Robert L. Harris, il guardiano dell’isola irlandese di Skellig Michael, è uno statunitense che per 34 anni ha passato ogni estate sulla più grande delle isole Skellig. Ha appena pubblicato una biografia, Returning light (HarperCollins 2021), sulla vita in questo luogo selvaggio e remoto. Skellig Michael è nota per il suo antico insediamento monastico fatto di celle di pietra, per le sue iconiche cime frastagliate, per le colonie di uccelli marini e, più recentemente, per essere stata il set di Star wars: il risveglio della forza.

Harris ha vissuto in tutto il mondo prima di arrivare in Irlanda. È nato in Perù ed è cresciuto alle Bermuda. Trentaquattro anni fa viveva nella contea di Leitrim, nel nord dell’Irlanda, con la moglie Mai­gread, un’artista incontrata mentre studiava a Edimburgo. Mentre era in visita da sua suocera a Killarney, nella contea di Kerry, Harris vide un annuncio di lavoro sul giornale locale in cui si cercava una “guida”. Era stato una volta a Skellig Michael e gli era piaciuta molto. Così decise di fare domanda.

“Come molti giovani, forse avevo intenzione di andare a New York e provare a scrivere romanzi”, dice. “Ma era un’idea vaga. Così ho seguito un corso post-laurea a Edimburgo e sono finito in Irlanda. Quasi senza accorgermene mi sono ritrovato sull’isola. Non avevo idea che avrei lavorato lì per 34 anni”. Qual erano i suoi compiti? “Sull’isola c’erano stati degli archeologi per alcuni anni, che però non sarebbero rimasti in pianta stabile. Inoltre l’isola era stata chiusa l’anno prima perché alcune parti delle mura dovevano essere restaurate. Stava per riaprire al pubblico, e immagino che il governo abbia deciso che sul posto doveva esserci una presenza fissa”. Così furono assunte tre persone, che rimanevano a Skellig Michael da maggio a ottobre. Oggi sono in cinque a ricoprire questa funzione: ognuna rimane per tre settimane, prima di tornare a terra per una settimana. “Allora era molto diverso. Non avevamo cellulari. Ora abbiamo una grande radio a onde ultracorte con cui possiamo parlare con le navi. A quei tempi c’era solo un piccolo ricevitore”.

Quando è sull’isola, Harris vive in una specie di capanna prefabbricata. “Fu completamente spazzata via l’inverno dopo il mio arrivo, così dovettero ricostruirla. Nel 1995 ci fu un incendio sull’isola e molti alloggi andarono distrutti. Ora abbiamo dei pannelli solari che fanno funzionare i frigoriferi, ma con il brutto tempo può capitare che vadano in tilt. Quindi non è poi così diverso”. Gli chiedo se ha paura di restare senza provviste. “Si può andare avanti senza problemi per un mese”, risponde lui. Ma com’è vivere in un posto simile? “Travolgente. Gli uccelli sono ovunque. Il mare cambia continuamente. Per alcune persone sarebbe noioso, ma non per me. Io in realtà amo le città, ma devo dire che sto bene anche sull’isola”, dice Harris. Poi aggiunge: “A volte, quando sei da solo, l’isolamento può diventare un po’ pesante da sopportare. Vicende che hai dimenticato all’improvviso ti tornano in mente. Mi è successo più di una volta sulle isole Skellig”.

Con filosofia

Harris e i colleghi vanno d’accordo, ma ognuno ama la solitudine. “A volte a causa del mare agitato, le barche non possono attraccare per giorni. Magari a casa c’è una comunione o un compleanno o qualcuno non sta bene. Ovviamente se si tratta di un’emergenza possiamo chiamare degli elicotteri, ma di solito non succede”. Questa incertezza crea preoccupazione? “A volte alcuni amici e familiari sono arrivati dagli Stati Uniti per venirmi a trovare e non sono riusciti a vedermi perché ero bloccato sull’isola. Altre volte sono stato male e volevo tornare a terra. E poi ho visto molte persone che stavano qui farsi man mano più preoccupate. Ma si finisce per vedere queste cose con filosofia. Era più difficile quando i miei figli erano piccoli. Oggi, se vedo il mare agitato e so che nessuna barca attraccherà, è una liberazione: avrò del tempo per me stesso”.

Harris sente di avere qualcosa in comune con i monaci che un tempo vivevano lì. “L’insediamento fu creato milletrecento anni fa in cima a questa montagna. Ed è ancora intatto. Si può visitare”, spiega. “Quando guardi dentro una cella pensi: ‘Qualcuno era qui più di mille anni fa, ha vissuto dentro questa stanza buia e aveva una visione del mondo completamente diversa dalla mia. Eppure condivido con lui alcune cose. Perché quello che vedo io non può essere così diverso da quello che vedeva lui’”. Gli chiedo com’è invece la sua vita quando è a casa nel nord del Leitrim: “Scrivo. Anni fa ho lavorato in teatro. Stiamo ristrutturando una casa”. Anche a sua moglie, che è artista visiva e insegnante, piace la solitudine.

Biografia

1956 Nasce in Perù e cresce alle Bermuda.

1987 Dopo aver trovato un annuncio di lavoro su un giornale decide di trasferirsi sull’isola di Skellig Michael, dove lavorerà per 34 anni.

2014 L’isola ospita il cast del film Star wars: il risveglio della forza.

2020 A causa della pandemia passa la maggior parte del tempo sulla terraferma.


Ci sono molti momenti nel libro in cui Harris sembra avvicinarsi a qualcosa di simile alla trascendenza spirituale. Ride: “Ragazzi, sono paroloni. Non ho la stessa visione del mondo dei monaci, loro si erano trasferiti a Skellig Michael per un motivo. Però sono affascinato dal tentativo delle persone di connettersi con qualcosa di spirituale attraverso l’isolamento”.

A causa del covid-19, Harris ha trascorso gran parte del 2020 lontano da Skellig Michael, ascoltando le notizie terrificanti in arrivo dal mondo. “Quando torni lì, guardi la terraferma e pensi: ‘Accidenti, che casino sta succedendo laggiù”, dice.

Fino al settecento Skellig Michael era un luogo di pellegrinaggio. La gente si arrampicava sul picco più scosceso per baciare una croce messa in una posizione pericolosa. Oggi visitare l’isola spesso significa fare un pellegrinaggio inconsapevole. “Ho visto persone entrare nel monastero e cominciare a piangere e poi dirmi: ‘Non voglio tornare a casa. Sono stanco della vita. Qui sto bene. Ho chiuso”. Ormai sull’isola i telefoni prendono, e questo ha cambiato le cose: “È incredibile. Arriva una barca, i visitatori salgono in cima all’isola, in un posto che vedranno una volta nella vita. E mentre camminano intorno al monastero guardano gli schermi”.

Nel 2014 Skellig Michael ha ospitato il cast e la troupe del film Star wars: il risveglio della forza. “C’erano tre piccoli accampamenti. Poi hanno smantellato tutto. È stato strano”. Ha dovuto tenerli sotto controllo? “Era una cosa comica, dovevo fare il rompiscatole e dirgli: ‘Lì non potete andare!’. Ma sono stati tutti collaborativi. Si sono resi conto di dove si trovavano”. Cosa ne pensa ora? Ride: “Non è il mio mondo, anche se amo il cinema”. Poi si ferma un attimo. “Non sono più così intransigente, comunque”, dice. E mi racconta una storia: “Tre anni fa al monastero è arrivato un ragazzino di dieci anni. Era lì grazie alla fondazione Make a wish (che realizza i desideri dei bambini malati terminali) e io ero stato avvisato in anticipo. È venuto al monastero, voleva vederlo per Star wars. Voleva sapere tutto su dove si trovasse Luke. “Normalmente, se qualcuno mi chiede una cosa simile, rispondo: ‘Cambiamo argomento?’. Ma con lui sono stato al gioco. Era felice”. Harris è preoccupato che le aspettative dei visitatori stiano cambiando. “L’effetto Star wars sta calando. Ma i turisti sono comunque in cerca di comodità. La possibilità che questo posto venga addomesticato è reale, spero non succeda”.

Harris ormai è in età da pensione, ma non vuole smettere di andare a Skellig Michael. Gli chiedo quale sia il suo posto prefe­rito. “Ci sono tre diverse scalinate. Una di queste scende dall’altra parte dell’isola: è un posto un po’ più selvaggio, nel senso che non viene visitato spesso”, dice. “Se guardi verso nord, sulla destra s’intravedono le isole Blasket, ma perlopiù si ha davanti un orizzonte senza fine”. Non riesce a scegliere un unico luogo. “Ogni mattina vado giù al molo. È lì che arrivano le barche. Devo andare a vedere come sono le condizioni meteo, così parlo con il barcaiolo e scopro se si può venire a visitare l’isola in giornata. Nella luce del mattino, d’estate, è pieno di uccelli e foche. È un modo ultraterreno di cominciare la giornata. È un posto che non dimenticherò mai”. ◆ ff

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Questo articolo è uscito sul numero 1437 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati