Per la Turchia è la catastrofe naturale più grave degli ultimi decenni: una folle sequenza di scosse di terremoto e d’assestamento, in pieno inverno e in una zona, il sudest del paese, segnata dalla povertà e dai disordini politici. E, come se non bastasse, la violenza della natura si è abbattuta anche sulla vicina Siria, dove milioni di persone scappate dalla guerra civile vivono ammassate in miseri campi profughi. Una tragedia immane, con migliaia di vittime.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che è in piena campagna elettorale e la sera prima del terremoto, in un grande evento con i giovani, si era scagliato violentemente contro l’opposizione, ha subito raffreddato i toni invocando l’unità nazionale. “Ci auguriamo di superare questo disastro insieme, nel minor tempo e con le minori perdite possibili”, ha scritto su Twitter. Ma, a tre mesi dalle elezioni presidenziali, il terremoto potrebbe decidere il futuro del paese. Il 14 maggio si vota anche per rinnovare il parlamento. Erdoğan, che il 26 febbraio compirà 69 anni e da più di venti è al potere, si ricandida. La gestione della crisi e delle conseguenze del terremoto deciderà se dovrà fare i bagagli e lasciare Ankara.

Alcuni elementi fanno pensare che Erdoğan, leader del partito islamico conservatore Akp e figura sempre più autoritaria, sfrutterà la situazione.

In politica estera, per esempio, l’aiuto offerto prontamente dalla Svezia potrebbe offrirgli una via d’uscita dalle tensioni sulla richiesta di Stoccolma di entrare nella Nato. Ma, soprattutto, i turchi colpiti dalla catastrofe, quelli che hanno perso i parenti, che sono feriti in ospedale o che non hanno più un tetto sulla testa ora non pensano certo alle questioni politiche, alle palesi mancanze del governo, ai fallimenti e alla corruzione che hanno limitato le opere di prevenzione e antisismiche. Ora le persone hanno bisogno d’aiuto. E l’aiuto arriverà dallo stato. Quindi da Erdoğan. L’opposizione invece ha poco da offrire. A parte la gestione di alcune grandi città, non ha incarichi importanti. I terremoti sono considerati scherzi della natura e l’opposizione non può dare la colpa al governo. Conta, invece, il cittadino che si dà da fare. Se Erdoğan saprà affrontare le conseguenze del terremoto con grande risolutezza, potrà guadagnare consensi.

Gli avversari

Ma le cose possono andare diversamente. Quando 85 milioni di turchi realizzeranno la dimensione effettiva del disastro, il dolore e la solidarietà potrebbero lasciare il posto alla rabbia e all’indignazione contro il potere. I cittadini allora potrebbero interessarsi di più agli avversari di Erdoğan. Ma l’opposizione è impreparata. Non è riuscita a capitalizzare politicamente la frustrazione nei confronti del presidente, l’inflazione ormai assurda e l’impoverimento di molte persone. I sei partiti all’opposizione, che compongono un’alleanza, non hanno ancora presentato il loro candidato (dovrebbero farlo il 13 febbraio).

Tra le macerie della catastrofe non ci sarà uno sfidante capace di consolare, di mostrarsi presente. Quest’alleanza di socialdemocratici, nazionalisti di destra, religiosi e liberali, improvvisata in funzione anti-Erdoğan, è presa dalle lotte interne. Tutti sono convinti che alla fine lo sfidante sarà Kemal Kılıçdaroğlu, il lea­der del Partito popolare repubblicano (Chp), che tuttavia non è molto bravo ad affascinare gli elettori. Ci potrebbe essere anche Ekrem İmamoğlu, il sindaco di Istanbul, che però è stato messo fuori gioco con una condanna per insulti a funzionari elettorali. Un’altra opzione sarebbe Mansur Yavaş, il sindaco di Ankara, ma è poco conosciuto e ha meno carisma.

La tragedia, inoltre, si è abbattuta nella regione curda, dove molte persone odiano Erdoğan. Ma l’opposizione non ha voluto allearsi con la formazione filocurda del Partito democratico dei popoli (Hdp). Davanti a una catastrofe simile può sembrare inopportuno parlare di chi può sfruttarla politicamente. Ma il primo a farlo sarà Erdoğan. Non si può dare per scontato che con lo stato d’emergenza nelle province colpite si svolgeranno le elezioni. I turchi, con il loro dolore inconsolabile, potrebbero ribellarsi contro il potere. Sarebbe un terremoto politico, dopo quello naturale. ◆ nv

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Questo articolo è uscito sul numero 1498 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati