Il caos potrebbe non essere finito. Per avere un’idea del perché, bisogna tenere presenti due dati. La riserva totale di capitale del sistema bancario statunitense è di 2.200 miliardi di dollari. La perdita potenziale dovuta alla minusvalenza dei titoli in portafoglio, cioè la differenza tra il prezzo pagato per comprare i titoli e quello a cui si potrebbero vendere oggi, è stimata tra i 1.700 e duemila miliardi. In altri termini, se le banche fossero costrette all’improvviso a cedere obbligazioni e prestiti, le perdite cancellerebbero tra il 77 e il 91 per cento del loro capitale. Quindi molti istituti sono estremamente fragili.

Il fatto più sconvolgente è che fino al crollo della Silicon Valley Bank (Svb), il 10 marzo, molti erano convinti che le banche statunitensi avessero capitali sufficienti. Gli investitori sapevano bene che gli aumenti dei tassi d’interesse decisi dalla Federal reserve (Fed, la banca centrale degli Stati Uniti), una risposta necessaria ma tardiva all’inflazione, avevano colpito le obbligazioni. E sapevano che le banche possiedono molti titoli di stato. Ai più è sfuggita la portata potenziale delle svalutazioni. Dal 10 marzo l’attenzione di tutti è concentrata su quest’aspetto. Il dato più citato per dare conto delle dimensioni del problema è quello diffuso dalle autorità statunitensi: 620 miliardi di dollari. Purtroppo questa cifra riguarda solo le obbligazioni. Aggiungendo i prestiti a tasso fisso, la stima triplica.

Naturalmente queste minusvalenze contano solo se le banche dovessero essere costrette a vendere i loro titoli. Lo scenario in cui gli istituti fossero costretti a vendere si verificherebbe solo se il panico si diffondesse nell’intero sistema bancario, ma questo non succederà. I depositi fino a 250mila dollari sono assicurati, quindi non c’è ragione che i clienti li ritirino. Inoltre, il denaro in contanti prelevato da una banca potrebbe finire in un’altra. Tuttavia, anche un panico parziale potrebbe avere esiti disastrosi. Uno studio realizzato da Erica Jiang, della University of Southern California, insieme ad altri colleghi, sostiene che se i risparmiatori ritirassero solo la metà dei depositi non assicurati, potrebbero fallire 186 banche. La morale è che nelle prossime settimane tutto dipenderà dal fattore spaventosamente imprevedibile della psicologia dei correntisti: bisognerà vedere se fuggiranno via.

Il ruolo dei social network

La rete di protezione annunciata dalla Fed dopo il fallimento dell’Svb dovrebbe rassicurare i risparmiatori. Un aspetto negativo è che questa rete è parziale. La volontà della Fed di accettare obbligazioni non si estende ai prestiti, che rappresentano più della metà dei problemi delle banche. Inoltre, siamo di fronte alla prima stretta creditizia nell’epoca dei social network. Chi può dire quali voci, più o meno fondate, potrebbero creare confusione nella testa delle persone? Il panico per la situazione dell’Svb si è diffuso in fretta perché le notizie sono circolate sul web e i depositi potevano essere spostati con uno smartphone. All’epoca della crisi del 2008, l’iPhone esisteva solo da un anno.

Ci potrebbero essere anche altre conseguenze. Consapevoli che le loro riserve di capitale sono deboli, le banche non presteranno più soldi. Una stretta creditizia potrebbe raffreddare la domanda facendo calare l’inflazione, ma una disponibilità minore di capitale per le aziende significherebbe anche un rallentamento della produzione.

Nel 2008 la politica risolse il problema delle banche a corto di capitale costringendole ad accettare iniezioni di liquidità pubblica. Questa seminazionalizzazione fu tollerata male dagli azionisti. Oggi le condizioni di mercato non sono (ancora) tali da rendere necessaria un’azione così radicale. Il risultato è che per il prossimo anno, o anche di più, l’economia potrebbe risultare azzoppata da banche zombi. È il prezzo da pagare per una bolla inflazionistica che la Fed non ha fatto esplodere abbastanza velocemente. ◆ gim

Sebastian Mallaby è un giornalista britannico. Insegna economia internazionale al Council of foreign relations di New York, negli Stati Uniti.

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Questo articolo è uscito sul numero 1504 di Internazionale, a pagina 108. Compra questo numero | Abbonati