Il Guinness dei primati, l’Enciclopedia britannica e il governo degli Stati Uniti sono d’accordo: il fiume più lungo del mondo è il maestoso Nilo. Il “padre dei fiumi africani”, afferma l’Enciclopedia britannica. Ma in Brasile, patria del possente rio delle Amazzoni, che taglia l’America del Sud più che attraversarla, la reputazione del Nilo è leggermente più ridimensionata. “Il secondo fiume più grande del mondo”, afferma con scherno Wikipedia in portoghese. “Il rio delle Amazzoni è il più esteso di tutti”, dichiara il sito Brazil School, dedicato all’istru­zione.

In un’epoca in cui gran parte del mondo è stata misurata e tante dispute risolte – sulla montagna più alta (l’Everest), l’oceano più grande (il Pacifico) e il serpente più velenoso (il taipan dell’interno) – la questione di quale sia il fiume più lungo del pianeta resta in qualche modo aperta, frustrante nel suo essere al di là delle nostre capacità. Quello che a una prima occhiata appare un quesito geografico di base, una questione di fredda scienza e numeri rigorosi, è invece diventato una questione cartografica che ha diviso le comunità di scienziati ed esploratori lungo le linee di frattura dell’identità nazionale, delle unità di misura e perfino della ripicca personale.

Differenza minima

“Il Nilo è decisamente più lungo del rio delle Amazzoni”, dice Christopher Ondaatje, un avventuriero anglocanadese che ha viaggiato fino a quella che lui dice essere la fonte più remota del fiume. “Su questo non c’è dubbio”.

“Il rio delle Amazzoni è più lungo del Nilo”, ribatte Guido Gelli, ex direttore di geoscienze dell’Istituto brasiliano di geografia e statistica. “Non ho dubbi”.

Secondo lo US geological survey, l’ente governativo statunitense che si occupa di biologia, geografia, geologia e idrologia, e l’Enciclopedia britannica, la differenza tra i due fiumi è di appena 212 chilometri, meno della strada da Washington a Filadelfia. Secondo entrambe le fonti, il Nilo con i suoi 6.650 chilometri batte di misura i 6.437 chilometri del rio delle Amazzoni. Per cercare di risolvere la disputa – un compito secondo alcuni impossibile – un team di ricercatori internazionali sta progettando di percorrere tutta la lunghezza del fiume brasiliano. Sostenuto da alcune organizzazioni come l’Explorers club, che è stato dietro ad alcune delle spedizioni più audaci della storia, e da altri gruppi, il team partirà la prossima primavera per le regioni più lontane delle Ande peruviane, le montagne in cui si ritiene che nasca il rio delle Amazzoni. Per i sette mesi successivi i partecipanti mapperanno e misureranno l’intero corso del fiume, fino al punto in cui raggiunge l’oceano Atlantico.

Poi, se tutto andrà liscio, potrebbe essere la volta di un viaggio lungo il Nilo: dopotutto, anche nel suo caso potrebbe esserci stato un errore di misurazione. “Il monte Everest è stato scalato migliaia di volte”, dice l’esploratore brasiliano Yuri Sanada, che guiderà la missione. “Più di 1.500 persone hanno attraversato l’oceano in canoa o su barche a remi. Ma percorrere tutto il rio delle Amazzoni in kayak? È stato fatto meno di dieci volte, e sempre per il gusto dell’avventura. Nessuno ha ancora documento l’intero fiume, la sua geografia e biodiversità”.

Il viaggio non sarà privo di pericoli. I trafficanti di droga usano il rio delle Amazzoni come rotta del contrabbando. Alcune aree sono invase dai pirati: nel 2018 sei uomini sono stati accusati dell’omicidio della canoista britannica Emma Kelty, stuprata e uccisa a metà del suo viaggio in solitaria lungo il fiume. Ma, dice Sanada, sono rischi che meritano di essere corsi. Non solo per mostrare la straordinaria vita selvatica di un fiume strettamente legato a una regione spinta sull’orlo del collasso dalla deforestazione illegale, ma anche per tentare di risolvere uno degli ultimi misteri geografici: “Qual è il fiume più lungo del mondo?”.

Una scienza difficile

Non è semplice rispondere a questa domanda. I fiumi, più di altri elementi geografici, sono in continua evoluzione e soggetti a molte interpretazioni. Le inondazioni spazzano via le anse. Gli argini si spostano da una parte e dall’altra. I canali artificiali ne deviano il percorso. E poi c’è la questione di dove comincia un fiume. Alle sorgenti del corso d’acqua più grande, il flusso sorgente? O alla “fonte più distante”, il remoto luogo di nascita dell’affluente più lontano?

Altrettanto difficile è decidere dove finisce un fiume. Molti geografi ritengono che sia dove il flusso principale incontra la foce. Ma altri affermano che è dove termina il suo emissario più lungo. “È il selvaggio west”, afferma Matthew Hanson, uno studioso di telerilevamento dell’università del Maryland, negli Stati Uniti. “Chi direbbe: ‘No, non puoi misurare un fiume in questo modo’? È pazzesco. È divertente. È assurdo”.

Qualsiasi deviazione, naturale o meno, del corso di un fiume può produrre lunghezze diverse, e stravolgere la classifica. Nel 1846, secondo l’atlante Mappe del sapere utile, il rio delle Amazzoni era il fiume più lungo del mondo con i suoi 5.150 chilometri, mentre il Nilo si attestava sui 4.425 chilometri.

Più di recente i ricercatori brasiliani hanno sostenuto che il rio delle Amazzoni sarebbe più lungo di 1.600 chilometri, e supererebbe il Nilo di 140 chilometri. O forse, come invece sostiene lo US geological survey, è 212 chilometri più corto del Nilo. “È una scienza complessa e questo ha creato un margine che ha permesso di fare affermazioni ardite e sostenere diversi punti di vista”, dice Angela Thompsell, una storica della State university di New York a Brockport che ha studiato il Nilo. “Sarebbe bello avere una risposta precisa, un punto da poter indicare sulla mappa e dire: qui comincia il fiume”. Ma per i due corsi d’acqua più famosi del mondo non è ancora possibile.

Alla ricerca della sorgente

Dieci anni fa il neuroscienziato James Contos desiderava un cambiamento nella sua vita. Stressato dal troppo lavoro, Contos sperava di poter seguire la sua passione: il kayak. Sapendo che il Perù aveva alcuni dei migliori fiumi da percorrere e, osservando le mappe delle Ande, qualcosa di strano gli saltò all’occhio.

Per secoli si era creduto che la sorgente del rio delle Amazzoni fosse il fiume Marañón, nel nord del Perù. Poi gli esploratori sostennero che, seguendo un altro affluente remoto, il fiume Apurí­­m­ac­, questo portava a una sorgente ancora più lontana. Una spedizione del 1971 guidata dall’esploratore statunitense Loren McIntyre risalì il fiume fino a un lontano ruscello nelle Ande, che fu proclamato “la sorgente del rio delle Amazzoni”. Ma guardando le mappe, Contos si concentrò su un terzo affluente, il fiume Mantaro, che sembrava serpeggiare più lontano dell’Apurímac. Così partì con un gps, alcuni libri di escursionismo e un kayak per scoprire se le mappe corrispondevano alla realtà.

Si avventurò in quell’ambiente inospitale dove l’aria di montagna è rarefatta, arida e fredda; niente di più distante dal piatto, basso e afoso bacino del rio delle Amazzoni. Dopo giorni di cammino Contos trovò la nuova fonte più lontana: una modesta sorgente vicino alla base di una montagna. Il neuroscienziato pubblicò la sua ricerca nel 2014 sulla rivista accademica Area. “Pensavo di aver fatto una grande scoperta, e che sarebbe stata una grande notizia”, dice. Ma altri ricercatori provarono immediatamente a screditarlo. “Una questione di lana caprina”, così un geografo definì la scoperta al National Geographic.

Sul Mantaro è stata costruita una diga che durante la stagione secca devia tanta acqua da svuotare il letto del fiume. Secondo alcuni scienziati questo dovrebbe squalificarlo dall’essere considerato una fonte. Altri hanno replicato che questo non dovrebbe contare: la stagionalità del corso d’acqua è causata dall’intervento umano. Il dibattito cominciava a somigliare molto a quello su un’altra questione fluviale: la sorgente del Nilo.

In questo caso la discussione va avanti da secoli. Intorno agli anni cinquanta dell’ottocento, al culmine della moda mondiale per le esplorazioni, quando la fama e la fortuna si basavano sulle dichiarazioni audaci, un esploratore di nome Jack Speke se ne uscì con una delle più grosse. Nel 1858 sostenne di aver trovato la fonte del fiume: il lago Vittoria. Da allora quell’annuncio è stato contestato e oggi tre diversi paesi – Uganda, Burundi e Ruanda – rivendicano le sorgenti del Nilo. Ma la disputa si placa via via che il fiume si snoda verso nord, scorrendo in Egitto e poi nel mar Mediterraneo. Con il Rio delle Amazzoni non è così semplice.

Le acque del rio delle Amazzoni viaggiano per migliaia di chilometri prima di arrivare all’isola di Marajó, grande quanto metà del Portogallo, situata tra il fiume e l’Atlantico. Gran parte delle acque del fiume scorre in direzione nord, la via più breve per il mare. Ma una parte si dirige a sud, cominciando un lungo e tortuoso tragitto verso l’Atlantico.

In molti ritengono che il corso settentrionale chiuda definitivamente la questione per il rio delle Amazzoni. Non Paulo Roberto Martini, 76 anni. Per dimostrare la sua tesi, un lunedì mattina di non molto tempo fa, all’istituto brasiliano di ricerca spaziale nazionale nello stato di São Paulo, lo scienziato dalla lunga chioma ha tracciato una mappa. “Questo è il canale di Breves”, ha detto, indicando un sottile scarabocchio blu. Il suo dito lo seguiva nel percorso verso sud fin dove si fonde in acque che scorrono a est, in direzione dell’Atlantico. Questo è il tracciato – intorno al Marajó invece che attraverso – che la sua squadra aveva deciso di misurare quando nel 2008 volle confrontare le lunghezze del rio delle Amazzoni e del Nilo. Per essere equi, avevano misurato il Nilo con lo stesso criterio, selezionando il suo percorso più lungo fino alla foce. Alla fine il rio delle Amazzoni risultò primo, anche se di pochissimo: 6.990 chilometri contro 6.850. I giornali dichiararono il rio delle Amazzoni il fiume più lungo del mondo. Ma quella vittoria era stata breve.

Altri scienziati criticarono la decisione di usare il canale di Breves. Alcuni accusarono i ricercatori brasiliani di voler trovare qualunque appiglio pur di far risultare il loro fiume più lungo. “Manipolando la misurazione per poter essere il numero uno”, osservò uno studioso di telerilevamento. Martini spiega che la sua squadra era rimasta sorpresa dalle reazioni. “Ci eravamo sentiti attaccati”, dice. Perciò si spostarono su altre aree di ricerca, lo studio non fu mai sottoposto a revisione (peer-review) e la questione è stata in gran parte dimenticata.

Il potere della leggenda

Ma ancora oggi Martini pensa al giorno in cui mise in discussione il primato del Nilo. Gli ricorda il finale del film western di John Ford L’uomo che uccise Liberty Valance, quando James Stewart ammette che il successo della sua vita è stato costruito su una menzogna. Il suo appello a ristabilire la verità è stato ignorato. “Se la leggenda diventa realtà”, gli ha detto un editore, “stampa la leggenda”.

Martini si augura che la spedizione del 2024 possa finalmente risolvere la disputa. Ma non ci spera molto. “La questione del fiume più lungo del mondo non è risolta”, dice. “E non lo sarà mai”. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1521 di Internazionale, a pagina 58. Compra questo numero | Abbonati