Dalla fine della pandemia di covid-19, il Fondo monetario internazionale (Fmi) avverte che i paesi più poveri sono esposti al rischio di crisi finanziarie. Hanno avuto crescita bassa mentre il debito saliva, un debito emesso in gran parte in valuta estera e sempre più difficile da gestire a causa dell’aumento dei tassi d’interesse.

Gli allarmi erano fondati: alla fine di marzo il Pakistan ha annunciato un accordo con l’Fmi per un prestito d’emergenza di 1,1 miliardi di dollari. Ma il paese asiatico ha già cominciato le trattative per un ulteriore pacchetto da 6-8 miliardi. Il governo ad interim che deve gestire il processo elettorale è alle prese con un rompicapo economico: la crescita è insufficiente, mentre l’inflazione superiore al 23 per cento va abbattuta subito. E poi c’è la classica crisi da bilancia dei pagamenti. Il Pakistan deve pagare le importazioni in valuta estera, che però non ha. Il bilancio del 2024 prevedeva 14.460 miliardi di rupie di spese e 6.900 miliardi di entrate. Senza l’Fmi, il Pakistan sarebbe già collassato. E un paese instabile da 236 milioni di persone è il genere di minaccia che l’economia mondiale oggi non può permettersi. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1560 di Internazionale, a pagina 93. Compra questo numero | Abbonati