La preside ha qualche ciocca colorata tra i capelli grigi e lo smalto blu ai piedi. Si è tolta i sandali Birkenstock e gli occhiali da sole verde fluo. È inginocchiata davanti al computer su un tatami, una stuoia giapponese. Non è scomodo, a lungo andare? “In realtà no, perché non sto mai ferma nella stessa posizione: sono costretta a muovermi”, risponde lei. “E quando entra uno studente mandato da un insegnante perché disturbava la lezione, si trova davanti la preside che lo guarda dal basso, in ginocchio. Fa un certo effetto”. Quale effetto? “Lo sottrae a una posizione subordinata. Le cose insolite rompono gli automatismi e creano le condizioni per un dialogo aperto”.
Bianca Thies, cinquant’anni, dirige la stadtteilschule Helmuth Hübener di Amburgo, in Germania. Le stadtteilschulen , letteralmente scuole di quartiere, sono l’alternativa ai licei tradizionali: quindici anni fa hanno sostituito gli istituti professionali, tecnici e comprensivi della città e offrono tutti i titoli di studio fino all’abitur, la maturità. La scuola di Thies, nell’ex quartiere operaio di Barmbek, con più di 1.300 alunni e circa 130 insegnanti, è una delle più grandi della città.
Quello di dirigente scolastico non sembra essere un lavoro particolarmente ambito, visto che in Germania in 1.300 istituti questa posizione è ancora vacante. Un sondaggio tra i presidi parla chiaro: ci sono troppe incombenze amministrative e la burocrazia ostacola il lavoro pedagogico.
Thies sorride. “Il sistema ci lascia abbastanza margine. Bisogna solo avere il coraggio di sfruttarlo”.
Difficile dire se lei c’è riuscita. È in carica solo da due anni, un periodo troppo breve per tradursi in risultati significativi. Ma colpiscono la passione con cui parla del suo lavoro e tutte le libertà che si concede. Era così anche prima, quando non dirigeva un’intera scuola ma solo il triennio superiore della stadtteilschule am Hafen, nel quartiere di St. Pauli, dal 2010 al 2023. Molti insegnanti hanno aneddoti da raccontare su quel periodo.
Obbligo di presenza
C’è stato per esempio il caso dello studente che aveva tentato il suicidio e non aveva frequentato la scuola per sei mesi. Stando al regolamento, avrebbe dovuto ripetere l’anno: dopotutto c’era l’obbligo di presenza. Thies ha insistito davanti al collegio docenti che era stato assente per malattia. Poi ha organizzato due settimane di esami in cui il ragazzo è stato messo alla prova in tutte le materie. Un lavoro enorme per lui, ma ne è valsa la pena: ha superato i test ed è stato ammesso alla classe successiva.
La società ha bisogno di tutti i talenti. Il mio compito è proprio questo: far sì che ogni alunna o alunno sviluppi le sue capacità
Oppure la storia della ragazza albanese che a sedici anni era fuggita da sola dal suo paese per evitare un matrimonio forzato. Alla am Hafen studiava tedesco per ottenere la licenza media e cominciare un apprendistato. Quando c’è riuscita e ha ottenuto perfino la promessa di un impiego, si è messo di mezzo l’ufficio immigrazione: senza un permesso di soggiorno, rischiava l’espulsione dalla Germania, come succede spesso nella fase tra scuola e lavoro.
Disperata, la ragazza non usciva più dal suo alloggio. Thies le ha offerto un’alternativa: l’iscrizione immediata all’ultimo triennio. Quando l’anno scolastico è già a metà, come in quel caso, normalmente non si accettano nuovi studenti. È troppo dotata, ha pensato Thies, diamole una possibilità. La ragazza si è diplomata con uno dei voti più alti dell’istituto.
A ogni modo, a Thies non piace infrangere le regole, precisa mentre si siede su una sedia: “Le regole sono fondamentali per imparare insieme. Ma sono solo la cornice, non il quadro”.
Ha mai avuto problemi con l’ufficio scolastico? “No, ma non chiedo il permesso prima di prendere una decisione”.
Per lei, tutto dipende dall’atteggiamento con cui s’interpretano le leggi. “La società ha bisogno di tutti i talenti possibili. Il mio compito è proprio questo: far sì che ogni alunna o alunno sviluppi le sue capacità”. Non si tratta di nient’altro, e se si guarda alla legge da questa prospettiva si scopre che ci sono degli spazi di manovra. “Non ci si aggrappa all’obbligo di presenza, ma si sfruttano gli strumenti che offrono l’opportunità di discostarsi dallo standard per sostenere gli studenti svantaggiati, o quelli particolarmente dotati”.
◆ 1975 Nasce nella regione dell’Assia, in Germania.
◆ 2010 Si trasferisce ad Amburgo per coordinare il triennio di una stadtteilschulen nella zona di St. Pauli.
◆ 2023 Diventa la preside di una scuola superiore nel quartiere operaio di Barmbek, distinguendosi per il suo approccio informale.
Viene da pensare che il margine d’azione sia maggiore nelle scuole di quartiere rispetto ai licei. Non è così, secondo lei, ma “chi pensa che solo i migliori meritino qualcosa agirà diversamente rispetto a chi crede che tutti contano allo stesso modo. Nei licei gli studenti che non raggiungono certi livelli sono esclusi. Per me è una cosa gravissima, perché essere escluso è l’esperienza peggiore per un essere umano”.
Il padre di Bianca Thies faceva il custode, la madre la disegnatrice tecnica. È cresciuta in campagna, nell’Assia, e ogni giorno doveva fare trenta chilometri per frequentare un liceo cattolico femminile a Limburg. Era una sua scelta: voleva vivere come le sue eroine Hanni e Nanni, protagoniste di una serie di libri.
Forse è per via delle sue origini che considera la scuola un dono. “Imparare è come il cioccolato”, dice. E forse è per questo che da quindici anni guida istituti con studenti provenienti da contesti difficili. In genere le famiglie dei suoi alunni hanno pochi soldi, pochi libri e molti disoccupati.
Potenziali conflitti
Thies, a sua volta insegnante di tedesco e arte, crede in un apprendimento autonomo e libero dalla paura. Ma i potenziali conflitti sono molti e in fondo i presidi hanno poco potere, dato che non possono scegliere né licenziare gli insegnanti. “Il dirigente scolastico determina lo spirito di una scuola”, dice un insegnante che lavora da anni con lei. “Purtroppo aumentano quelli che si comportano come funzionari: esecutori della burocrazia senza obiettivi pedagogici. Se chiedi due ore in più per un progetto bellissimo, ti rispondono con un mucchio di moduli e autorizzazioni. Così nasce una cultura che ti porta a fare il minimo indispensabile. Bianca è l’opposto. Ti dice: ‘Meraviglioso, fallo!’”.
In tutto ciò che fa è evidente quanto Thies prenda sul serio gli studenti, dice una collega che ricorda quando, nove mesi dopo aver assunto l’incarico, doveva essere confermata. Ad Amburgo è previsto che il collegio docenti e il consiglio d’istituto (che rappresenta insegnanti, genitori e studenti) votino sulla fiducia della preside, in genere un atto formale.
Prima Thies si è sottoposta alle domande di tutti. Quando uno studente le ha chiesto quale fosse la posizione della scuola sulla guerra in Palestina e se lei lo considerasse un genocidio, Thies sul momento non ha saputo bene cosa dire. Ha esitato, poi si è fermata e l’ha invitato a venire da lei più tardi, per parlarne e capire insieme come trovare una risposta. Sono arrivati alla conclusione che, su temi così delicati e dolorosi, spesso prevale il silenzio. Hanno deciso di affrontare la questione con un progetto teatrale: gli studenti dell’ultimo anno, guidati da due insegnanti, hanno lavorato per mesi e hanno messo in scena uno spettacolo davanti a tutta la scuola.
Non è stato troppo lavoro per la domanda di un solo studente? “Le tensioni non si eliminano facendo finta di niente. È come il dolore fisico: se lo ignori, prima o poi pagherai un prezzo”. ◆ nv
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Questo articolo è uscito sul numero 1643 di Internazionale, a pagina 79. Compra questo numero | Abbonati