25 novembre 2016 12:40

In occasione del referendum costituzionale del 4 dicembre sono emerse diverse polemiche legate al voto degli italiani che vivono all’estero. Le critiche riguardano principalmente i costi e la sicurezza del voto per corrispondenza. Il comitato del no al referendum ha già annunciato che, in caso di vittoria del sì, presenterà un ricorso legato proprio ai voti degli italiani all’estero.

Com’è nato il voto degli italiani all’estero. Il 20 dicembre 2001 è stata approvata la legge numero 459, conosciuta come legge Tremaglia, dal nome del suo sostenitore, Mirko Tremaglia (Alleanza nazionale), all’epoca ministro per gli italiani nel mondo nel governo guidato da Silvio Berlusconi. L’approvazione della legge ha permesso la revisione degli articoli 48 (istituzione della circoscrizione estero), 56 e 57 (elezione dei deputati e senatori) della costituzione e ha sancito il diritto di voto per i cittadini italiani che vivono all’estero. Secondo la legge, possono votare tutti i cittadini italiani iscritti all’anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire), tranne quelli che vivono in stati come l’Iraq, la Libia e il Burkina Faso, con i quali il governo italiano non ha potuto concludere accordi per garantire che il diritto di voto si svolga in condizioni di eguaglianza, libertà e segretezza.

Come funziona il voto dall’estero. In seguito all’approvazione della legge Tremaglia è stata istituita una circoscrizione estero, come previsto dall’articolo 48 della costituzione, che è suddivisa in quattro ripartizioni: Europa; America meridionale; America settentrionale e centrale; Africa, Asia, Oceania e Antartide. A ogni tornata elettorale il cittadino italiano residente all’estero riceve dal consolato più vicino un plico che contiene un foglio con le istruzioni per votare, il testo della legge o la lista dei candidati, il certificato elettorale, la scheda e una busta per inviare la scheda al consolato dopo aver espresso il voto. Sono validi i voti arrivati al consolato entro le 16 (ora locale) del giovedì che precede la domenica elettorale. Il governo è tenuto a stilare un elenco aggiornato dei cittadini italiani residenti all’estero per predisporre le liste elettorali. Lo spoglio delle schede estere, che avviene in contemporanea con quello nazionale, si svolge presso la corte d’appello di Roma.

Quanti sono gli italiani che votano all’estero. Sono più di quattro milioni gli italiani che vivono all’estero e che sono iscritti all’Aire. Secondo alcune stime, gli italiani all’estero che voteranno per il referendum del 4 dicembre sono tra il 5 e il 6 per cento degli elettori, cioè tra 1,4 e 1,5 milioni. Nell’ultimo referendum sulle trivelle hanno votato 700mila italiani all’estero. Il loro voto potrebbe essere decisivo e avere un ruolo simile a quello nelle elezioni politiche del 2006, quando i voti degli italiani all’estero contribuirono in modo determinante alla vittoria di Romano Prodi. Secondo gli ultimi sondaggi, la maggioranza degli italiani all’estero è schierata con il sì. Secondo alcune analisi preelettorali, i giovani sono favorevoli al no, mentre la fascia di mezza età è più orientata verso il sì. La situazione è incerta in Europa, mentre in America Latina e negli Stati Uniti la maggioranza degli elettori è per il sì.

Perché il comitato del no propone un ricorso. Durante la campagna referendaria il comitato del no ha espresso numerose critiche nei confronti del voto degli italiani all’estero. Il 22 novembre il presidente del comitato del no Alessandro Pace ha dichiarato che in caso di vittoria del sì con voto decisivo della circoscrizione estero il suo comitato presenterà un ricorso. Pace ha spiegato che, secondo quanto stabilito dalla nostra carta, il voto dovrebbe essere “personale, libero e segreto”, ma la modalità di voto non ne garantisce la segretezza. Infatti il voto si può svolgere in qualsiasi luogo, in casa, in ufficio o per strada, dato che non ci sono seggi. Inoltre le schede elettorali passano nelle mani di diverse persone, dai postini che recapitano il materiale, ai funzionari che gestiscono l’afflusso dei plichi ai consolati, fino a quelli del centro di raccolta finale delle schede, vicino a Roma. Perplessità sono state espresse anche sui costi del voto degli italiani all’estero. Per esempio il voto estero sul referendum delle trivelle è costato 24,5 milioni di euro. L’aggiornamento continuo dell’Aire, inoltre, comporta l’impiego di due addetti per ciascuna sede diplomatica e consolare e altri funzionari presso ogni sede centrale.

I casi contestati. Un italiano residente a Praga dopo aver votato per il referendum costituzionale quest’anno ha ricevuto per errore un altro plico elettorale dall’ambasciata con tutto il materiale necessario. Nel 2008 sono stati ritrovati a Buenos Aires, nei magazzini di una ditta responsabile della distribuzione, 120mila schede in più rispetto a quelle necessarie. Inoltre al governo italiano attuale è stato contestato l’invio di lettere da parte del presidente del consiglio Matteo Renzi agli italiani all’estero, con le istruzioni sulle modalità di voto, accompagnate dalle ragioni per cui votare sì.

Il testo Ravaglia e le possibili soluzioni. L’ambasciatrice Cristina Ravaglia, direttrice generale della Farnesina, in seguito alle elezioni politiche del 2013 aveva denunciato l’inadeguatezza del sistema elettorale per corrispondenza. Il testo, che solo recentemente è stato reso pubblico, criticava la modalità di attuazione del voto all’estero, tale da mettere a rischio “gli imponenti sforzi messi in atto per assicurare un ordinato svolgimento del voto”. L’ambasciatrice proseguiva evidenziando che il voto per corrispondenza è soggetto a una serie di incertezze, come l’affidamento ai sistemi postali locali, il pericolo di furti, compravendite o sostituzione del votante. Il testo proponeva anche immediate soluzioni al problema, come quella di rafforzare i controlli e allestire seggi nel consolati dei diversi paesi.

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