12 agosto 2015 13:25
La sede della Banca popolare cinese, la banca centrale cinese, il 12 agosto. (Petar Kujundzic, Reuters/Contrasto)

Per il secondo giorno consecutivo la Cina ha deprezzato la sua moneta, lo yuan. La banca centrale ha fissato il tasso di cambio a 6,3 dollari, l’1,6 per cento in meno rispetto all’11 agosto, quando lo aveva già abbassato del 2 per cento. Secondo il Wall Street Journal, si tratta della svalutazione più pesante dal 1994. Ma perché Pechino ha deciso di deprezzare la sua moneta? E quali conseguenze possono essere provocate dalla misura a livello internazionale?

  1. Il tasso di cambio cinese è meno soggetto alle fluttuazioni di altri tassi, perché è controllato dalle autorità di Pechino, che hanno fissato dei valori di riferimento entro i quali la moneta può fluttuare. Ogni giorno, a fine seduta, la Banca centrale cinese interviene per evitare che i valori di riferimento fissati siano violati. Ma negli ultimi anni il margine di oscillazione della moneta cinese è stato gradualmente allargato dalle autorità di Pechino. Nel 2014 il valore di riferimento è stato fissato al 2 per cento (precedentemente era all’1 per cento). Ogni giorno quindi la moneta cinese può perdere o guadagnare non più del 2 per cento. Ma negli ultimi due giorni la banca centrale cinese ha permesso che a stabilire la fluttuazione della sua moneta fosse il mercato e non è intervenuta a correggere l’oscillazione del valore dello yuan decretandone di fatto un deprezzamento.
  2. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) aveva chiesto alla Cina una maggiore liberalizzazione del cambio, come condizione per includere lo yuan tra le valute di riserva di cui fanno parte il dollaro, l’euro, la sterlina e lo yen, le monete di riferimento del mercato valutario mondiale. Questo è il primo motivo per spiegare la svolta di Pechino. La Cina vuole che la sua moneta entri nel gruppo delle monete di riserva, anche per allentare la sua dipendenza dalle fluttuazioni del dollaro. Ma per fare questo deve rispondere alle richieste di maggiore liberalizzazione del Fondo monetario. L’Fmi esaminerà le richieste di Pechino a ottobre del 2015, ma ha già accolto con favore la fluttuazione della valuta cinese l’11 e 12 agosto.
  3. Inoltre, secondo gli analisti, dietro alla decisione di Pechino si nascondono dei timori per le esportazioni e per la salute dell’economia cinese, che rallenta dopo anni di crescita sostenuta. Per anni, la Cina, garantendo un tasso di cambio stabile, si è tenuta alla larga dalla guerra delle valute, la concorrenza tra le banche centrali dei diversi paesi per rendere più competitive le proprie economie usando la leva del cambio. Tuttavia a luglio le esportazioni cinesi sono scese dell’8,3 per cento e nell’ultimo trimestre gli acquisti di auto sono scesi del 22 per cento su base annua. Secondo alcune previsioni, la crescita cinese, che è stimata al 7 per cento nel 2015, in realtà si attesterà solo al 5 per cento alla fine dell’anno.
  4. Il messaggio mandato da Pechino con la svalutazione della moneta, dopo gli interventi delle autorità cinesi per salvare la borsa di Shanghai, è che la Cina è pronta a una politica monetaria più aggressiva per salvaguardare l’economia. “Anche se un deprezzamento del 3,6 per cento in due giorni può apparire non decisivo, in realtà inverte la tendenza alla rivalutazione del cambio e mette potenzialmente le imprese europee e statunitensi in una condizione di svantaggio rispetto alle concorrenti cinesi, soprattutto se la mossa dovesse ripetersi in futuro”, scrive il Sole 24 Ore.
  5. La mossa di Pechino potrebbe alimentare una nuova “guerra tra le valute”. La decisione non è piaciuta agli Stati Uniti, che chiedono alla Cina da anni di non deprezzare la sua moneta. La decisione sarà sicuramente al centro delle discussioni tra il presidente cinese Xi Jinping e l’amministrazione statunitense nel corso del suo prossimo viaggio negli Stati Uniti, previsto a fine settembre. La Federal reserve, la banca centrale statunitense, potrebbe rimandare la decisione di alzare i tassi d’interesse, che era attesa a breve.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it