Africa e Medio Oriente

La visita di Joe Biden

Amir Cohen, Reuters/Contrasto

“Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden si trova davanti a un caleidoscopio di sfide nel suo viaggio in Medio Oriente, il primo nella regione da quando è entrato in carica. Con le guerre statunitensi in Iraq e Afghanistan alle spalle, Washington sta rivalutando il suo ruolo nella regione, in un momento in cui la sua attenzione è concentrata sull’Europa e sull’Asia”. The New Arab commenta così la visita di tre giorni di Biden in Medio Oriente, cominciata il 13 luglio in Israele (nella foto: Joe Biden, a destra, all’arrivo all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv). Il sito panarabo ricorda che “Biden è il primo presidente a viaggiare direttamente da Israele all’Arabia Saudita, la sua ultima tappa prima di tornare a Washington. L’itinerario rispecchia le relazioni più amichevoli tra Israele e i suoi vicini arabi, un grande cambiamento che sta rimodellando la politica regionale”. Di fronte alle critiche delle settimane scorse, Biden ha difeso sul quotidiano statunitense The Washington Post la sua decisione di andare in Arabia Saudita, in passato criticata per il mancato rispetto dei diritti umani, e di incontrare il principe ereditario Mohammed bin Salman, sostenendo che una “relazione diretta” con Riyadh è necessaria per garantire la sicurezza degli Stati Uniti. Secondo The Arab Weekly, l’obiettivo di Biden è “fare pressioni per aumentare la produzione petrolifera saudita nella speranza di contenere l’impennata del costo del carburante e dell’inflazione in patria”. La sua visita però, continua il giornale panarabo, segna anche un altro cambiamento: “La rinuncia ai tentativi chiaramente irrealistici di emarginare il principe ereditario saudita” per la sua responsabilità nell’omicidio del giornalista saudita Jamal Khashoggi, avvenuto a Istanbul nel 2018, e l’impegno a trovare un equilibrio tra “rottura e continuità” rispetto all’eredità del predecessore di Biden, Donald Trump. ◆

La pressione è insostenibile

Accra, 29 giugno 2022 (Nipah Dennis, Afp/Getty Images)

Il 29 e 30 giugno ad Accra, su iniziativa del movimento Arise Ghana, centinaia di persone sono scese in strada per protestare contro il carovita ( nella foto ): i prezzi alimentari a maggio sono aumentati del 30 per cento su base annua. La polizia ha represso il corteo con i gas lacrimogeni e ha arrestato 29 persone. Le proteste, scrive The Africa Report, hanno spinto il governo a negoziare un pacchetto di aiuti con il Fondo monetario internazionale, nonostante il presidente Nana Akufo-Addo avesse promesso di non farlo.

Campagna scorretta

I preparativi per le elezioni generali del 9 agosto in Kenya si scontrano con la necessità di escludere le false notizie dal dibattito politico, scrive The East African. Altrimenti, avvertono gli esperti, potrebbero esserci nuove violenze postelettorali, come quelle del 2007-2008. Alla vigilia del voto per scegliere il successore del presidente Uhuru Kenyatta, la lotta alla disinformazione è diventata più difficile per il forte coinvolgimento dei social network. Ad aprile l’azienda tecnologica Mozilla aveva individuato almeno trenta account di TikTok che pubblicavano incitamenti all’odio.

Tre registi in carcere

L’11 luglio è stato arrestato a Teheran il regista dissidente Jafar Panahi, vincitore del Leone d’oro al festival di Venezia nel 2000 e dell’Orso d’oro al festival di Berlino nel 2015. Panahi aveva chiesto la scarcerazione dei colleghi Mohammad Rasoulof e Mostafa Aleahmad. I due erano stati arrestati l’8 luglio dopo aver criticato le autorità per aver represso le proteste scoppiate in seguito al crollo di un edificio che aveva ucciso 43 persone nella provincia di Khuzestan il 23 maggio. Middle East Eye ricorda che Panahi era stato condannato nel 2010 per “propaganda contro il sistema” e non poteva lasciare l’Iran perché aveva appoggiato le proteste antigovernative e aveva criticato lo stato nei suoi film.

Siria Il Consiglio di sicurezza dell’Onu il 12 luglio ha esteso per sei mesi il sistema che consente il passaggio degli aiuti umanitari dal valico di frontiera di Bab al Hawa, tra la Turchia e il nordovest della Siria controllato dai ribelli.

Angola L’ex presidente angolano José Eduardo dos Santos, al potere dal 1979 al 2017, è morto l’8 luglio a 79 anni in una clinica di Barcellona, in Spagna, dov’era ricoverato in seguito a un attacco cardiaco. La figlia Tchizé dos Santos ha richiesto un’autopsia per accertare le cause della morte.

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1469 - 15 luglio 2022
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