Il Financial Times ha ceduto e ha stretto un accordo con la OpenAi. L’intesa permetterà all’intelligenza artificiale di ChatGpt (il software dell’azienda statunitense in grado di imitare una conversazione umana) di usare gli articoli del Financial Times, soprattutto l’archivio. L’Associated Press, l’editore tedesco Axel Springer, Le Monde e Prisa hanno fatto lo stesso.

Il New York Times non è arrivato a un accordo e ha avviato un’azione legale, accusando la OpenAi di usare indebitamente i suoi contenuti. I corrispettivi non sono noti. Ma una cosa è chiara: se ChatGpt si addestra sugli articoli dei grandi giornali e può accedere ai contenuti dei loro preziosi archivi, sarà in grado di offrire sintesi, analisi e suggerimenti simili a quelli che prima offrivano solo i giornali. Perché pagare il Financial Times per entrare nel suo archivio se ChatGpt l’ha già letto tutto? Certo, la qualità delle risposte dell’intelligenza artificiale migliorerà, e almeno nel breve periodo le esangui casse dei gruppi editoriali ne beneficeranno. Quindici anni fa sembrava un’idea sensata allearsi con Facebook per diffondere contenuti sui social network e vendere un po’ di pubblicità in più, ma è stato l’inizio della fine, con la piattaforma che si è appropriata di dati e ricavi pubblicitari. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1561 di Internazionale, a pagina 95. Compra questo numero | Abbonati