolo gli emissari africani dell’impero d’Etiopia stabilirono contatti diretti con i regni dell’Europa meridionale, finendo per creare una comunità permanente di studiosi etiopi a Roma. Dopo che le invasioni della Nubia e degli stati crociati da parte del sultanato mamelucco mandarono in fumo la ventilata alleanza tra “i cari cristiani neri della Nubia” e i regni europei, nel 1306 un gruppo di trenta etiopi raggiunse Avignone, in Francia, passando per Roma. Il gruppo, anche se probabilmente era composto solo da pellegrini, si presentò come emissario ufficiale dell’imperatore d’Etiopia Wedem Arad (1314). Solo nel 1402 una nuova delegazione etiope, stavolta in veste ufficiale, fu inviata dall’imperatore Dawit (1382-1413) presso la repubblica di Venezia.

Questa missione diplomatica era parte di una triplice delegazione internazionale che ne prevedeva l’invio di altre due a Roma, nel 1403 e nel 1404. In un resoconto etiope si legge che dei pellegrini provenienti “dalla terra dei franchi” (gli europei latini), arrestati negli anni 1390 da Dawit per sconfinamento, avevano parlato all’imperatore di alcune reliquie sacre conservate nel loro paese. Come i loro predecessori nubiani, gli etiopi erano animati da una volontà di scoperta fondata su processi culturali e politici interni all’Etiopia, dove l’acquisizione di reliquie serviva ad affermare il prestigio e i diritti dinastici dei re.

Altre spedizioni etiopi raggiunsero l’Aragona nel 1427, Roma e l’Aragona nel 1450, il Portogallo nel 1452 e di nuovo Roma nel 1481. La prima missione diplomatica ufficiale europea in Etiopia arrivò solo nel 1494, dal regno del Portogallo. I rappresentanti del regno, che qualche anno prima avevano circumnavigato l’Africa, avviarono contatti marittimi regolari con l’Etiopia a partire dal 1520.

L’arrivo delle navi europee intorno al 1500, agli albori dell’era moderna, alterò la dinamica dei contatti tra l’Africa e l’Europa: mentre prima erano stati gli africani a cercarli, ora gli africani e gli europei erano impegnati in un processo di scoperta reciproca.

Dopo molti tentativi falliti di colonizzare la regione del Senegambia nell’Africa occidentale, dove erano approdati intorno al 1440, i portoghesi furono costretti a inviare una serie di delegazioni nelle capitali africane. Queste visite furono bene accolte e immediatamente ricambiate. La prima spedizione diplomatica africana proveniente dalla costa atlantica fu quella del regno del Benin (compreso nell’attuale Nigeria) nel 1486-87, guidata da Ohen Okun. Poi ci furono da quella del regno di Kongo (oggi in Angola) nel 1487-88, guidata da Kala ka Mfusu, e poi quella del regno Wolof (oggi in Senegal) nel 1488, guidata dal principe Jelen.

I viaggi degli africani in Europa non si limitarono alle missioni diplomatiche e ai pellegrinaggi. L’impero d’Etiopia e il regno del Kongo, che avevano entrambi scelto il cristianesimo adattandolo, mantennero in Europa continentale una presenza semipermanente, per facilitare le loro attività e i loro spo­stamenti.

La missione diplomatica del Kongo in Portogallo del 1488 trasformò un monastero di Lisbona in una residenza permanente delle élite kongolesi nel paese. Nel 1497, i pellegrini e gli emissari etiopi a Roma convertirono la chiesa di Santo Stefano, alle spalle della basilica di San Pietro, nella loro residenza principale. Queste residenze diventarono canali privilegiati per gli scambi culturali e intellettuali tra gli studiosi europei e africani e furono usate da vari viaggiatori provenienti dall’Africa nei loro spostamenti attraverso il continente. La delegazione del Kongo a Roma del 1513 fu guidata dal principe Henrique, mentre il pellegrino etiope Täsfa Seyon arrivò a Santo Stefano nel 1535 ed ebbe una notevole influenza su papa Paolo III e su Ignazio di Loyola, fondatore dell’ordine dei gesuiti.

Altri viaggiatori africani ed europei attraversarono l’Atlantico per visitare le rispettive terre nel seicento e nel settecento, secondo un modello consolidato di scambi e scoperta reciproci. I regni africani continuarono a inviare loro rappresentanti ufficiali in Europa, per esempio con le missioni del regno di Allada in Spagna nel 1552 e nel 1657 e in Francia nel 1670, o quella del regno dei Temne in Portogallo nel 1660. Altri regni spedirono i loro rappresentanti in varie capitali dell’Europa occidentale.

Solo alla fine del settecento le potenze europee cominciarono a organizzare missioni semi-scientifiche con mire imperialistiche per esplorare quello che ai loro occhi era un continente africano ancora relativamente sconosciuto. Per gli africani, invece, l’Europa continentale era una regione ben nota grazie ai loro esploratori, che l’avevano visitata innumerevoli volte. Gli stati africani del Kongo e dell’Etiopia, in particolare, avevano familiarità con lo scenario politico europeo, avendo inviato sul continente un gran numero di emissari, studiosi e pellegrini.

Nell’ottocento, gli esploratori europei documentavano nel dettaglio i loro viaggi nell’entroterra africano seguendo itinerari creati dagli africani, con guide da scorte africane e grazie a salvacondotti delle autorità africane, e gli esploratori africani usavano gli stessi metodi nell’entroterra europeo. I due continenti erano impegnati in un processo di esplorazione reciproca.

Il più importante diario di viaggio scritto da un africano è quello dell’esploratore comoriano Selim bin Abakari, che attraversò la Germania e l’impero russo e raccontò i suoi spostamenti in Safari yangu ya Urusi na ya Siberia (Il mio viaggio in Russia e in Siberia) del 1896. Altri diari di viaggio sono quelli degli etiopi Sägga Krestos, che in Narratione del sig. Zagra Cristos racconta di un viaggio in Italia e in Francia nel seicento, e Fesseha Giyorgis, autore di Un racconto di un viaggio dall’Etiopia all’Italia nel 1895.

Il testo di Selim è particolarmente affascinante per le analogie con i diari di viaggio scritti dagli europei che erano impegnati negli stessi anni a visitare il continente africano. Gli africani erano già stati in Europa orientale, meridionale e occidentale, ma sapevano molto poco dell’Europa settentrionale. Originario della costa orientale, Selim descriveva una parte del continente europeo sconosciuta ai suoi connazionali.

L’esploratore era stato in Germania, in Russia, in Siberia, in Mongolia e in Kazakistan ed era entrato in contatto diretto con le popolazioni locali. Da musulmano, l’incontro con persone che seguivano la sua religione nell’Europa del nord l’aveva stupito: “Come ha fatto l’islam ad arrivare in territori così lontani da tutto?”, scrive. Nel suo diario si trovano descrizioni topografiche ed etnografiche dettagliate di vari luoghi e comunità dell’impero russo, dove “il sole tramonta a mezzanotte”. Alla fine Selim scrive: “Davvero, quando un uomo viaggia non smette mai d’imparare e di scoprire tanto”.

La storia dei rapporti tra Africa ed Europa mette in discussione l’interpretazione popolare della scoperta, che spesso ingigantisce o attribuisce in maniera erronea l’iniziativa del contatto agli europei. I viaggiatori africani furono i primi a creare occasioni d’incontro con le lontane società europee premoderne e intrattennero rapporti di scoperta ed esplorazione reciproca con quelli europei per tutta l’era moderna. I diplomatici, gli studiosi e i pellegrini africani in Europa furono essenziali nella scoperta transcontinentale e nella conoscenza geografica, in un’epoca in cui la concezione europea dell’Africa continentale era ancora intrisa di fantasie e voci di epoca antica e medievale.

Il nostro concetto di scoperta è il frutto di una prospettiva eurocentrica e non tiene nella giusta considerazione il cosmopolitismo e l’intraprendenza di tanti africani che hanno dato un contributo importante alla nostra conoscenza condivisa. Visti gli scambi avviati dagli africani con l’Europa e la presenza continua dei viaggiatori africani in Europa continentale, l’idea di una “scoperta europea dell’Africa” è quasi ridicola. ◆ fas

Isaac Samuel è un ricercatore indipendente che si dedica alla storia del continente africano. Questo articolo è uscito sulla rivista statunitense New Lines magazine con il titolo Did europeans discover Africa? Or was it the other way around?.

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Questo articolo è uscito sul numero 1508 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati