A Tacuba, nel dipartimento di Ahuachapán, c’è un sindacato di collaboratrici domestiche. Quando è nato, quattro anni fa, è stato difficile trovare donne che volessero iscriversi. Ma ora il gruppo sta diventando sempre più grande. I datori di lavoro pagano le collaboratrici domestiche che fanno parte del sindacato dai tre ai cinque dollari al giorno (tra i due e i quattro euro circa). Le lavoratrici puliscono, lavano, stirano e cucinano dalle sei di mattina alle sei di sera. Certe giornate lavorano anche dodici ore. Queste donne, comunemente chiamate muchachas, guadagnano tre dollari al giorno: 25 centesimi all’ora.

Anche Guadalupe Rivera, la leader del sindacato, prendeva tre dollari al giorno. “È poco, ma è sempre meglio di niente”, dice. “Bisogna riuscire a mangiare”. Rivera guida il sindacato dopo aver partecipato ad altre organizzazioni di Tacuba. Tra il 2013 e il 2014 alcune donne che vivevano nelle zone rurali del comune si erano unite per avanzare delle rivendicazioni. Formalmente Rivera è la segretaria generale del sindacato delle collaboratrici domestiche del Salvador. Chiedono al ministero dell’agricoltura di essere riconosciute in quanto lavoratrici e di ricevere dei fertilizzanti per coltivare la terra.

Una riunione del sindacato. Tacuba, febbraio 2022 (Carlos Barrera, El Faro)

Durante le sue prime esperienze Rivera ha notato due cose: le donne, senza terra né aiuti dallo stato per coltivarla, erano costrette a svolgere lavori domestici e ricevevano degli stipendi da fame.

Rivera gli dava dei consigli, era diventata un punto di riferimento. “Le donne venivano da me per chiedere aiuto quando subivano violenza o se erano state licenziate e non avevano i soldi per rientrare a casa con i mezzi pubblici”. È nata così l’idea di un sindacato. Nel 2018 è diventato realtà.

Le collaboratrici domestiche che guadagnano di più sono quelle che si sono trasferite nella capitale San Salvador e dormono nelle case dei datori di lavoro, raccontano le dodici donne che una mattina di febbraio si ritrovano a casa di Guadalupe Rivera. Secondo un’inchiesta dell’istituto per gli studi sull’opinione pubblica dell’università centroamericana, i prezzi dei prodotti di prima necessità sono aumentati e questo ha pesato sul bilancio familiare di nove salvadoregni su dieci. Le collaboratrici domestiche, che fanno un lavoro molto faticoso e guadagnano pochissimo, ne hanno sentito chiaramente gli effetti. Durante la riunione a casa di Rivera raccontano che mangiano meno di prima e confessano di sentirsi impotenti quando devono dire di “no” ai figli. A volte sono costrette a negargli perfino una bibita.

Una donna dice che prima di andare a scuola il figlio chiede sempre qualche moneta per comprare una merenda durante l’intervallo. “Vuole una bibita e venticinque centesimi. Io gli rispondo che deve scegliere, non può avere entrambe le cose”.

Questa storia parla di donne delle zone rurali che si sono organizzate per fare i conti con l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e di quanto questo le abbia rese più vulnerabili. Ma nonostante l’inflazione, continuano a impegnarsi e ad aiutarsi a vicenda per non soffrire la fame. Chiedono di essere pagate il giusto per il lavoro che fanno.

Cento chilometri da casa

María Pineda, 52 anni, fa parte del sindacato fin dalla sua fondazione. Per quindici anni ha lavorato e vissuto nella casa dei suoi datori di lavoro a Zaragoza, nel dipartimento della Libertad. Ora è impegnata solo il sabato e la domenica e guadagna venti dollari. Ha studiato fino al secondo anno delle superiori, poi si è sposata e ha avuto otto figli. A un certo punto, però, il marito li ha cacciati di casa: “Ci ha abbandonato togliendoci tutto: la luce, l’acqua. Abbiamo cominciato a spostarci da un luogo all’altro”.

Quando ha trovato un posto in cui stabilirsi a Tacuba, lasciava i figli a casa da soli per andare ad accudire i bambini dei suoi datori di lavoro. Per quindici anni, ogni otto giorni, Pineda prendeva due autobus, tornava a Tacuba e portava da mangiare ai figli, che nel frattempo crescevano prendendosi cura gli uni degli altri. Tre sono riusciti a completare gli studi superiori e si sono fatti una loro famiglia. Nel 2019 con Pineda erano rimasti solo due ragazzi, che vivevano a Tacuba mentre lei lavorava a Zaragoza, a più di cento chilometri di distanza. In quel periodo poteva concedergli dei capricci un tempo inimmaginabili: con un dollaro comprava le tortillas e due pezzi di pollo fritto da mangiare insieme. Poi nel 2020 il figlio adolescente le ha chiesto di restare a casa, di non andare via per settimane. Insomma, di vivere insieme. “Se non vado a lavorare moriremo di fame”, ha risposto Pineda.

Dietro alla richiesta del ragazzo probabilmente si nascondeva un’altra preoccupazione: l’organizzazione criminale che controllava la zona lo stava prendendo di mira. Pineda crede che i componenti della gang avessero chiesto al figlio informazioni su alcune persone e che lui si fosse rifiutato di parlare. “Non andrò più a lavorare, non vi lascerò soli”, si è detta. Ma era troppo tardi. Il giorno stesso in cui ha deciso che la sua vita sarebbe cambiata, è andata a dormire presto, verso le dieci. Pochi minuti dopo alcuni uomini con il passamontagna hanno fatto irruzione in casa. “Quei criminali me l’hanno strappato dalle mani e l’hanno ucciso. Non ho potuto fare niente”, dice piangendo.

Anni fa Pineda si vergognava di parlare in pubblico. Ora è cambiata, perché partecipa sempre alle riunioni organizzate dal sindacato

Pineda ha sepolto il figlio e si è comportata come fanno le persone spaventate: è rimasta in silenzio e non ha denunciato l’accaduto alla polizia. Secondo le statistiche del ministero della giustizia e della sicurezza pubblica, nel 2019 nel Salvador sono stati denunciati 2.373 omicidi, tra cui 150 nel dipartimento di Ahuachapán.

Oggi, due anni dopo la morte del figlio, Pineda lavora nelle case degli altri solo il sabato e la domenica. Gli altri giorni si occupa del bambino più piccolo e dei due nipoti. Ha paura che la storia si ripeta, e vuole essere presente il più possibile, anche se significa guadagnare di meno.

In settimana cucina e vende pastelitos, una specie di panzerotti. Il sabato e la domenica parte da Tacuba e fa le pulizie per varie famiglie. “Faccio qualsiasi cosa per evitare che i bambini muoiano di fame”, dice. A volte gli sforzi non bastano. Con i lavori del fine settimana Pineda guadagna venti dollari, che diventano sedici se si calcola il costo dei biglietti dell’autobus. Sulla strada di ritorno per Tacuba fa la spesa: compra un dollaro di pomodori, patate e sapone. L’olio le costa due dollari e un sacco di mais 4,50. Prende anche un sacchetto di zucchero per un dollaro e 25 centesimi. Torna a casa con sei dollari che le dovranno bastare per tutta la settimana.

Anni fa, prima di entrare nel sindacato, Pineda si vergognava di parlare in pubblico. Ora è cambiata, perché partecipa sempre alle riunioni dell’organizzazione. Tutte le iscritte si sono abituate ad andare in parlamento a chiedere leggi che le tutelino. Pineda ha deciso di far parte di questo gruppo per poter contare sul sostegno delle compagne: “Sono entrata nel sindacato perché avevo una vita difficile”, racconta.

Di solito García si alza e controlla se le sue due galline hanno deposto le uova. Comprarle non è più un’opzione, sono troppo care

Nel 2020 ha ricevuto gli aiuti alimentari che il governo di Nayib Bukele ha mandato alle famiglie più colpite dalla crisi economica causata dalla pandemia. “Non è stato molto, ma ci è servito”, ammette. Ha anche ricevuto un sussidio di trecento dollari molto pubblicizzato dal governo, ma non ha potuto spenderlo per comprare da mangiare. “Mi è servito per alcune visite mediche”, dice.

Alla fine di gennaio Pineda ha smesso di vendere pastelitos perché non riusciva a recuperare i costi sostenuti per prepararli. “Le persone vorrebbero mangiare, ma non ci sono soldi”, dice. Le chiedo cos’ha ora da mangiare a casa. “Solo fagioli. Mancano il sapone per lavare i piatti e anche l’olio”, risponde. E cos’ha mangiato oggi prima di andare alla riunione del sindacato? “Nulla. Per fortuna le altre donne mi hanno offerto un caffè e delle pupusas (delle focaccine tipiche)”.

Le donne che fanno parte del sindacato sono la dimostrazione del fatto che ci sono persone che lavorano ogni giorno ma non riescono a consumare tre pasti. Tacuba è un comune tra le montagne e per anni è stato considerato uno dei più poveri del paese. È anche un posto in cui i bambini sono spesso denutriti e crescono meno di quanto è considerato normale per la loro età. La minaccia della fame grava su tutto il dipartimento di Ahuachapán. Un rapporto del sistema d’integrazione centroamericana stima che quest’anno i dipartimenti di Ahuachapán e Morazán vivranno una “crisi d’insicurezza alimentare grave”. Se le previsioni sono giuste, saranno colpite più di ottocentomila persone.

Il minimo indispensabile

Marcelina García è un’altra delle fondatrici del sindacato. Ha 52 anni e prima lavorava come collaboratrice domestica. A gennaio ha comunicato ai suoi datori di lavoro a San Salvador che avrebbe smesso di andare a casa loro, perché voleva occuparsi della nipote. Guadagnava dieci dollari al giorno e aveva un permesso settimanale per tornare a Tacuba dalla famiglia.

La leader del sindacato Guadalupe Rivera. Tacuba, febbraio 2022 (Carlos Barrera, El Faro)

“Per fortuna lo stipendio era dignitoso”, dice. Prendeva di più delle colleghe che restano a Tacuba, ma comunque meno del salario minimo. A marzo del 2020 il tribunale costituzionale del Salvador ha ordinato al parlamento di regolamentare il salario minimo delle collaboratrici domestiche, ma la norma non è stata ancora discussa. Gli stipendi delle collaboratrici domestiche sono sempre stati bassi, anche se negli ultimi due anni la situazione è peggiorata perché i prezzi dei beni di prima necessità sono aumentati: la crisi economica è così grave che nel 2021 nel Salvador è stata registrata l’inflazione più alta degli ultimi vent’anni.

Alla fine del 2016 una famiglia aveva bisogno per mantenersi di 194 dollari al mese nelle aree urbane e di 138 dollari in quelle rurali. Cinque anni dopo l’aumento è evidente. Secondo l’istituto nazionale di statistica, nelle aree urbane servono 211 dollari al mese, mentre nelle zone rurali ce ne vogliono 151.

A luglio del 2021 il presidente Nayib Bukele ha annunciato un aumento del salario minimo. Quello previsto per il settore commerciale e dei servizi è di 365 dollari al mese. In teoria le collaboratrici domestiche potrebbero rientrare in questa categoria, ma di solito non sono assunte con contratti regolari e così i loro stipendi non godono delle tutele previste dalla legge.

La famiglia di Marcelina García è composta da quattro persone. Questo significa che oggi, in base all’indice dei prezzi al consumo, per poter mangiare a sufficienza avrebbe bisogno di poco più di cinque dollari al giorno. Il marito ne guadagna sei o sette coltivando la terra che appartiene ad altre persone, ma non è un lavoro fisso. Certi giorni non lo chiamano. Con i soldi che guadagna la famiglia deve comprare da mangiare, i vestiti, i medicinali, pagare le bollette e ricaricare il telefono per il figlio di diciassette anni che ha bisogno di collegarsi a internet per fare i compiti.

Di solito García si alza e controlla se le sue due galline hanno deposto le uova. Comprarne una confezione non è più un’opzione: “Tutti i prezzi sono aumentati e un pacco di uova, che prima costava due dollari e mezzo, ora ne costa più di quattro”, dice. Ogni giorno a pranzo prepara riso e fagioli e, quando ha fortuna, trova qualche erba aromatica per fare un risotto. “È il massimo”, dice. Nel periodo peggiore della pandemia García ha ricevuto gli aiuti alimentari del governo. Per questo pensa che le cose miglioreranno con Bukele. Lo credeva anche prima di poter contare sugli aiuti. Alle elezioni comunali García ha fatto la volontaria per il partito Nuevas ideas, quello del presidente, perché secondo lei tutti gli altri politici dicono solo bugie. Oggi a Tacuba c’è un sindaco del Partido de conciliación nacional.

Alla riunione del sindacato García è arrivata senza fare colazione. Non lavora da un paio di mesi, e l’unico stipendio è quello del marito. Oggi ha dato solo qualcosa da mangiare alla nipote. “Un po’ di pane e di caffè, è stata la sua colazione”, spiega.

Un incentivo

Nel pieno dell’emergenza sanitaria, il governo del Salvador ha istituito un bonus da trecento dollari per aiutare le famiglie del paese. Ma non è chiaro perché alcuni l’abbiano ricevuto e altri no. Guadalupe Rivera, la leader del sindacato, non l’ha avuto. Ha 49 anni e ha cominciato a fare la collaboratrice domestica quando ne aveva tredici. In pratica lavora da 36 anni senza mai essere stata messa in regola. Nel 2020 si è separata e oggi vive con i suoi tre figli. Durante il lockdown il marito ha perso il lavoro ed è diventato più violento.

“La situazione era tesa, è stato terribile. Per questo me ne sono andata”, confessa dalla cucina della casa in cui ora vive in affitto, nel centro di Tacuba. Il bonus da trecento dollari è arrivato a nome del marito. Ha discusso con lui per farsene dare una parte per coprire le spese dei figli. In compenso ha ricevuto il pacco alimentare inviato dal governo. È stata contenta, ma si chiede con quale criterio siano stati selezionati i prodotti per le famiglie in difficoltà. “Sono grata per l’aiuto che ci hanno dato, ma non è giusto pensare che, siccome siamo povere, siamo disposte a mangiare qualsiasi cosa. Alcuni prodotti erano in scadenza e i fagioli erano durissimi. Sarebbe meglio comprare dagli agricoltori locali”, dice Rivera.

Nella sua casa di Tacuba si tengono le riunioni del sindacato. Da qualche tempo Rivera ha cominciato a vendere vestiti usati. In fondo alla casa c’è la sua macchina da cucire, che usa per fare sandali da donna. Così riesce a guadagnare circa venti dollari alla settimana, ma solo per l’affitto deve pagarne 125. Nei giorni in cui il sindacato si riunisce, Rivera si alza presto per preparare i piatti che offrirà alle altre donne. Molti prodotti li riceve come donazioni dalle organizzazioni femministe e da altri sindacati. Oltre alla mobilitazione politica, il sindacato è anche uno spazio in cui aiutare le partecipanti.

Da sapere
Crisi e autoritarismo

◆ Il 10 marzo 2022 il governo del presidente salvadoregno Nayib Bukele ha annunciato una serie di misure economiche per far fronte alla crisi economica del paese, che si è aggravata a causa dei rincari nel commercio internazionale dovuti all’invasione russa dell’Ucraina. Tra le proposte c’è l’eliminazione per un anno delle tasse su alcuni beni di prima necessità importati, compresi i cereali, la frutta e la verdura. Saranno tolte anche alcune accise sul carburante.

◆Il 27 marzo 2022 l’assemblea legislativa, su richiesta del presidente Bukele, ha proclamato lo stato d’emergenza per un mese con l’obiettivo di contrastare la violenza delle organizzazioni criminali, accusate di aver compiuto più di sessanta omicidi in un solo giorno. Migliaia di affiliati alle gang sono stati arrestati e il 4 aprile il parlamento ha approvato una riforma al codice penale che punisce con pene fino a quindici anni di carcere i mezzi d’informazione che riportano notizie sulle organizzazioni criminali. Ap, El Faro


“Sapere che qui si troverà da mangiare è un incentivo. Per questo mi occupo di cucinare e pago il costo del trasporto di chi viene: partecipare a una riunione è di per sé un grande risultato per una donna”, afferma Rivera.

Quando le ospiti se ne vanno, la leader sindacale mi mostra quello che rimane nel suo piccolo e vecchio frigorifero: un sacchetto di crema, qualche piccola salsiccia, alcuni ravanelli e un po’ di cetrioli. “Certo, prima si mangiava di più”, dice.

“L’aumento dei prezzi non riguarda solo El Salvador”, spiega l’economista Lorena Cuéllar. L’origine di quest’inflazione può avere diverse cause: dalla crisi economica legata al coronavirus ai conflitti politici internazionali. Nonostante questo, l’inflazione colpisce in modo particolare El Salvador per la precarietà della sua economia. “Siamo un paese che importa più di quello che esporta, e se all’estero aumentano i prezzi dei beni e dei servizi, qui li paghiamo di più”, spiega l’economista.

Il 10 marzo il presidente Bukele ha annunciato una serie di misure che dovrebbero aiutare a combattere la crisi economica e l’inflazione. Tra queste c’è l’eliminazione delle tasse sull’importazione di alcuni prodotti di base. Pomodori, cipolle e zucchero, per esempio, entreranno nel paese senza essere tassati. La speranza è che in questo modo costino di meno alle famiglie.

Le collaboratrici domestiche di Tacuba fanno direttamente i conti con la crisi. Quasi tutti i prodotti alimentari costano di più, ma loro continuano a guadagnare gli stessi soldi. Nel migliore dei casi chi è pagata cinque dollari al giorno e ha un impiego stabile può arrivare a mettere da parte trenta dollari alla settimana, circa 120 dollari al mese. Questo significa che pur lavorando sempre non ha abbastanza denaro per vivere bene nelle zone rurali, tantomeno in città. A Tacuba le collaboratrici domestiche si sono organizzate per affrontare insieme le difficoltà, in mancanza di uno stipendio equo. Per loro il concetto d’inflazione è complicato, ma capiscono benissimo che la vita è diventata più cara. Alcune portano i figli piccoli alle riunioni del sindacato perché non hanno nessuno a cui affidarli. Per questo stesso motivo non possono (e in certi casi non vogliono) andare via da Tacuba: passare settimane lontano dai figli per lavorare nella capitale è l’ultima scelta.

Fanno quello che possono, dice Rivera. Ma la classe politica ha il dovere di ascoltarle: “Con il sindacato facciamo pressioni, andiamo in parlamento e chiediamo che il nostro lavoro sia regolamentato. La vita come collaboratrice domestica è difficile e molte donne sono costrette a lasciare Tacuba”. ◆ fr

Valeria Guzmán è una giornalista salvadoregna che dal 2014 lavora per il sito indipendente El Faro. Si occupa soprattutto di diritti umani, disuguaglianza e violenza di genere.

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Questo articolo è uscito sul numero 1457 di Internazionale, a pagina 60. Compra questo numero | Abbonati