17 settembre 2021 16:55

Il 13 settembre il ministro per la transizione ecologica Roberto Cingolani ha dichiarato nel corso di un convegno della Cgil a Genova che nel prossimo trimestre il prezzo di luce e gas aumenterà del 40 per cento.

L’annuncio ha creato un certo allarme nel governo, perché i dati ufficiali dell’Autorità per l’energia (Arera) dovevano essere resi noti solo il 1 ottobre. Le cause del rincaro sono da attribuire principalmente a un forte aumento del prezzo internazionale del gas, che copre il 24,6 per cento del fabbisogno energetico dell’Europa, contro il 39,2 per cento dell’Italia. Le energie rinnovabili, invece, pesano ancora troppo poco: circa il 15,4 per cento in Europa, e il 19 per cento in Italia.

La scorsa stagione invernale caratterizzata da temperature rigide ha provocato un aumento della domanda di gas, che è continuata a salire anche in estate con la ripresa delle attività economiche. L’offerta non è riuscita a mantenere lo stesso ritmo soprattutto in seguito al calo delle consegne di combustibile in Europa da parte di Russia e Norvegia, e alla capacità della Cina, appena uscita dalla fase di lockdown, di accaparrarsi grossi carichi di gas.

Il sistema delle quote
Tra i motivi dell’aumento dei costi in bolletta c’è poi la crescita dei prezzi dei permessi di emissione di CO2, gli Ets (Emission trading scheme), cioè i permessi che le aziende pagano per “poter inquinare”.

Il sistema Ets, istituito dall’Unione europea nel 2005, assegna ogni anno delle quote di emissioni di CO2 alle aziende. Superato questo tetto le imprese devono acquistare da altre aziende più pulite quote di CO2 per evitare di incorrere in sanzioni. Più la richiesta di “quote pulite” aumenta – per effetto di direttive europee più stringenti sulle emissioni – più il loro prezzo sale.

Il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans alla plenaria dell’Europarlamento del 14 settembre ha spiegato però che “la fluttuazione del prezzo del gas è responsabile almeno all’80 per cento dell’aumento delle bollette”, mentre soltanto “un restante 20 per cento” sarebbe da attribuire al rincaro dei certificati Ets determinato dal processo di transizione ecologica.

Tra le proposte allo studio del governo c’è la possibilità di mitigare l’aumento del prezzo delle bollette spostando parte degli oneri di sistema, ovvero i costi non direttamente legati al consumo di energia da parte del consumatore, sulla fiscalità generale. Questa misura, però, finirebbe di nuovo a pesare sui contribuenti, tramite altre imposte. “Va riscritto il metodo di calcolo” delle bollette energetiche, “lo stiamo facendo in queste ore”, ha detto il 16 settembre il ministro Cingolani.

Una diversa soluzione, già tentata nel luglio del 2021, sarebbe quella di rivendere all’asta le quote di emissione di CO2, i cui proventi sono attualmente destinati per metà a ripianare il debito pubblico.

Si tratta di argini parziali che non riescono a frenare la forte oscillazione dei prezzi dell’energia all’interno del mercato libero.

Tentativi europei
La soluzione più aggressiva è stata tentata dalla Spagna, dove però il costo dell’energia è aumentato senza controllo. Il consiglio dei ministri spagnolo lo scorso 14 settembre ha approvato un pacchetto di misure da quattro miliardi di euro con cui si riduce l’imposta sull’elettricità dal 5,1 per cento allo 0,5 per cento. Il governo spagnolo ha inoltre deciso di tassare i produttori di energia idroelettrica e nucleare. Questi settori non sono infatti colpiti dal rincaro dei costi subiti dai produttori di energia termoelettrica le cui centrali sono alimentate a gas e carbone, e beneficiano di ingenti profitti straordinari dati dagli aumenti dei prezzi dell’energia. Il governo conta quindi di utilizzare il ricavato delle nuove imposte per ridurre le bollette di cittadini e imprese.

In Francia si è parlato invece di un voucher per sostenere le famiglie fragili più colpite dagli aumenti, ma si stanno valutando anche ipotesi di tassazione diversa.

Molti analisti però continuano a dirsi preoccupati: “Il vero problema è che non esistono strutture internazionali e nazionali per regolamentare questo continuo salire e scendere dei prezzi. La Spagna ha fatto un primo tentativo in tal senso, ma è in controtendenza rispetto alle scelte dei paesi Ue”, ha commentato Giuliano Garavini, esperto di politiche energetiche dell’Università di Roma Tre.

A cura di Madi Ferrucci

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