Nel Salvador la sigla 9F non ha bisogno di spiegazioni: si riferisce ai fatti del 9 febbraio 2020, quando il presidente Nayib Bukele ha guidato un gruppo di soldati armati di fucili M-16 durante l’assalto al parlamento. Le immagini di quell’evento hanno fatto il giro del mondo. Otto mesi prima, l’11 giugno 2019, Bukele – presidente da pochi giorni – aveva fatto un discorso che era passato inosservato. Riascoltando ora quelle parole, sembrano una premonizione. Davanti a centinaia di soldati e ufficiali, Bukele si era messo a capo delle forze armate.

“Voglio saltare il protocollo. So che non vi siete esercitati per questo, ma come vostro comandante generale vi ordino di prestare giuramento. Giurate di eseguire gli ordini del vostro comandante generale, di essere leali e comportarvi con disciplina e onore verso di me e la nostra patria, così come io giuro di comportarmi con lealtà e onore verso di voi e la nostra patria?”.

Nayib Bukele fa il suo primo discorso da presidente. San Salvador, 1 giugno 2019 (Juan Carlos, Hans Lucas/Contrasto)

Senza preavviso, aveva fatto giurare ai soldati e agli ufficiali fedeltà a lui e alla patria, in quest’ordine. Anche se l’articolo 211 della costituzione impone alle forze armate di essere “apolitiche”, i militari hanno obbedito. Così il leader salvadoregno ha piegato l’istituzione al suo progetto politico. Questo rapporto simbiotico ha favorito il presidente ma anche le forze armate, che hanno ricevuto finanziamenti, responsabilità ed elogi come non era mai successo dalla fine della guerra civile nel 1992.

Nel 2018 il sondaggio Latinobaróme­tro, condotto ogni anno in decine di paesi dell’America Latina, ha rivelato che il Salvador era il terzo paese della regione in cui la fiducia nell’esercito era più bassa: solo il 27 per cento dei cittadini lo giudicava positivamente. Più sfiduciati dei salvadoregni erano solo i venezuelani e i nicaraguensi. Nel 2021 il 65 per cento dei cittadini si fidava dell’esercito, la percentuale più alta della regione. Questo capovolgimento quasi surreale si spiega con la centralità che i militari hanno assunto nella deriva autoritaria di Bukele. “Le forze armate non hanno nessun motivo di essere insoddisfatte del presidente. Perché dovrebbero lamentarsi? Perché non dovrebbero sostenerlo?”, si chiede Luis Enrique Amaya, ricercatore specializzato in pubblica sicurezza.

Prima di Bukele, il bilancio più alto dell’esercito era stato di 153,3 milioni di dollari nel 2013. Nel 2019 gli stanziamenti sono scesi a 145,1 milioni di dollari. Ma nel 2020, nel primo bilancio pubblico presentato dall’attuale amministrazione, il ministero della difesa ha ricevuto 220,3 milioni di dollari. I fondi approvati quest’anno sono ancora di più.

“Dal giugno 2019 le nostre care forze armate si sono trasformate e professionalizzate. Non sarebbe stato possibile senza l’appoggio del comandante generale, il presidente Nayib Bukele”, ha dichiarato il 7 maggio il ministro della difesa, viceammiraglio René Merino Monroy, 58 anni. La sua carriera militare è cominciata alla fine della guerra civile e si è svolta nella marina, che ha sempre avuto un peso minimo nello stato maggiore. Sono due aspetti importanti per capire il suo sostegno al presidente. “Monroy è il primo ministro della difesa che non ha esperienza di guerra”, spiega un ufficiale che ha accettato di parlare a condizione di restare anonimo.

Lo stanziamento di più fondi ha permesso di aumentare gli stipendi, in particolare quelli dei soldati semplici. Oggi un militare che svolge mansioni di pubblica sicurezza guadagna in media settecento dollari al mese, più del doppio di cinque anni fa. Chi raccoglie caffè o alleva maiali guadagna circa 243 dollari al mese. Si è potuto investire anche nella formazione e nell’equipaggiamento, “compresi droni e tecnologie di spionaggio per l’intelligence militare”, afferma José Marinero, presidente dell’ong Democracia transparencia justicia, che lotta per far rispettare lo stato di diritto.

Bukele non si è limitato a finanziare l’esercito. Il peso dei militari al ministero dell’interno è cresciuto a scapito di quello della polizia nazionale. “Ora le forze armate partecipano attivamente all’elaborazione dei piani strategici”, aggiunge Amaya.

Il numero di militari coinvolti nella pubblica sicurezza è passato da 7.900 nel 2017 a quasi 18mila nel maggio 2022. I soldati, le uniformi e gli M-16 sono ormai diffusissimi nel Salvador.

Bukele ha dato altri due incentivi alle forze armate. Il primo è un sostegno entusiasta, solido e costante nei confronti dell’istituzione, alimentato sui social network e nei suoi discorsi, e amplificato dall’apparato di propaganda. Il soldato è diventato un eroe nazionale. “I simboli, l’affetto, il sentimento e il radicamento nella società hanno un ruolo importante per noi militari. Dopo la guerra ci siamo sentiti traditi, perché i governi non ci hanno mai ridato lo spazio che avevamo prima”, afferma un ufficiale che ha chiesto di restare anonimo. Il secondo è rivolto agli alti ufficiali e ai generali selezionati per guidare le forze armate, con il ministro Monroy in testa. È il fascino della vicinanza al potere politico. “Per un generale è importante far parte di un gruppo privilegiato ed essere in quella posizione grazie ai propri meriti”, aggiunge l’ufficiale.

Una storia di corruzione

A tre anni dall’inizio del suo mandato Bukele ha una popolarità che tutti i leader del continente gli invidiano. Secondo un sondaggio pubblicato dal quotidiano La Prensa Gráfica il 1 giugno 2022, l’87 per cento dei salvadoregni approva l’operato del suo governo. Nove cittadini su dieci.

Un elemento che spiega il suo successo è la capacità di vendersi come l’unica alternativa alle due forze politiche eredi della guerra civile: il partito di destra che ha gestito la fine del conflitto Alianza republicana nacionalista (Arena) e l’ex gruppo guerrigliero che è diventato un partito politico Frente Farabundo Martí para la liberación nacional (Fmln). I due schieramenti hanno dominato il dopoguerra: trent’anni segnati dalla corruzione. Gli accordi di pace firmati tra l’Arena e l’Fmln hanno ridotto il potere e la visibilità delle forze armate, responsabili delle atrocità più gravi commesse durante il conflitto. Gli studiosi, i politici e gli attivisti pensano che l’esercito abbia svolto senza grandi resistenze il ruolo che gli è stato assegnato nel 1992 con la firma degli accordi di pace.

“Non sono un sostenitore dei militari, ma bisogna riconoscere con onestà che dopo la fine del conflitto non si sono macchiati di colpe gravi”, dice Amaya.

“Noi salvadoregni tendiamo all’autoritarismo e questo spiega perché le forze armate sono un’istituzione rispettata”, afferma José Marinero.

Ruth López, responsabile della lotta alla corruzione e della giustizia per Cristosal, una delle ong più attive nel paese, aggiunge che le forze armate non sono finite al centro di grandi scandali di corruzione. Secondo lei questo è dipeso “dalle numerose regole interne, dalla natura gerarchica dell’istituzione e dal margine di manovra limitato a causa delle poche risorse economiche”. Negli ultimi decenni l’esercito è stato invece coinvolto “in casi di abuso di autorità e violazione dei diritti umani ed è possibile che, con più fondi a disposizione, in futuro ci saranno anche episodi di corruzione”.

È risaputo che le forze armate hanno ostacolato le indagini sui massacri avvenuti durante la guerra civile. Ma non ci sono prove statistiche del fatto che all’aumento dei compiti di pubblica sicurezza affidati ai militari sia corrisposta la crescita di denunce per violazione dei diritti umani. Un esempio: nel 2021 nel dipartimento La Libertad, il secondo più popoloso del paese, l’ufficio del difensore civico per i diritti umani ha registrato sei denunce contro le forze armate e ventitré contro la polizia. Nel dipartimento La Unión, l’ufficio ha ricevuto trentadue denunce contro la polizia e cinque contro le forze armate. La tendenza è simile in tutti i dipartimenti del Salvador.

Una cerimonia per i militari coinvolti nella guerra contro le bande criminali. San Salvador, 5 aprile 2022 (Thomas Dworzak, Magnum/Contrasto)

Nel 2021 un totale di 3.124 giovani sono entrati nelle forze armate del Salvador e hanno cominciato a svolgere mansioni di pubblica sicurezza. Per loro è previsto un processo di formazione noto come Par 15, cioè un periodo di addestramento di quindici settimane. In poco più di cento giorni, un giovane senza neanche la licenza elementare può girare per il paese con un fucile d’assalto M-16 in spalla. L’addestramento non è stato istituito dall’amministrazione Bukele e ce n’è anche uno più breve. Nessuno degli ufficiali intervistati per questo reportage, né gli avversari né i sostenitori del governo, ha espresso dubbi sulla durata così limitata: “In dodici settimane un cittadino può essere formato per entrare al servizio dello stato, affiancare un ufficiale di polizia o eseguire gli ordini di un altro militare più esperto”, afferma un ufficiale.

I civili sono meno entusiasti. Secondo Amaya, “un poliziotto considera le persone prima di tutto come cittadini, alcuni rispettosi della legge e altri no. Solo chi non rispetta le norme è portato davanti a un giudice. Un soldato, per via della sua formazione, spesso considera i cittadini come nemici che devono essere non solo neutralizzati, ma anche eliminati”.

“È pericoloso affidare la sicurezza a persone armate e con poca preparazione”, dice Wendy Morales, direttrice della ong Azul originario. Secondo Verónica Reyna, del Servicio social pasionista, che si occupa della difesa dei diritti umani, “Bukele vuole avere un braccio armato fedele nel caso in cui aumenti il malcontento sociale”.

Un nuovo ruolo

Questo reportage è scritto mentre nel Salvador è in vigore lo stato d’emergenza. Il parlamento lo ha approvato lo scorso 27 marzo. Inizialmente sarebbe dovuto durare trenta giorni, ma è già stato prorogato due volte. Bukele ha adottato questa misura dopo un fine settimana particolarmente violento: il 26 marzo è stato il giorno con il maggior numero di omicidi – sessantadue – dalla fine della guerra civile. La gang Mara salvatrucha (MS-13) ha voluto mandare un messaggio al governo a causa delle divergenze nate nei negoziati che l’esecutivo sta portando avanti dalla fine del 2019 con il gruppo criminale e le due fazioni del Barrio 18, anche se continua a negare che sia in corso un dialogo.

Solo nei primi due mesi dello stato d’emergenza sono stati arrestati 34mila presunti componenti delle gang criminali. Ci sono state molte segnalazioni di detenzioni arbitrarie, di violazioni delle garanzie giudiziarie e una ventina di detenuti sono morti nelle carceri.

Oggi un militare che svolge mansioni di pubblica sicurezza guadagna in media settecento dollari al mese, più del doppio di cinque anni fa

La misura, che estende l’arresto provvisorio fino a quindici giorni e sospende il diritto di associazione e riunione, e l’inviolabilità delle comunicazioni, è stata messa in discussione dalla modesta ma rumorosa opposizione e da importanti figure della comunità internazionale, come l’amministrazione del presidente statunitense Joe Biden. Il 2 giugno Amnesty international ha presentato un rapporto in cui accusa Bukele di aver “fatto precipitare il paese centroamericano in una crisi dei diritti umani”. La commissione interamericana per i diritti umani ha esortato il governo salvadoregno a “rispettare i diritti umani”.

Nonostante gli eccessi documentati, i cittadini approvano lo stato d’emergenza.

Con trenta persone uccise dalla polizia, maggio 2022 è stato il mese con il minor numero di omicidi da quando esistono dati affidabili. Dall’inizio del novecento e fino alla vittoria di Bukele nel 2019, in un paese di appena 6,3 milioni di abitanti si è registrata una media di trecento omicidi al mese, con picchi terrificanti come i 918 dell’agosto 2015.

“Se lo stato d’emergenza approvato per combattere le bande criminali produrrà un senso di sicurezza”, dice uno degli ufficiali intervistati, “il presidente, la polizia e le forze armate ne usciranno rafforzati, il sentimento di patriottismo di ogni soldato aumenterà e crescerà anche il sostegno al comandante generale”.

Il ministro Monroy è d’accordo: “Durante la pandemia abbiamo vissuto per molti mesi sotto lo stato d’emergenza, e oggi facciamo lo stesso. Ne vale la pena, perché la popolazione è più tranquilla. Per questo ribadiamo il nostro appoggio al presidente, anche a costo della vita”, ha detto in occasione della giornata del soldato salvadoregno.

Per ora la polizia e le forze armate condividono i riflettori, ma Bukele ha già preso posizione: mentre il numero di poliziotti nelle strade continua a diminuire (a maggio è stato approvato un decreto che prevede il pensionamento di tremila dipendenti), le forze armate dovrebbero raddoppiare il numero dei loro effettivi in cinque anni. Lo ha annunciato il presidente in un tweet nel luglio 2021. Se non ci sarà un’inversione di rotta, il bilancio destinato al ministero della difesa continuerà a crescere.

“Le forze armate sono totalmente allineate a Bukele”, afferma Ruth López di Cristosal. “Sono diventate un’appendice del progetto politico del presidente”, aggiunge José Marinero. La costituzione è chiara: “La pubblica sicurezza è di competenza della polizia, un corpo professionale e indipendente dalle forze armate”. Così recita l’articolo 159, aggiunto dopo gli accordi di pace. I vari governi hanno cominciato a ignorare quest’articolo negli anni novanta, ma con Bukele c’è stata una vera e propria militarizzazione: oggi ci sono soldati ai posti di blocco, sulle pattuglie per le strade, nei centri di vaccinazione, ai bancomat dei bitcoin, alla guida degli autobus del trasporto pubblico e in molti altri luoghi.

“Alcuni militari non sono contenti di questo nuovo ruolo, ma sanno che gli conviene stare zitti”, dice un ufficiale che chiede di restare anonimo. A parte la presidenza e il suo titolare, le forze armate sono probabilmente l’istituzione più pubblicizzata e più in vista del paese. In linea con questa strategia, il ministro Monroy partecipa regolarmente a programmi televisivi e radiofonici. Però concede interviste solo ai mezzi d’informazione controllati direttamente dal ministero della comunicazione e ad alcuni giornali privati allineati con il governo. Per quest’articolo ho chiesto al ministero delle comunicazioni d’intervistare Monroy per parlare del “ruolo delle forze armate nel governo del presidente Nayib Bukele”. La domanda è stata presentata per iscritto, dando disponibilità completa per il giorno, l’ora e il luogo. Ho anche proposto, se lui fosse stato occupato, d’incontrare il viceministro o il capo dello stato maggiore. Non c’è stata risposta.

Nessuno degli alti ufficiali che ho intervistato mi ha autorizzato a usare il suo nome, neanche chi approva la politica di Bukele. Temono rappresaglie.

“Perché ha paura di parlare, colonnello?”, ho chiesto a un militare che ha accettato di essere intervistato quando il taglio dell’articolo era più o meno chiaro.

“Non bisogna confondere la paura con la prudenza, ma alcuni ufficiali hanno avuto problemi e altri hanno dovuto lasciare il paese”, ha risposto. Nelle forze armate salvadoregne spesso i figli di colonnelli e generali sono tenenti o capitani. C’è il timore di ritorsioni contro di loro, una paura comprensibile visto il modo in cui il governo tratta la dissidenza e le voci critiche. “Le persone non vogliono mettersi nei guai”, dice il colonnello.

Il mandato di Bukele scade nel 2024. La rielezione per due mandati consecutivi è espressamente vietata dalla costituzione, ma i magistrati della corte costituzionale – scelti da Bukele il 1 maggio 2021 – hanno aperto la strada alla candidatura del presidente. E lo scorso 15 settembre, durante la commemorazione per l’anniversario dell’indipendenza, il leader salvadoregno ha annunciato che si presenterà alle prossime elezioni presidenziali. Secondo il colonnello è illegale.

Gli chiedo chi sarà il presidente nel 2024. “Nayib Bukele”, dice senza neanche darmi il tempo di finire la domanda.◆ fr

Roberto Valencia è un giornalista nato nel Paese Basco nel 1976. Vive nel Salvador dal 2001. Ha lavorato per il sito El Faro. Il suo ultimo libro è Made in El Salvador (Índole 2022).

Da sapere
Stato d’emergenza

◆ Nel gennaio 1992 i guerriglieri del Frente Farabundo Martí para la liberación nacional (Fmln) e il governo del Salvador sostenuto dagli Stati Uniti hanno firmato un accordo di pace che ha messo fine alla guerra civile, caratterizzata da gravissime violazioni dei diritti umani commesse dalle forze armate. Da allora al governo si sono alternati l’Fmln, che si è trasformato in un partito politico, e l’Arena, un partito di destra. Nel 2019 è stato eletto Nayib Bukele, un leader populista che non appartiene a nessuno dei due partiti. Il 27 marzo 2022 il parlamento, su richiesta di Bukele, ha proclamato lo stato d’emergenza di un mese per contrastare le violenze delle bande criminali, accusate di aver compiuto più di 60 omicidi in un giorno. Migliaia di presunti affiliati alle gang sono stati arrestati. Lo stato d’emergenza è ancora in vigore. Bbc


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Questo articolo è uscito sul numero 1481 di Internazionale, a pagina 60. Compra questo numero | Abbonati