Il 20 gennaio 2020 circa 2.500 passeggeri si presentano al porto di Yokohama, lo stesso dove 167 anni fa sbarcarono gli americani mettendo fine a più di due secoli di isolamento del Giappone. I nuovi arrivati non vedono l’ora d’imbarcarsi su una nave da crociera che li traghetterà da un porto all’altro dell’Asia, sgravandoli dalle fatiche del turismo fai da te. La loro unica preoccupazione, mentre si accingono a passare due settimane in mare lasciandosi alle spalle il lavoro e la routine della pensione, è essere serviti e riveriti, almeno per quanto consente la cifra che hanno speso.

I depliant descrivono la Diamond Princess come “una pietra preziosa nei mari del mondo” dove “giorno e notte, è sempre un’avventura”. Lo sfondo di quest’avventura è una nave di 116mila tonnellate, lunga come tre campi da calcio e capace di trasportare un equipaggio di più di mille persone, oltre ai passeggeri. Da lontano risplende di bianco, con una cintura di scialuppe di salvataggio color arancio acceso avvolta attorno alla pancia. Il ponte principale, disseminato di piscine e vasche idromassaggio, è tinteggiato di blu di metilene e verde dentifricio, che gli danno un’aria a un tempo slavata e luminosa. Su un lato della nave i passeggeri possono giocare a golf in un campo da nove buche; sull’altro lato possono correre su una pista all’aperto o finire la loro partita di golf a un simulatore.

La Diamond Princess esiste in uno strano limbo storico. C’è il wifi ad alta velocità, ma anche locali notturni e bar dai nomi rétro come Skywalkers, Club fusion e Wheelhouse, con musica dal vivo, luci soffuse e la malinconia esteticamente inoffensiva degli hotel internazionali. Nella Churchill’s lounge si viene avvolti dal fumo dei sigari in mezzo a poltrone in pelle imbottite. Per i bambini ci sono asili nido e per i ragazzi centri con giochi, gadget e chitarre in abbondanza. I genitori possono rilassarsi nel “santuario”, un rifugio nel rifugio per soli adulti. Gli ospiti passano da un concerto a una puntata al casinò, ammirano comici e prestigiatori, partecipano a quiz e aste d’arte.

Il mangiare è una storia a parte. A bordo ci sono una steakhouse, una pizzeria e una serie di ristoranti specializzati in sushi e cucina italiana. I buffet offrono costolette, escargot e crème brûlée serviti in porzioni gigantesche a ogni ora del giorno e della notte. La nave ha suo un barista specializzato in cocktail, un suo sommelier e un suo chocolatier.

La Diamond Princess è una delle circa trecento navi da crociera che ogni anno fanno il giro del mondo. Nel 2019 queste enormi strutture hanno portato in mare trenta milioni di appassionati di un genere di vacanza che sembra appartenere a un’altra epoca, quando i turisti non avevano ancora cominciato a preferire l’autenticità al lusso, la sostenibilità agli eccessi e l’avventura alla stimolazione sedentaria. L’esperienza della crociera potrà sembrare datata, ma i passeggeri mostrano di apprezzarla sempre di più. Nel 2019 la Carnival Corporation, il più grande conglomerato di navi da crociera del pianeta, che oltre alla Princess Cruises possiede altre otto linee e trasporta ogni anno metà dei crocieristi del mondo, ha totalizzato ricavi per 21 miliardi di dollari, una cifra record.

Alcune compagnie di crociera investono nella costruzione di navi gigantesche, in grado di offrire una varietà quasi inesauribile di scelte di ristorazione e intrattenimento per il maggior numero di persone possibile (la Symphony of the Seas, la più grande nave da crociera del mondo, può ospitare quasi settemila passeggeri). La Princess Cruises è orgogliosa dell’esperienza che offre. Jeraldine Saunders, un’ex dipendente, ha scritto nel suo libro di memorie The love boats del 1974 che il direttore di crociera – il ruolo che lei ricopriva – è “la persona che a bordo di una nave di lusso ha la responsabiità di rendere tutti felici” (un fortunato telefilm basato sul libro di Saunders ha raccontato le storie romantiche di una serie di passeggeri immaginari). A più di quarant’anni di distanza, lo scopo di una crociera della Princess rimane lo stesso: incoraggiare i clienti a socializzare con l’equipaggio e con gli altri ospiti invece di stare sempre con gli amici o i familiari con cui si sono imbarcati.

Per chi non è mai stato in crociera, il mondo si divide in due gruppi: quelli che pagherebbero per fare un’esperienza così e quelli che pagherebbero per non farla. Chi c’è stato, però, sa che su ogni nave esiste una gerarchia che rispecchia quella della società a terra. È possibile prenotare una suite con vista sull’oceano o scegliere una piccola cabina nelle viscere della barca. Molti passeggeri sono pensionati con un reddito modesto, che possono permettersi di viaggiare per settimane in mare solo a patto di alloggiare nelle cabine più economiche (senza finestre) e di passare tutto il tempo sul ponte. Negli ambienti più angusti e congestionati un esercito di camerieri, addetti alle pulizie e cuochi dorme quando può. Per il resto del tempo è impegnato a coccolare gli ospiti, incoraggandoli a godersi gli extra come gli alcolici, il gioco d’azzardo, la vendita di gioielli di lusso e le aste, da cui la Princess Cruises ricava buona parte dei profitti.

Uno dei passeggeri fatti sbarcare dalla nave a Yokohama, in Giappone, il 19 febbraio 2020 (Jae C. Hong, Ap/Lapresse)

Anniversario di nozze

Il 20 gennaio, mentre la Diamond Princess si prepara a salpare da Yokohama, le autorità cinesi sono alle prese con un’epidemia di un nuovo coronavirus identificato a Wuhan, una città della Cina centrale. Il virus sembra provocare una grave forma di polmonite in alcuni soggetti contagiati e si sta diffondendo rapidamente. Nei cinque giorni che la nave impiega per arrivare da Yokohama a Hong Kong, il numero dei casi di covid-19 confermati nel mondo quadruplica, arrivando a 1.320. La maggior parte è nella Cina continentale; cinque sono proprio a Hong Kong.

Carlos Soto e Yardley Wong s’imbarcano sulla Diamond Princess a Hong Kong il 25 gennaio, il primo giorno del capodanno cinese, per una vacanza in famiglia. Oltre al figlio, insieme a loro ci sono i genitori di Wong, una zia e uno zio. Wong ha prenotato il viaggio con mesi di anticipo e la coppia si prepara a festeggiare a bordo il suo anniversario di matrimonio. Con l’epidemia del nuovo coronavirus che sta già infestando Hong Kong, Soto e Wong sono preoccupati e si sono portati una scorta di mascherine e disinfettanti per le mani. Prima di salire a bordo hanno dovuto compilare un questionario sullo stato di salute, “ma una volta che ci siamo imbarcati, abbiamo scoperto che nessuno indossava la mascherina”, dice Soto. “La vita sulla nave era molto vivace, un sacco di spettacoli, un sacco di divertimenti”.

L’esplosione dell’epidemia nella regione si riflette in una serie di piccoli gesti. Gli ospiti sono invitati a lavarsi le mani prima di mangiare. Alcune porte restano aperte, in modo che i passeggeri non debbano toccare le maniglie. Siccome però nessuno sta prendendo altre precauzioni, i Soto decidono di lasciare in cabina le mascherine e i disinfettanti e di passare le giornate in compagnia degli altri passeggeri nelle sale da pranzo e negli auditorium.

Dal primo febbraio comincia a girare voce che un passeggero sbarcato a Hong Kong sia risultato positivo al covid-19. Wong e Soto ripensano immediatamente a tutti i pranzi e le cene a bordo e a tutti gli spettacoli che hanno visto gomito a gomito con gli altri ospiti. Il pensiero delle mascherine inutilizzate nella loro cabina comincia a diventare un tarlo.

La sera del 27 gennaio, mentre la Diamond Princess salpa dal porto di Chan May in Vietnam, Spencer Fehrenbacher, un canadese di Vancouver di 29 anni, comincia ad avvertire i sintomi della febbre. Gli fanno male le ossa, ha la fronte che scotta e i sudori freddi. Per le ventiquattr’ore successive, mentre gli altri passeggeri scendono nella baia di Ha Long – una distesa di acque blu smeraldo punteggiate di lussureggianti isole boscose – Fehrenbacher se ne sta rannicchiato nel suo letto. L’amico statunitense con cui divide la stanza decide di andare a dormire sul pavimento della cabina accanto, insieme ai loro compagni di viaggio. La sera del 28, mentre la nave si dirige verso Taiwan, Fehrenbacher comincia a stare meglio.

L’uomo è partito da Tianjin, una città appena a sud di Pechino dove da un anno frequenta il corso di laurea in economia internazionale. Il 20 gennaio, quando lui e i suoi amici si sono imbarcati sulla Diamond Princess, avevano già sentito parlare del nuovo coronavirus. Dieci giorni prima era stato annunciato il primo morto a Wuhan. “Forse noi eravamo un po’ più consapevoli della gravità del coronavirus perché vivevamo in Cina”, racconta Fehrenbacher. A Kagoshima, la città giapponese dove la nave attracca il 22 gennaio, si fermano “a un minimarket 7-Eleven per comprare delle mascherine chirurgiche, che all’epoca ancora si trovavano facilmente in tutti i negozi”. Come Soto e Wong, però, si fanno trascinare dal comportamento disinvolto degli altri passeggeri. Appena tornati a bordo, mettono via le mascherine.

I Baja boys

La vita di crociera è un’occasione “per non fare niente per due settimane”, a parte un po’ di baldoria. Per Fehrenbacher e i suoi amici la doppia con vista sull’oceano sul ponte Baja diventa una tappa fissa nel passaggio continuo da una serata quiz a una seduta nella vasca idromassaggio. Gli altri passeggeri li chiamano i “Baja boys”. “All’inizio era un po’ strano essere gli unici millennial scapoli su una nave in cui la maggior parte delle persone aveva più di cinquant’anni”, dice Fehrenbacher. “Ma dopo un po’ di giorni passati a bere e a mangiare abbiamo cominciato a conoscere altra gente”.

Quando la Diamond Princess sbarca a Hong Kong, Fehrenbacher si allarma perché vede che a terra tutti indossano la mascherina. Un paio di giorni dopo, quando gli viene la febbre, si preoccupa ancora di più. Nei giorni successivi ha anche un po’ di mal di gola. Quando la nave fa tappa a Taiwan e Okinawa, evita di scendere per paura che lo scoprano e non lo facciano tornare a bordo.

Alle 18.30 del 3 febbraio, mentre la nave fa di nuovo rotta verso Yokohama, il capitano fa un annuncio speciale all’altoparlante. La sua voce è trasmessa in ogni sala e cabina: “Gentili passeggeri, siamo stati informati dalle autorità sanitarie di Hong Kong che un loro cittadino, rimasto per cinque giorni a bordo della Diamond Princess e sbarcato il 25 gennaio, è risultato positivo al nuovo coronavirus il primo febbraio, sei giorni dopo aver lasciato la nave”.

I passeggeri vengono informati che saranno trattenuti per qualche ora dopo il loro arrivo a Yokohama, dove il personale medico giapponese li sottoporrà ai dovuti controlli prima dello sbarco. Intanto, chiunque abbia avvertito sintomi durante la crociera è pregato di presentarsi al presidio medico, sul ponte più basso della nave, dove gli misureranno la temperatura e gli chiederanno di compilare un questionario sul suo stato di salute.

Fehrenbacher è sotto shock. È convinto di aver preso il virus, ma è indeciso se seguire le istruzioni o no. “La mia prima preoccupazione era che se fossi risultato positivo al virus mi avrebbero messo in quarantena e non sarei potuto tornare a casa”, racconta. “Se invece non ce l’avevo, temevo di finire in una sala piena di gente con la tosse e la febbre”. Camminando nervosamente per la cabina, Fehrenbacher confessa al suo compagno di stanza che vorrebbe ignorare l’ordine. Il suo amico si arrabbia. “Mi ha fatto capire che avevo l’obbligo morale – e forse anche giuridico – di autodenunciarmi”, dice. Alla fine Fehrenbacher scende nella pancia della nave e si presenta al presidio medico. Nella sala d’aspetto ci sono il doppio delle persone per cui è stata progettata. Molti passeggeri si allontanano starnutendo o visibilmente febbricitanti.

Poco dopo le 23, il personale sanitario giapponese in tuta protettiva comincia a bussare alle porte per selezionare i passeggeri da sottoporre al test per il covid-19. Sono le 4.30 del mattino quando arrivano alla stanza di Fehrenbacher. Gli fanno una serie di domande sui suoi sintomi e sugli ultimi viaggi che ha fatto, chiedendogli, in particolare, se è stato a Wuhan. Quindi bussano alla cabina successiva. Più tardi ripassano e gli fanno un tampone alla gola, informandolo che avrà i risultati entro sei ore. Al primo giro vengono testate 253 persone.

Quando arriva l’alba, a Fehrenbacher sembra di sognare. Le sale da pranzo brulicano di passeggeri che pascolano al buffet per la colazione. Più tardi la gente comincia a bere nelle sale. Per tutta la giornata, gli ospiti della Diamond Princess mangiano, chiacchierano e si godono l’intrattenimento a bordo. Il personale sanitario seguita a fare i suoi controlli. Al Club fusion, i musicisti continuano a suonare.

La festa si interrompe bruscamente la sera del 4 febbraio: “Ho appena ricevuto istruzioni dagli ispettori di quarantena giapponesi”, annuncia il capitano all’altoparlante in un tono monocorde che non rassicura affatto i passeggeri. “Per ora tutti i nostri ospiti devono rimanere nelle loro cabine e attendere ulteriori istruzioni”. Più tardi arriva un altro annuncio. La nave è stata messa in quarantena e i passeggeri dovranno rimanere confinati nelle loro cabine per almeno 14 giorni. I corridoi della nave si riempiono subito di ospiti che istintivamente escono a lamentarsi faccia a faccia con i loro vicini di stanza. “Che palle!”, dice uno.

Fehrenbacher si accorge che il suo umore cambia a seconda di quello che legge online sul covid-19. Quando scade il termine delle sei ore e il personale sanitario ancora non gli comunica i risultati, pensa che il fatto che lo trattengano a bordo sia il segno che non ha contratto il virus. Ma più si documenta, meno si sente sicuro. La notizia dello scoppio dell’epidemia sulla nave ha fatto il giro del mondo e quando il 7 febbraio Fehrenbacher apprende da un servizio della Cnn che a bordo ci sono 41 nuovi casi di positivi al ­covid-19, si convince di essere uno di loro. Temendo che lo porteranno in ospedale senza preavviso, registra un breve video da inviare alla famiglia. “Se state guardando questo video, significa che sono risultato positivo al coronavirus e mi stanno portando in un ospedale giapponese, non so dove”, dice con la voce strozzata. “Sto registrando questo video solo per dire ‘ciao’, per dire alla mia famiglia e ai miei amici ‘vi voglio bene’, e lo faccio ora nel caso non ne avessi più il tempo… in caso”.

Più tardi, quando finalmente Fehrenbacher scopre di essere risultato negativo, la sua disperazione si trasforma in euforia. L’entusiasmo è aumentato da abbondanti dosi di alcol: il 9 febbraio l’amministratore delegato della Princess Cruises Jan Swartz informa i passeggeri che oltre ad avere un rimborso totale e una crociera in omaggio in futuro, per tutta la durata della quarantena potranno ordinare da bere gratuitamente. Fehrenbacher e il suo compagno di stanza si fanno portare vino e birra.

Più tardi, quando finalmente Fehrenbacher scopre di essere risultato negativo, la sua disperazione si trasforma in euforia

Camera con balcone

Per i passeggeri che si sono potuti permettere una camera con balcone, avere uno sfogo all’esterno offre un po’ di tregua dalla seccatura di dover lavare i panni nel lavandino del bagno e dall’odore della spazzatura che comincia ad accumularsi nelle cabine mentre l’equipaggio fatica a stare dietro alle richieste degli ospiti in cattività.

Ogni giorno Fehrenbacher e i suoi amici guardano il tramonto sul balcone e chiacchierano con i vicini di quanto sono stati fortunati con le ordinazioni delle bevande, che da quando gli alcolici sono diventati gratuiti si sono moltiplicate. Il metodo migliore, hanno scoperto i passeggeri, è scarabocchiare un ordine su un pezzo di carta e lasciarlo in corridoio con una banconota sotto. L’alcol, unito alla sensazione di essere sopravvissuti dopo aver spezzato il pane con un assassino, portano molti ospiti, compreso Fehrenbacher, a vivere la quarantena come una specie di prolungamento della vacanza.

In una giornata di sole i passeggeri delle cabine con affaccio sul mare sono attirati fuori dal suono della musica pop giapponese che accompagna un’esibizione improvvisata di moto d’acqua. Per dieci o quindici minuti i motociclisti fanno acrobazie mentre i passeggeri li osservano dai balconi incoraggandoli con i bicchieri in mano. Quando la musica finisce e le moto d’acqua se ne vanno, Fehrenbacher tenta disperatamente di prolungare il momento. Lui e il suo compagno di stanza statunitense fanno partire una ola. “Alla fine siamo riusciti a farla arrivare da un capo all’altro della nave”, dice. “È stato bellissimo vedere tutte quelle persone entrare in connessione in un momento così difficile”.

A una settimana dall’inizio della quarantena, Fehrenbacher si sente più sollevato. Ha ricevuto una lettera dall’American center for disease control in cui si dice che in base alle ultime informazioni disponibili “rimanere nella propria stanza sulla nave è l’opzione più sicura per ridurre al minimo il rischio di contagio”. In più, ha notato che per vari giorni di fila il capitano non ha parlato di nuovi contagi tra i passeggeri nei suoi annunci quotidiani all’altoparlante. Il 13 febbraio Fehrenbacher comincia a pensare che la quarantena potrebbe finire presto. Due giorni dopo, però, mentre si prepara per un’intervista a un telegiornale canadese, rimane di sasso quando sente l’introduzione al servizio sulla Diamond Princess. “Avete appena detto che ci sono 67 nuovi casi?”, chiede Fehrenbacher. “Ho sentito bene?”. Il conduttore gli conferma che è così, e che il numero totale di contagi confermati a bordo della nave è salito a 285. “Ah, non me n’ero reso conto”, dice Fehrenbacher. Il capitano, evidentemente, ha semplicemente smesso d’informare i passeggeri sui nuovi casi (interpellata per un chiarimento, la Carnival Corporation dice di aver fatto “tutto il possibile per essere aperta, onesta e trasparente e per garantire la salute e il benessere degli ospiti e dell’equipaggio”).

Fehrenbacher è preso di nuovo dal terrore. Lo stesso giorno, la Diamond Princess esce per qualche ora in mare per accendere i motori. Quando torna in porto, attracca dal lato opposto. Dal suo balcone Fehrenbacher non vede più il monte Fuji e il mare aperto ma un orrendo porto pieno di ambulanze e uomini in tute protettive. “Solo allora ci siamo resi conto che le persone si ammalavano e morivano”, racconta. “Solo allora abbiamo smesso di bere, ci siamo messi le mascherine e abbiamo cominciato a prendere le cose più seriamente”.

Disinfezione a bordo della Diamond Princess, 7 febbraio 2020 (The Asahi Shimbun/Getty Images)

Affaccio interno

Nella brochure della Diamond Princess, subito dopo le promesse di nuovi posti da scoprire e occasioni per rigenerarsi, c’è una pagina con la gerarchia delle cabine in ordine decrescente: grand suite con balcone, suite con balcone, mini-suite con balcone, doppia vista mare con balcone, vista oceano deluxe, doppia vista mare, doppia con affaccio interno.

La doppia con affaccio interno di Aun Na Tan è sul ponte 10, un piano sotto la cabina dei Baja boys. Tan dorme in una cuccetta singola; sopra di lei c’è il letto di Kaitlyn, la figlia di 16 anni. In un’altra cuccetta, a un braccio di distanza, dorme suo marito Jeff Soh; sopra di lui c’è Xander, l’altro figlio, di 19 anni. L’intera cabina misura 15 metri quadrati, non ha finestre ed è impossibile parlare al cellulare perché non c’è campo. Per il personale di bordo, però, è una “cabina privata”, come tutte le altre sulla nave.

Per la famiglia Soh è stato un affare: una vacanza di due settimane in mare a meno di mille dollari a persona. La cabina è stretta ma a loro non importa, tanto devono solo dormirci. Kaitlyn passa quasi tutto il tempo al centro per ragazzi mentre i suoi genitori vanno in palestra. A mezzogiorno si danno appuntamento per il pranzo. Nel pomeriggio Tan fa un sonnellino, suo marito va a vedere un’asta e i ragazzi guardano un film. Dopo cena di solito vanno a uno spettacolo tutti insieme.

Ora la quarantena li costringe a cambiare abitudini. A colazione al posto del buffet ci sono coppe di frutta e yogurt. La mattina giocano a sudoku o a qualche gioco da tavolo. Quanto al menù dei pasti, la proposta si è drasticamente ridimensionata: a pranzo la scelta è tra frittura di pollo e frittura di tofu.

Dopo che la connessione wifi è stata potenziata per permetterne l’uso quasi costante alle tremila persone e più a bordo, il marito di Tan, che fa il project manager per una banca in Australia, si è messo a lavorare in remoto con il pc portatile. Tan invece passa la giornata a tirare su il morale dei figli con giochi, ginnastica e interpretazioni estemporanee di canzoni pop. “Mi sa che i miei continui tentativi di rallegrarli gli davano un po’ sui nervi”, dice. Per assecondare Tan, la cabina è stata trasformata in una sorta di sala karaoke, cinema, palestra e studio di danza. Il poco spazio disponibile è usato per fare piegamenti e flessioni. Xander e Kaitlyn, entrambi ballerini, provano passi di hip-hop. La famiglia riesce perfino a guardare la notte degli Oscar in streaming. Anche il fatto di mangiare scatolette non li disturba più di tanto. “Non ci importava di mangiare sempre le stesse cose”, dice Tan. “A casa cucino per tutta la settimana quindi ci capita spesso di mangiare gli stessi piatti per vari giorni di fila”.

Passeggeri in quarantena nelle loro cabine, Yokohama, 7 febbraio 2020 (Carl Court, Getty Images)

Il 7 febbraio l’equipaggio distribuisce a tutti i passeggeri mascherine e guanti di gomma e dà istruzioni su come mantenere il “distanziamento sociale” di sicurezza. Tan e gli altri ospiti delle cabine “interne” senza finestre e balconi non escono all’aria aperta da quasi tre giorni. Ora hanno il permesso di passeggiare lungo il ponte principale della nave per 30-40 minuti al giorno, a patto di rimanere a due braccia di distanza dagli altri passeggeri.

Per Tan seguire le istruzioni è sorprendentemente difficile. Non riesce mai a ricordarsi se ha toccato la ringhiera prima o dopo essersi stropicciata gli occhi. Ha sempre paura che qualcuno si stia avvicinando troppo ma non vuole chiedergli di allontanarsi per non sembrare scortese. Non sarà un problema, si chiede, se stiamo esposti al vento con tutte queste persone davanti a noi?

Al terzo giorno di quarantena, Tan riceve una telefonata che la fa riflettere: è di un altro australiano a bordo che è risultato positivo al nuovo coronavirus. Scossa dalla notizia, comincia a fissarsi con l’igiene. Dice a tutti di lavarsi continuamente le mani e di disinfettare regolarmente la cabina. “Pulivamo sempre i vassoi su cui ci arrivava da mangiare e lavavamo sempre la frutta e la verdura fresca”, racconta. “Lavavamo i contenitori esterni il più possibile”.

L’ansia s’impadronisce anche degli altri passeggeri: c’è un’ospite che addirittura si allontana dalla porta ogni volta che le consegnano un pasto, temendo che una ventata d’aria infetta possa contaminare la sua stanza.

A mano a mano che la quarantena va avanti, il numero dei passeggeri che si ammalano e che vengono portati in ospedale aumenta. I turisti superstiti sono intrappolati a bordo, ossessionati dalla paura che il virus possa diffondersi attraverso le prese d’aria. Questa teoria ha preso piede dopo che il capitano durante i suoi annunci ha cominciato a rassicurare i passeggeri che nelle cabine circola solo aria pulita. A quel punto, molte persone hanno smesso di fidarsi della compagnia di crociera.

Un tassista aspetta uno dei passeggeri sbarcati dalla nave, Yokohama, 20 febbraio 2020  (Tomohiro Ohsumi, Getty Images)

La decisione di Tan di decontaminare i pasti consegnati in cabina si rivela lungimirante. Il primo membro dell’equipaggio a risultare positivo al covid-19 è un addetto al servizio di ristorazione che si è ammalato il 2 febbraio. I membri dell’equipaggio condividono una grande sala da pranzo e vivono insieme in dormitori con i letti a castello impilati a tre a tre. Due giorni dopo, quando l’impiegato febbricitante viene fatto sbarcare, ha già contagiato tutti i colleghi.

Il 9 febbraio risultano positivi quindici addetti alla ristorazione: il rischio che abbiano accelerato la diffusione del virus tra i passeggeri è alto, dato che sono loro a preparare, confezionare e consegnare tutti i pasti sulla nave.

Isolati nelle loro cabine, senza comunicazioni certe del governo giapponese o della Princess Cruises, i passeggeri diventano vittime delle loro emozioni. “O era tutto fantastico e sembrava di aver allungato la vacanza, oppure era la fine del mondo”, racconta Fehrenbacher. “Non c’erano vie di mezzo”.

Ogni giorno i passeggeri apprendono dalle telefonate, dai messaggi o dai telegiornali che persone con cui hanno fatto amicizia a bordo sono state portate via perché risultate positive al test diagnostico. Il virus si sta diffondendo.

Crocieristi esperti

Kent Frasure, 42 anni, e sua moglie Rebecca, 35, vengono dall’Oregon e sono esperti di crociere. Ne hanno già fatte undici, di cui dieci su navi della Princess. Ne hanno viste abbastanza – o almeno così pensano – per capire quando le cose in mare si mettono male. Anche quando il capitano ha annunciato che un passeggero della Diamond Princess è risultato positivo al covid-19, non si sono preoccupati più di tanto.

Alcuni anni fa hanno partecipato a un’altra crociera Princess nel pieno di un allarme norovirus. “In quel caso il capitano aveva attivato immediatamente nuovi protocolli per il servizio pasti e l’equipaggio aveva dato istruzioni ai passeggeri su come proteggersi”, racconta Kent. Sulla nave c’era stato un palpabile cambiamento di umore tra i passeggeri che cercavano in tutti i modi di evitare il contagio. “Sulla Diamond Princess invece non è successo niente del genere, quindi non mi è sembrato un grosso problema”, continua Kent. L’unica differenza, nota, è che durante le serate dei quiz agli ospiti viene chiesto di tenere le matite invece di restituirle alla fine.

Mentre la Diamond Princess si svuota, un gruppo molto diverso ma altrettanto internazionale di persone si raduna sulla passerella

Quando comincia la quarantena, lui e la moglie sono tra i primi a essere sottoposti al test. Nei giorni seguenti si affacciano al balcone della loro suite mentre i passeggeri contagiati vengono portati di corsa in ospedale. “C’era un tunnel coperto che non ti faceva vedere quante persone scendevano dalla nave, ma si capiva come stava andando la giornata dal numero di ambulanze che arrivavano”, ricorda Kent.

La coppia s’iscrive a un gruppo su Facebook creato dai passeggeri in quarantena, che diventa subito un ricettacolo di “lamentele e teorie del complotto”. La mancanza di interpretazioni univoche sulla pericolosità del covid-19, unita alla scarsa comunicazione da parte delle autorità giapponesi, alimenta speculazioni furiose tra gli utenti più attivi del gruppo. Alcuni accusano il governo giapponese di mentire, di fare test sbagliati e di tenere i passeggeri isolati a bordo senza motivo. Quando un utente chiede di limitare le “voci di corridoio e l’isteria”, è accusato di essere al servizio dei giapponesi. Nonostante tutto, però, il gruppo Facebook diventa lo strumento più affidabile per sapere quanti passeggeri sono risultati positivi, perché molti utenti pubblicano i risultati dei loro test o informano gli altri quando un loro vicino di cabina viene portato via.

La separazione

La mattina del 7 febbraio le autorità giapponesi comunicano a Rebecca Frasure che è risultata positiva al covid-19 e le chiedono di preparare velocemente una valigia con l’occorrente per i tre giorni successivi. Kent, che non ha il virus, dovrà rimanere sulla nave. “Non riuscivamo a crederci, perché a parte un mal di gola molto lieve, non aveva nessun sintomo”, racconta Kent. “Ma ci hanno detto che sarebbe stata via solo tre giorni, perciò pensavamo che fosse solo una precauzione, niente di grave”.

Le condizioni di Rebecca fortunatamente non peggiorano, ma l’esperienza è destabilizzante. Il cibo dell’ospedale – pesce, riso e sottaceti per colazione – è ben lontano dal sushi e dalla carne alla griglia che ha gustato qualche settimana prima a Tokyo. Rebecca è in ansia per la separazione dal marito e si arrabbia quando scopre che dovrà rimanere in ospedale almeno 12 giorni invece dei tre che le avevano detto all’inizio. In più ha difficoltà a comunicare con i dottori e gli infermieri, perché non parla giapponese.

Dal giorno in cui la moglie è stata portata in ospedale, Ken aspetta da solo nella sua cabina. In una settimana il numero di casi positivi è passato da 61 a 218. Per tenersi in contatto, Kent e Rebecca usano Facebook messenger, dove si scambiano battute e le foto dei piatti che mangiano. Di tanto in tanto, nel bel mezzo di una tranquilla chiacchierata con la moglie, Kent riceve messaggi offensivi su Facebook da utenti statunitensi sconosciuti. “Non ti azzardare a tornare negli Stati Uniti, stronzo, rifatti una vita da un’altra parte, se torni e ci contagi sei un egoista”, scrive un tale di Portland. “Ci sono tanti bambini innocenti che hanno davanti una vita di felicità e salute, liberi dal coronavirus. Stai alla larga”.

Kent trova conforto in un gruppo WhatsApp di una ventina di persone che ha conosciuto durante le serate quiz. I partecipanti si incoraggiano a vicenda a sopportare l’isolamento e si organizzano per cercare di farsi portare lenzuola e asciugamani puliti, che dalla prima settimana di quarantena non vengono più consegnati.

Il 16 febbraio, quattro settimane dopo che i primi passeggeri si sono imbarcati a Yokohama, la Diamond Princess diventa una voce a sé nel rapporto quotidiano dell’Organizzazione mondiale della sanità sull’epidemia del coronavirus. A bordo ci sono 355 casi confermati, più di qualsiasi altro paese a parte la Cina, e più di tutti gli altri paesi messi insieme.

Tra i tanti passeggeri contagiati c’è anche Kaitlyn Soh, la figlia sedicenne di Aun Na Tan. Non ha mai mostrato sintomi a parte un mal di testa, che i suoi genitori attribuivano alle troppe ore trascorse a guardare lo smartphone. Tan non vuole separarsi dalla figlia, come invece chiedono le autorità, e passano tre giorni prima che si trovi un ospedale che permetta alla famiglia di stare insieme, anche se in reparti separati. Siccome nella struttura non c’è il wifi, per comunicare con la figlia Tan le manda dei biglietti scritti a mano.

Le risposte di Kaitlyn devono essere fotocopiate, perché nessun oggetto può uscire dalla “zona rossa” dove sono curati i malati di covid-19. “Mia figlia è una ragazza tosta: prende sempre in giro me e suo fratello perché abbiamo il cuore tenero e al cinema ci commuoviamo”, dice Tan. “Però ha passato quasi tutta la prima notte a piangere perché la tenevano separata da noi”.

Kent Frasure è costretto a restare sulla nave più a lungo della maggior parte dei passeggeri, perché la sua quarantena è ricominciata il giorno in cui la moglie è risultata positiva. Dieci giorni dopo che Rebecca è stata portata in ospedale, osserva dal balcone mentre più di trecento tra statunitensi e canadesi vengono evacuati. Dopo averli fatti salire su un autobus, li accompagnano su un aereo cargo e li spediscono negli Stati Uniti, dove li aspetta un’altra quarantena di 14 giorni.

Fehrenbacher passa la quarantena nella base aerea di Travis a Fairfield, in California, dove viene sottoposto a un nuovo tampone per il virus. “L’idea di finire in un ospedale statunitense mi preoccupava molto”, racconta, “mi avrebbe rovinato economicamente”. Per sua fortuna, il test è di nuovo negativo.

Kent Frasure è ancora confinato a bordo della nave quando apprende da un giornalista che il primo passeggero è morto. “È davvero scioccante e triste pensare che una persona parte in vacanza e poi nel giro di un giorno se ne va all’altro mondo”, dice. “Sembrerebbe una cosa evitabile”. In totale, 14 passeggeri della Diamond Princess moriranno di covid-19.

A mano a mano che i passeggeri terminano la quarantena o sono rimpatriati dai loro governi, la Diamond Princess si trasforma in una nave fantasma. Le uniche persone che Kent vede sono i membri dell’equipaggio che passano davanti alla sua stanza durante i pasti, a volte dimenticandosi che è ancora a bordo. È uno degli ultimi passeggeri a lasciare la nave, il 22 febbraio. Passa un nuovo periodo di quarantena di 14 giorni in una serie di hotel di Tokyo; per due volte la direzione gli chiede di andarsene quando scopre da dove viene. Quando Kent va a trovare Rebecca in ospedale deve mettersi sotto la finestra della sua stanza e parlarle con FaceTime. Il 4 marzo la donna viene dimessa. I due rimangono a Tokyo per altri cinque giorni; vorrebbero andare a Disneyland, ma il parco è stato chiuso per prevenire la diffusione del virus.

Quasi una vacanza

Mentre la Diamond Princess si svuota, un gruppo molto diverso ma altrettanto internazionale di persone si raduna sulla passerella. La maggior parte di loro proviene dalla Birmania, dal Nepal e dalla Turchia; altri sono giapponesi. Ogni mattina salgono su un autobus per andare a pulire la nave pigramente adagiata nella baia di Yokohama, un monumento al virus che ormai sta invadendo il pianeta. Sei giorni alla settimana, per quattro settimane di fila, passano nove ore a pulire, lavare e disinfettare le cabine e ogni singolo bar, club, salone, area giovani, steak­house e sala da pranzo della nave. Guadagnano diecimila yen al giorno (circa 83 euro). Se abitano troppo lontano per fare i pendolari, vengono sistemati in un hotel lì vicino. “La camera d’albergo è molto più bella del mio appartamento”, confessa uno di loro. “A volte mi sembra quasi di essere in vacanza”. ◆ fas

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Questo articolo è uscito sul numero 1369 di Internazionale, a pagina 126. Compra questo numero | Abbonati