Da Paita, sulla costa settentrionale del Perù, si può uscire in due modi. Uno è attraverso la Pana­mericana, un’autostrada a doppia corsia che porta a nord e verso l’Ecuador. L’altro è prendere una strada locale che segue la costa e un centinaio di chilometri dopo si unisce alla Panamericana, proseguendo fino alla frontiera. Conosco già il primo percorso, per questo scelgo il secondo. E faccio bene, perché attraversa una serie di villaggi immersi in vallate simili a oasi, separate da distese di dune e altopiani desertici.

Quando arriviamo a El Alto, una località arroccata su una scogliera, come fa intuire lo stesso nome, ci suggeriscono di visitare una spiaggia che si chiama Cabo Blanco, un nome che suona bene. La strada s’immerge nel fianco di una montagna di ghiaia, scendendo tra curve e tornanti, senza muri di protezione o barriere antiurto. Ma non importa, perché c’è un panorama fantastico: qui l’oceano Pacifico è blu e azzurro, è sparito il marrone fangoso visto in altri tratti della costa peruviana. C’è un’atmosfera quasi caraibica.

Alla fine la strada diventa una breve e semplice striscia di sabbia, che porta a una bella spiaggia lunga circa 150 metri e molto pulita (in Perù non è sempre così). Finita la sabbia, la strada continua per un centinaio di metri prima di sparire intorno a un promontorio.

Anche il lungomare è tenuto bene, con posti a sedere e spazi per piccoli alberi e piante di cactus. All’inizio della spiaggia c’è un tizio che presidia una barriera installata per impedire il passaggio dei veicoli. M’indirizza verso un parcheggio e non prende in considerazione l’idea che io possa proseguire lungo la strada. Così parcheggio e cammino sul lungomare, con la mia attrezzatura da motociclista, sotto un caldo torrido.

C’è un bar-ristorante, il Black Marlin, che mi sembra il posto adatto per la colazione. È così. Mi siedo, mangio pane e marmellata, bevo caffè e succo d’arancia fresco, e intanto osservo una piccola flotta di barche a vela e da pesca. Si vede anche una piattaforma petrolifera. Comincio a notare le fotografie di pesca al marlin appese alle pareti del ristorante. Uomini, con o senza gruppi di ammiratori, in piedi accanto a pesci enormi, di solito tre o quattro volte più alti di loro. I pesci sono appesi per la coda a testa in giù. A fianco a loro, orgoglioso e con la canna da pesca in mano, posa chi li ha pescati. E inevitabilmente c’è anche sua eminenza Ernest Hemingway, in tutta la sua gloria in declino.

Hemingway mi ha influenzato molto durante l’adolescenza. Ho divorato Addio alle armi e ancora oggi penso che sia uno dei migliori romanzi mai scritti, insieme a Per chi suona la campana. Anche solo nominare Festa mobile mi riempie le narici dell’odore delle caldarroste del jardin du Luxembourg, a Parigi.

Mi piaceva il suo stile conciso e il fatto che avesse cominciato la sua carriera come giornalista, una professione che volevo intraprendere anch’io.

Il suo machismo non mi ha mai colpito. Non mi è mai appartenuto e non ho mai pensato che bisognasse imitarlo. Ma quello che mi ha colpito è stato il modo in cui Hemingway ha vissuto la sua vita. Avrei preferito che non avesse ucciso animali per sport, ma la sua gioia di vivere, mangiare e bere, la sua propensione per l’avventura sono cose che mi attirano ancora oggi.

Il vecchio e il mare

Hemingway aveva 57 anni quando nel 1956 venne a Cabo Blanco per 32 giorni, ma il suo declino era già evidente. Alla fine del 1955, prima della sua fuga in Perù, era stato costretto a letto e il medico gli aveva detto di smettere di bere. Una raccomandazione che non fu in grado di seguire. È dai tempi di quella visita che Cabo Blanco si nutre di quel vecchio e del mare.

Del mare perché questo è uno dei pochi posti al mondo in cui vivono i marlin neri, in gran numero e vicino alla riva, attirati a quanto pare da due correnti, El Niño e Humboldt, oltre che dagli sgombri, che a loro volta arrivano per le acciughe. Secondo Francisco, il proprietario del ristorante, è facile pescare i marlin.

E il vecchio? Beh, Hemingway si sentiva così nella sua testa, una persona depressa che invecchiava rapidamente. Anche il suo corpo non era in buona forma. Nel giro di cinque anni si tolse la vita nella sua casa di Ketchum, negli Stati Uniti.

Venne a Cabo Blanco perché qui fu girata gran parte della versione cinematografica di Il vecchio e il mare. Spencer Tracy interpretava il vecchio. La mia ex collega Patsy McGarry, che una volta inviai a Cuba quando ero responsabile degli esteri all’Irish Times, tornò dall’Avana con un regalo per me, una copia cubana di Il vecchio e il mare firmata da Gregorio Fuentes, ex skipper della barca di Hemingway, il Pilar. Fuentes sosteneva – e forse questa storia la tirava fuori per impressionare gli altri a cena – che il vecchio del romanzo era basato su di lui. Chi lo sa, ma il piccolo libro di Patsy per me è molto prezioso. Hemingway teneva banco al club di pesca di Cabo Blanco e nei bar, come mostrano le foto del ristorante. A me sembra molto più vecchio dei suoi 57 anni e, come in alcune foto nei bar e nei caffè intorno all’Estafeta, la famosa strada dei tori di Pamplona, in Spagna, ha un aspetto piuttosto patetico.

Diecimila dollari

Sul lungomare gli hanno eretto un busto commemorativo e uno dei bar espone una sua grande foto dietro il bancone. Il club di pesca di Cabo Blanco era una specie di calamita per i ricchi statunitensi, complice il fatto che a gestirlo ci fossero altri ricchi statunitensi (e che l’iscrizione al club costasse diecimila dollari). Negli anni cinquanta ospitò Marilyn Monroe, Paul Newman, James Stewart, Humphrey Bogart, John Wayne e Nelson Rocke­feller. Quei tempi d’oro sono ormai lontani. “Spagnoli, tedeschi e italiani ricchi vengono ancora qui a pescare”, dice Francisco. Ma non è la stessa cosa: ci sono restrizioni alla pesca per preservare le riserve di marlin. I pesci, inoltre, devono essere buttati in acqua dopo la cattura, non possono essere portati sulla banchina. I giorni della pesca di grossa taglia sono finiti, anche se i ricordi restano. Il futuro di Cabo Blanco potrebbe dipendere più dal surf. Si dice che Hemingway abbia pescato tutti i giorni in cui è stato qui. Tra tutti i famosi frequentatori del club è la sua immagine a dominare le pareti del ristorante e del bar adiacente.

Un libro del 2011 ripercorre la storia del club: 19 delle 215 pagine sono dedicate a Hemingway. Non è riuscito a catturare niente che pesasse più di mille libbre (453 chili), un traguardo noto come grander. Il record mondiale per il pesce più grande mai catturato con una lenza è del petroliere texano Alfred C. Glassell jr, che qui nel 1953 prese un animale di 1.560 libbre. Il miglior risultato di Hemingway fu un pesce di 910 libbre, comunque niente male. Nessuno ha pescato un grander negli ultimi cinquant’anni. ◆ ff

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1507 di Internazionale, a pagina 74. Compra questo numero | Abbonati