Come è giusto che sia, un edificio dedicato alla vita e all’opera di Edvard Munch fa venir voglia di urlare. Il mega museo dedicato al tormentato artista norvegese, costato 278 milioni di euro, si erge come un’inquietante torre grigia sul lungomare di Oslo, con la parte superiore inclinata come una torretta d’avvistamento militare a difesa del fiordo. Sembra una location da sogno per il quartier generale del cattivo di un film, una struttura quasi comicamente minacciosa, piegata sull’iceberg bianco incontaminato dell’amato teatro dell’opera della città con una postura da teppista. Può sembrare un contenitore adatto all’anima tormentata di Munch, la cui ombra incombe sulla città, anche se l’effetto ansiogeno non era del tutto voluto da Juan Herreros, l’architetto spagnolo che l’ha progettato.

Dopo un decennio di preparazione e dopo aspre lotte politiche legate ai costi, alla forma e alla posizione, il 22 ottobre il museo è stato finalmente inaugurato, ed è uno dei più grandi al mondo dedicati a un singolo artista. È una sorta d’imponente centro commerciale intitolato a Munch, una pila di undici gallerie collegate da scale mobili zigzaganti, coronata da un bar ristorante sul tetto.

“Dimenticate tutto quello che sapete sui musei”, dice il suo direttore Stein Olav Henrichsen. “Questo è totalmente diverso”. Tanto per cominciare, non si usa più la parola museo. Nel tentativo di attirare un nuovo pubblico, che potrebbe essere scoraggiato da questa parola, l’edificio si chiama solo Munch. 

Inesorabilmente aeroportuale

I visitatori non mancheranno, considerata la mania globale per Munch (l’artista). E proprio le masse in arrivo sembrano aver dettato il progetto: l’intero edificio è stato pensato per accogliere orde di persone nel modo più efficiente possibile. Un foyer funzionale, dotato di negozio e caffè, conduce attraverso grandi porte di vetro alle file di scale mobili e ascensori, dove i visitatori sono incanalati verso le gallerie. È un mondo inesorabilmente aeroportuale, fatto di pavimenti grigi, pareti grigie e soffitti grigi, con balaustre di vetro, finiture in acciaio e rivestimenti in rete di alluminio che completano questa tavolozza di colori freddi e clinici.

“Appartengo a una generazione che ha consumato troppi musei orizzontali”, dice Herreros, “dove le persone camminano senza sapere dove stanno andando, invece di guardare i dipinti”. A differenza di questi musei a flusso libero e pieni di spazi pubblici che privilegiano l’architettura al contenuto, “volevamo creare un paradiso per i curatori, dove l’arte è la protagonista”, spiega. Ci è riuscito: le gallerie sono spazi neutri, rettangolari, senza capricci architettonici di mezzo.

Oslo, 10 novembre 2021. I reali dei Paesi Bassi in visita al museo (Albert Nieboer, picture alliance/dpa/Ap/Lapresse)

Del resto la star non è l’edificio ma Munch, le cui 26.700 opere hanno ora uno spazio espositivo quattro volte superiore a quello del precedente museo nel quartiere di Tøyen, che risaliva agli anni sessanta. Cinque esposizioni tematiche introducono le molte sfaccettature dell’artista. A partire dalla galleria che contiene le sue tele monumentali (così grandi da dover essere trasportate con una gru attraverso un buco sul lato dell’edificio), fino al piano dedicato alle sue xilografie, con tanto di tavolo su cui ciascuno può fare delle incisioni personalizzate. Un’altra stanza mostra i suoi primi esperimenti con l’autoscatto – realizzati dopo aver comprato una Kodak Brownie nel 1902 – tra cui un’interessante foto dell’artista in posa sulla spiaggia, in perizoma e con un pennello in mano.

Marchio d’artista

Un altro giro di scale mobili porta a una mostra temporanea che abbina il lavoro di Tracey Emin a quello di Munch nell’arco di due piani (in parte già vista alla Royal academy di Londra l’anno scorso). Ulteriori sguardi sulla vita domestica del pittore sono forniti da un pavimento che ricrea la cupezza della sua casa e dello studio, mostrando i pennelli, le tavolozze e perfino l’attrezzatura per la respirazione che usava per alleviare i suoi problemi polmonari. Simili indicazioni potrebbero esservi utili se avete intenzione di vedere l’intero museo in un giorno. È una gara di resistenza, ma fornisce una ricca immagine dell’artista. Come dice Henrichsen: “Siamo più che L’urlo”.

È soprattutto il destino di quella faccia contorta – ormai riprodotta in serie su costumi di Halloween ed emoji – la principale ragione del museo. Uno dei dipinti della serie dell’Urlo è stato rubato (e poi recuperato) dal museo di Tøyen nel 2004, generando un dibattito sulla necessità di una struttura più sicura. Insieme alla maggiore sicurezza e alle gallerie a temperatura controllata, è stato impiegato un trucco teatrale per aumentare l’intensità drammatica dell’opera più nota di Munch.

Il museo ha tre diverse versioni dell’_Urlo _– tempera, pastello e litografia – appese in una teca scarsamente illuminata al settimo piano, ma solo una di queste è sempre visibile. Le altre due rimangono nascoste dietro a delle porte nere aperte a turno un’ora alla volta. È vero che la prima e più famosa versione del dipinto appartiene al Museo nazionale (che riaprirà in una nuova sede dall’altra parte della città l’anno prossimo), “ma ora gli stiamo facendo un po’ di concorrenza”, dice Henrichsen.

A beneficiarne è certamente il negozio di souvenir. È possibile acquistare la faccia tormentata e tremolante su qualsiasi tipo di supporto: borse, penne, astucci per occhiali, scatole e perfino un anello tempestato di diamanti che costa più di ventimila euro.

La maratona di Munch si conclude su una terrazza con bar e ristorante aperta sul tetto dell’edificio che s’inarca per permettere di godersi la vista sul lungomare di Bjørvika. Negli ultimi vent’anni l’area è stata trasformata da porto mercantile a cuore culturale della città, con il teatro dell’opera, una nuova e sorprendente biblioteca e ora il Munch. Il tutto accompagnato da una sfacciata espansione edilizia di uffici e alberghi che si stagliano sullo sfondo. È in parte anche per competere con questi edifici che la torre del museo è stata concepita così.

Lo spazio è destinato a offrire suggestive vedute panoramiche, ma la terrazza sul tetto riesce piuttosto bene nell’obiettivo di bloccare la vista, con i suoi strati di acciaio massiccio e le vetrate angolari che creano la sensazione di essere circondati e intrappolati in una zona di consumo. Munch non si liberò mai dai suoi tormenti, e nemmeno il visitatore può farlo. “Senza l’ansia e la malattia”, scrisse, “sono una nave senza timone. Voglio conservare queste sofferenze”. Certo non sapeva che il suo trauma avrebbe resistito nel tempo. Finendo all’interno di un ansiogeno monolite di alluminio e vetro alto sessanta metri. ◆ ff

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Questo articolo è uscito sul numero 1436 di Internazionale, a pagina 83. Compra questo numero | Abbonati