All’alba di una mattina di fine agosto il sacerdote Uriel Vallejos ha imboccato un sentiero al confine tra il Nicaragua e la Costa Rica. Portava con sé due cambi, un paio di stivali e un’angoscia profonda. “Si affidi a Dio”, gli aveva detto il trafficante che l’aveva guidato verso l’esilio passando per strade secondarie. “Se la vedono, l’arresteranno e la porteranno in prigione”.

Il sacerdote stava scappando perché il governo del leader sandinista Daniel Ortega e della moglie e vicepresidente Rosario Murillo lo perseguitava da quasi un mese. Il 1 agosto la polizia, il principale braccio di repressione del governo, aveva chiuso la radio che Vallejos gestiva nella città di Sébaco. Lui era rimasto sotto assedio nella sua parrocchia, la chiesa della Divina misericordia, nutrendosi per quattro giorni di pane, acqua e yogurt. In seguito Murillo aveva ordinato di trasferirlo a Managua presso il seminario di Nostra signora di Fatima, dove il sacerdote aveva vissuto in regime di reclusione. Era sotto custodia della polizia e non poteva tornare a Sébaco, nel dipartimento di Matagalpa, la diocesi guidata dal vescovo Rolando Álvarez. In quegli stessi giorni anche Ál­varez era controllato dalla polizia. Attualmente è agli arresti domiciliari e il cardinale Leopoldo Brenes, secondo fonti cattoliche, ha chiesto al clero di non parlare di lui nelle omelie.

Vallejos ha poi raggiunto la Costa Rica. A differenza di quasi 120mila nicaraguensi scappati dal 2018 a oggi, non si è stabilito nel paese centroamericano ma l’ha usato come trampolino per arrivare a Roma. Nella capitale italiana, davanti alla statua di san Francesco e santa Chiara, Vallejos parla del suo esilio e denuncia la persecuzione a cui è sottoposta la chiesa cattolica in Nicaragua. Il sacerdote è uno dei cinque religiosi che nelle ultime settimane hanno deciso di scappare dal paese. Il 13 settembre un altro prete, Juan de Dios García, ha cercato di rientrare in Nicaragua dagli Stati Uniti, dove si trovava per un viaggio di famiglia. Ma le autorità per l’immigrazione gli hanno negato l’ingresso, costringendolo all’esilio.

Vecchi compagni

La persecuzione nei confronti della chiesa è l’ultimo capitolo della repressione in Nicaragua. Alle vessazioni contro i religiosi si aggiungono la chiusura di un centinaio di organizzazioni della società civile e la confisca delle loro sedi; una legge sui beni immobili contro le proprietà degli oppositori; la persecuzione dei giornalisti del quotidiano La Prensa e gli arresti di attivisti a Managua, León e Nueva Guinea. L’11 settembre sono stati arrestati quattro dirigenti locali dell’Unión democrática renovadora, l’ex Movimiento renovador sandinista.

Il 31 agosto, in seguito alla mobilitazione dei familiari, che hanno denunciato ripetutamente i maltrattamenti e la pessima alimentazione nel carcere del Chipote, a Managua, il governo ha mostrato per la prima volta dopo più di un anno i prigionieri politici. L’ex guerrigliera Dora María Téllez è apparsa emaciata: era evidente che non passava tempo all’aria aperta. Come tutti gli altri detenuti, presentava segni di malnutrizione.

Secondo la storica ed ex combattente sandinista Mónica Baltodano, Ortega se la prende con i sandinisti dissidenti e le figure chiave della lotta contro la dittatura di Somoza perché li considera dei traditori. Nel 2021 Baltodano è andata in esilio in Costa Rica dopo che la polizia aveva fatto irruzione nella sede della sua ong. Altrimenti oggi sarebbe in carcere insieme a Dora María Téllez. “Non credevo che Ortega arrivasse a questo: torturare i prigionieri politici e perseguitare tutti gli altri”, afferma. “Siamo stati i primi a lanciare l’allarme e a dire che stava instaurando una nuova dittatura. Sapevamo che era pericoloso autorizzare la possibilità di ricandidarsi senza limiti di mandato. Con quell’iniziativa nel 2009 le sue aspirazioni autoritarie sono venute completamente allo scoperto. Però non pensavamo che avrebbe arrestato il comandante e suo ex compagno di lotta Hugo Torres e che l’avrebbe lasciato morire come un cane in carcere (Torres è morto a febbraio di quest’anno). Vuole indebolire fisicamente e mentalmente i prigionieri politici”.

Magliette con l’immagine del presidente sandinista Daniel Ortega. Managua, 18 luglio 2022 (Oswaldo Rivas, Afp/Getty Images)

“Il governo di Ortega e Murillo sta diventando sempre più autoritario. Il loro potere si basa sulle armi e sul terrore, soprattutto grazie alla piena collaborazione della polizia. Ortega è riuscito a piegare tutte istituzioni al suo controllo. Ai tempi della dittatura della famiglia Somoza, dal 1934 al 1979, c’erano delle spaccature nel sistema giudiziario, in parlamento si potevano sentire delle voci critiche. Oggi c’è una subordinazione completa alla coppia presidenziale. Il parlamento propone e approva leggi che sono una camicia di forza per l’opposizione. Sono espressamente mirate ad asfissiare e a schiacciare ogni tipo di voce dissidente”, dice Baltodano.

Quarantacinque paesi delle Nazioni Unite hanno condannato la brutale repressione del regime e le continue violazioni della libertà di associazione, espressione e religione davanti al Consiglio per i diritti umani, che si è svolto a Ginevra, in Svizzera, dal 12 settembre al 7 ottobre.

“Il Nicaragua continua a reprimere il diritto alla libertà di riunione e associazione pacifica e di religione”, si legge nel documento, che critica la chiusura di più di mille organizzazioni civili e di una decina di università. Si sottolinea anche come l’esercizio della libertà di opinione e di espressione sia peggiorato, con più di cento giornalisti costretti all’esilio e una decina di radio e tv censurate ad agosto.

“Gli attacchi alla libertà di associazione sono aumentati in modo esponenziale. Quest’anno hanno perso la capacità giuridica più di millecinquecento organizzazioni per i diritti umani e gli aiuti allo sviluppo, associazioni professionali, comprese quelle mediche, ed enti legati alla chiesa cattolica”, ha dichiarato un rappresentante dell’Onu a margine della cinquantunesima sessione del consiglio.

Le Nazioni Unite hanno invitato Ortega e Murillo ad aprire un dialogo, ma una serie di eventi, anche recenti, dimostrano che Managua non è interessata. “Durante l’esame periodico universale (uno strumento per fare un bilancio della situazione dei diritti umani nei paesi membri) sette paesi hanno raccomandato la necessità di un confronto. Il Nicaragua ha accettato queste indicazioni, ma il dialogo non è mai cominciato”, ha osservato l’Onu.

Anche il tentativo di avvicinamento a Managua fatto dal presidente della Colombia Gustavo Petro, di sinistra, non ha prodotto i risultati sperati. Il 31 agosto, mentre Ortega presentava i prigionieri politici, Bogotá ha provato ad aprire un confronto per fini umanitari. Ma il ministro degli esteri colombiano, Álvaro Leyva, ha affermato che le questioni di ordine pubblico “non possono essere affrontate a calci e spintoni”, come ha fatto Ortega, né “mettendo in prigione gli amici o chiudendo le associazioni nazionali per i diritti umani. È una scelta sconsiderata”, ha detto. E il negoziato è fallito.

Di fronte a un’opposizione e a una società civile frammentate, la comunità internazionale è andata a sbattere contro il regime. La strategia applicata, finora poco efficace, sembra sempre la stessa. Ortega e Murillo “la stanno facendo franca. Non c’è ancora una forza nazionale o internazionale che dica con chiarezza che bisogna fermare questa dittatura”, afferma Baltodano da San José, in Costa Rica.

L’ex deputato Eliseo Núñez sostiene che Ortega e Murillo hanno criminalizzato “tutto” per consolidare un regime totalitario. “Al momento stanno cercando di smantellare la rete della chiesa cattolica per evitare che da quel lato arrivi un sostegno che permetterebbe all’opposizione di compattarsi. Una delle cose che si perdono sotto i regimi autoritari è la capacità di unirsi. Si rompe il tessuto sociale, ma prima ancora quello organizzativo. Ecco perché la libertà di associazione è criminalizzata in Nicaragua. L’attacco alla società civile e alla chiesa fa parte dello stesso programma politico. Ortega e Murillo vogliono fare sentire le persone sole. Nessuno deve partecipare a una messa o ascoltare un’omelia critica verso il governo”, dice Núñez.

Ossigeno economico

Sia lui sia Baltodano concordano sul fatto che finché il presidente e sua moglie avranno le risorse per mantenere in funzione la loro macchina repressiva, il regime sopravvivrà.

“Ortega riceve fondi dalle istituzioni finanziarie internazionali. Quello che la Banca per lo sviluppo e la Banca mondiale gli hanno tolto, ora arriva dalla Banca centroamericana per l’integrazione economica. Finché Ortega pagherà gli stipendi alla sua cerchia di collaboratori, finanzierà gli investimenti pubblici per creare posti di lavoro e manterrà gli imprenditori a lui fedeli, il modello su cui si regge il suo potere resterà in piedi. Eppure per la comunità internazionale sarebbe facile fermarlo. L’unico ambito in cui c’è poco margine di manovra è quello delle rimesse”, dice Núñez. Poi aggiunge: “Non è così per le esportazioni. Gli Stati Uniti, che sono il cliente principale di Managua, possono chiudere il rubinetto in qualsiasi momento”.

Negli ultimi mesi Washington ha imposto alcune misure economiche per fare pressione su Managua. Il 20 luglio è riuscita a far escludere il Nicaragua dalle importazioni di zucchero per l’anno fiscale 2023 previste dall’Organizzazione mondiale del commercio. Secondo fonti economiche legate al trattato di libero scambio tra Repubblica Dominicana, America Centrale e Stati Uniti (Cafta-Dr), questo colpo ai coltivatori di canna da zucchero è un messaggio ad altri settori imprenditoriali vicini al governo. A subire i danni più gravi è stato il magnate dello zucchero Carlos Pellas, che finora non si è espresso contro la repressione del governo.

Alla fine di agosto l’amministrazione Biden ha cominciato a valutare la possibilità di limitare altre importazioni dal Nicaragua, bloccando alcuni dei prodotti più importanti attraverso il Cafta-Dr. Il senatore repubblicano Marco Rubio si è spinto oltre e ha invitato Washington ad applicare alcune sanzioni economiche dirette contro i funzionari del regime e a sospendere i benefici del trattato.

Questi sono gli sviluppi sul piano internazionale. Nel frattempo Baltodano è preoccupata per la salute dei prigionieri politici, la cui permanenza in carcere potrebbe essere prolungata in vista delle elezioni municipali del 6 novembre. Secondo l’organizzazione Urnas abiertas, con il voto il sandinismo “consoliderà il potere assoluto” nelle amministrazioni comunali. “Ortega annienterà tutta l’opposizione”, sostiene Baltodano. “E la sua macchina repressiva non si ferma neanche con chi è in esilio: siamo vittime di vessazioni fiscali e finanziarie; ci negano i passaporti nei consolati o le patenti di guida. L’obiettivo è cancellarci come cittadini”, aggiunge.

Secondo lei l’eventuale morte di Ortega, che a novembre compie 77 anni, non favorirebbe un cambiamento democratico. “Il regime ne uscirebbe indebolito, ma l’intera struttura di potere potrebbe passare ai suoi eredi. Basta pensare a cosa successe con Somoza padre: la sua morte non mise fine alla dittatura e il potere passò ai familiari. L’essenziale è come noi nicaraguensi riusciremo a organizzare le forze dentro e fuori dal paese. Per portare avanti una trasformazione profonda e avviare il processo di transizione di cui il Nicaragua ha bisogno per ricostruire la repubblica”. ◆ fr

Wilfredo Miranda Aburto è un giornalista nicaraguense. Per più di sette anni ha scritto per il giornale Confidencial, dove si occupava di inchieste e diritti umani. Oggi è in esilio in Costa Rica.

Da sapere
Attaccato al potere

Daniel Ortega, 77 anni a novembre, ha combattuto nel Frente sandinista de liberación nacional (Fsln), che nel 1979 ha rovesciato la dittatura della famiglia Somoza. Ha guidato il primo governo dopo il ritorno alla democrazia, dal 1984 al 1990. È stato rieletto presidente nel 2006. Nel 2009 la corte costituzionale ha ammesso per il presidente la possibilità di rielezione senza limiti di mandato. Ortega ha vinto le elezioni nel 2011 e nel 2016, e ha nominato la moglie Rosario Murillo vicepresidente. Nell’aprile del 2018 le proteste antigovernative sono state duramente represse dalla polizia. Le vittime sono state più di trecento. Il 24 ottobre 2022 Washington ha vietato ai cittadini statunitensi di operare nell’industria dell’oro nicaraguense. Bbc


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Questo articolo è uscito sul numero 1484 di Internazionale, a pagina 64. Compra questo numero | Abbonati