22 gennaio 2022 08:48

Questo testo è tratto dal libro “Nascere non basta. Bambini invisibili, tratta dei minori e stato civile in Africa”, a cura di Adriana Gullotta.

Il primo dei diritti riconosciuti ai bambini, il più elementare ma spesso anche il più disatteso, è il diritto al nome, cioè a un’identità legalmente riconosciuta. Ma più di un terzo dei 125 milioni di bambini che nascono ogni anno nel mondo non viene iscritto alla nascita. Circa il 70 per cento della popolazione mondiale, infatti, vive in paesi con sistemi di stato civile incompleti o insufficienti. Tra i 166 milioni di minori sotto i cinque anni non registrati, 94 milioni vivono in Africa sub-sahariana e 65 nell’Asia meridionale e orientale. Africa e Asia, infatti, sono i continenti dove il problema è più grave.

Si cresce ma non si diventa mai cittadini, perché non si è riconosciuti dallo stato: non si fa parte della popolazione della propria nazione, non si può essere iscritti a scuola, né usufruire dei servizi sanitari, si è più vulnerabili allo sfruttamento e agli abusi. Se i bambini scompaiono, i genitori non hanno modo di dimostrare la loro potestà genitoriale perché non hanno nulla che possa comprovarla. La tratta dei minori, così redditizia e fiorente, si alimenta di bambini senza documenti, cui è facile cambiare identità.

In molti paesi si può constatare come non si tratti di un problema secondario o marginale, che riguarda magari un ristretto numero di minori ma, al contrario, di una vera ipoteca sul futuro di moltissimi giovani e, a volte, di interi popoli. Nel mondo un miliardo di persone non ha alcun documento di identità, la metà di questi “invisibili” è in Africa subsahariana, sebbene nel continente viva il 15 per cento della popolazione mondiale.

La mancata registrazione allo stato civile è una porta aperta al traffico di esseri umani

In un mondo come l’attuale, in continuo movimento, lo spostamento delle popolazioni ha aggravato la situazione mostrando ulteriormente la necessità di essere riconosciuti come cittadini di una nazione. Ma il 40 per cento degli abitanti di paesi a basso reddito non ha documenti d’identità, contro il 5 per cento degli abitanti di quelli ad alto reddito.E spesso proprio quei paesi in cui è possibile constatare l’esistenza di larghe sacche di “non cittadini”, emettono documenti ritenuti non affidabili. Talvolta falsificati o contraffatti non riescono a dare garanzie sufficienti riguardo all’identità di una persona. Per questo, sempre più, nei confronti dei migranti si utilizzano nuovi metodi di identificazione. Il ricorso alle impronte digitali, unito al riconoscimento dell’iride e all’assunzione dei parametri biometrici, è ritenuto sempre più necessario per la verifica dei dati personali.

A chi è senza diritti e protezione guardano con sempre maggiore interesse le organizzazioni criminali per i loro traffici e i minori migranti – spesso non accompagnati – sono particolarmente vulnerabili. Si tratta di un problema di dimensioni mondiali che tocca le fasce più povere delle popolazioni, in particolare nel sud del mondo, ma di cui si parla ancora troppo poco; solo gli addetti ai lavori ne sono consapevoli.

In mano ai trafficanti
La mancata registrazione allo stato civile è una porta aperta al traffico di esseri umani. Si tratta di un fenomeno in mano a organizzazioni più o meno grandi, in diversi paesi del mondo, diffuso e con caratteristiche differenti. Si utilizza il termine “traffico di esseri umani”, perché si vuole sottolineare il conseguimento, diretto o indiretto, di benefici materiali o finanziari per chi procede al trasporto illegale di una persona.

Se sono i potenziali migranti a rivolgersi direttamente ai trafficanti per espatriare e aggirare le leggi sull’immigrazione, è definito smuggling. Si stima che ogni anno siano coinvolte quasi un milione di persone che, con i propri risparmi o con prestiti di amici e familiari, pagano il trasporto e i documenti per l’espatrio. Una volta giunti a destinazione, il rapporto con i trafficanti si conclude: si tratta, quindi, di un ingresso illegale in cambio di denaro.

Il trafficking, invece, indica il fenomeno vero e proprio della tratta di esseri umani. Le vittime sono reclutate direttamente dai trafficanti con la violenza o l’inganno. Private dei documenti d’identità, ridotte in stato di schiavitù, sono oggetto di compravendita. Subiscono coercizione fisica, violenze, minacce, così da ridurle in posizione di vulnerabilità, in senso fisico, psicologico o morale.

In questo modo il trafficante esercita un controllo sul trafficato, fino allo sfruttamento sessuale, lavorativo, la schiavitù, l’espianto di organi. Secondo il parlamento europeo il trafficking comprende “lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro o i servizi forzati, compresi l’accattonaggio, la schiavitù o pratiche simili alla schiavitù, la servitù per debiti, lo sfruttamento di attività illecite o il prelievo di organi”.

Nel mondo sarebbero oltre 40 milioni le vittime di tratta o sfruttamento, costrette in condizioni di schiavitù, e una su quattro avrebbe meno di 18 anni. Il 71 per cento è rappresentato da ragazze e donne, in gran parte sfruttate nella prostituzione.

Una nuova schiavitù: la tratta dei minori
Si calcola che i bambini rappresentino circa il 25 per cento delle vittime della tratta di esseri umani. Un fenomeno in aumento, negli ultimi anni, e più diffuso di quanto si pensi. Il numero stimato di minori vittime di tratta nel mondo è di circa 10 milioni: bambini e adolescenti venduti/comprati, rapiti o adescati per essere reclutati in formazioni armate o in attività illegali. Dei 15 milioni di matrimoni forzati, il 37 per cento ha riguardato bambine (5,7 milioni). Sono bambini il 18% delle vittime coinvolte nel lavoro forzato e il 21 per cento delle vittime di sfruttamento sessuale. Assai spesso provengono da zone rurali, dove il sistema di stato civile è carente.

Si stima che in Africa il traffico di esseri umani renda 9,5 miliardi di dollari l’anno, attirando organizzazioni criminali e aumentando la corruzione su scala globale. La povertà, la consuetudine alla migrazione per i lavoratori stagionali e la permeabilità delle frontiere, oltre che la corruzione, facilitano il dilagare del fenomeno. A partire dal 2000, in seguito alle pressioni esercitate dalla comunità internazionale, è cresciuta l’attenzione al fenomeno soprattutto nei paesi in cui ha origine la tratta, i quali, oggi, hanno iniziato ad affrontare il problema. In Africa occidentale va segnalato anche un diverso atteggiamento delle nazioni di transito o di destinazione come Costa d’Avorio o Gabon. Qui le opinioni pubbliche, fino a qualche tempo fa, tendevano a considerare la tratta di bambini come un problema riguardante altri e spesso i media ne parlavano come di immigrazione illegale organizzata da gruppi stranieri. Accadeva così che le vittime fossero considerate immigrati illegali da perseguire, invece che oggetto di protezione.

Negli ultimi anni, il lavoro delle organizzazioni internazionali e dei media sta spingendo diverse nazioni ad attuare misure per la protezione, il rimpatrio e il risarcimento delle vittime. Un esempio positivo è rappresentato dalla Costa d’Avorio che, dopo la pubblicazione di alcuni rapporti sulla situazione degli schiavi-bambini impiegati nelle sue piantagioni, ha attuato maggiori controlli.

L’Africa subsahariana
Nella complessa mappa del traffico in Africa occidentale e centrale, Nigeria e Gabon sono individuati come paesi che ricevono e collocano bambini (provenienti da Mali, Burkina Faso, Togo, Benin) in stato di servitù per l’accattonaggio, nei mercati, nelle piantagioni, nei lavori domestici. Questo fenomeno ha radici profonde con articolazioni diverse, a seconda dei paesi e delle economie coinvolte, ed è strettamente collegato ai problemi economici e sociali della regione.

I bambini, separati dalle famiglie e dalle loro comunità d’origine, sono costretti a lavorare mediamente dalle 10 alle 12 ore al giorno, senza ricevere denaro. Se è previsto un salario, viene in genere sequestrato. Malnutriti, poco vestiti, senza scuola né cure, subiscono ogni tipo di maltrattamento e abuso; spesso, le bambine sono vittime di violenza sessuale, esposte a contrarre malattie, e se restano incinte sono duramente punite.

Anche in Africa orientale il traffico di esseri umani finalizzato al lavoro forzato o allo sfruttamento sessuale è in preoccupante aumento. Secondo uno studio, in Kenya e Tanzania le principali vittime sono minori – soprattutto bambine – e donne. I ragazzi sono impiegati nelle piantagioni, nelle miniere, nel settore ittico e in altre attività dell’economia sommersa: commercio ambulante, agricoltura, pastorizia o lavoro domestico, mentre le ragazze sono destinate alle aree urbane, specie nel giro della prostituzione. Una parte viene condotta in altri paesi africani, in Medio Oriente, in Arabia Saudita o negli Emirati Arabi Uniti. Ad alimentare il traffico – spiega il rapporto – sono povertà, disoccupazione e migrazioni. La mancata registrazione allo stato civile dei bambini – che ne fa a tutti gli effetti degli “inesistenti” – lo favorisce rendendoli particolarmente vulnerabili.

Il riconoscimento legale di una persona è un proprium degli Stati che così garantiscono tutela e godimento dei diritti ai propri cittadini. Tuttavia, sono molte le nazioni che ancora faticano a renderli effettivi per tutti i propri
cittadini.

Per questo, nel 2008, la Comunità di Sant’Egidio dà vita a un’azione mirata, con lo scopo di affrontare la mancata iscrizione su vasta scala, nei paesi africani e non solo. È nato così il programma Bravo! (Birth registration for all versus oblivion! – Registrazione alla nascita perché nessuno sia dimenticato) che si propone di coadiuvare le amministrazioni statali per migliorare i sistemi di stato civile e sensibilizzare le popolazioni sui diritti civili e la protezione dei minori.
Si tratta di un’azione complessa che si articola in diverse attività e si svolge in sinergia con gli Stati, cooperando all’individuazione delle vulnerabilità di ciascun sistema per realizzare uno stato civile universale e sostenibile, attraverso differenti strategie.

La massiccia urbanizzazione che ha caratterizzato gli anni Duemila ha portato a livello globale al “sorpasso” della popolazione delle città su quella delle campagne, con il conseguente abbandono delle aree rurali. Le grandi città attraggono con nuove opportunità di lavoro e di avanzamento sociale gli abitanti dei villaggi che abbandonano le campagne con gravi conseguenze per l’ecologia ambientale e umana delle società. Chi rimane nelle aree rurali rischia di restare indietro, privo di opportunità e di futuro. D’altra parte, chi arriva in città si ritrova a vivere quasi sempre nelle aree periferiche, negli slums o nelle bidonvilles.

Al servizio dei cittadini
Nei paesi presi in esame, la popolazione rurale, ancora numericamente consistente, senza un adeguato sostegno corre il rischio di diventare marginale, esclusa dallo sviluppo economico e politico. Si tratta di milioni di persone che spesso vivono una situazione di abbandono da parte delle istituzioni e di privazione dei diritti.

Per questo Bravo! ha scelto come primo luogo del suo impegno le vaste campagne africane, punteggiate di villaggi e piccoli insediamenti, lontani dagli uffici di stato civile, individuando e sperimentando le strategie necessarie a superare problemi e colmare divari. È qui, infatti, che la mancata registrazione espone maggiormente i bambini e le bambine allo sfruttamento e alla tratta.

Quando non si registra la totalità dei propri abitanti, si creano disuguaglianze; in alcuni casi si assiste a una vera e propria discriminazione di etnie o minoranze che soffrono per l’assenza di diritti civili. Bravo! sostiene lo stato: non più entità da cui difendersi, ma istituzione al servizio dei propri cittadini, a cui riconosce diritti e doveri, facendosi vicino attraverso le diverse forme di decentramento. La partnership di Bravo! con lo Stato è tesa a migliorare i servizi al cittadino, coadiuvando l’amministrazione nel raggiungere le popolazioni più periferiche, favorendo la scolarizzazione dei bambini e l’inclusione dei più giovani per prevenire la tratta.

Si tratta in definitiva di un servizio alla democrazia e alla stabilità di paesi scossi spesso da rivolte, in larga parte giovanili, violenze o atti di un terrorismo jihadista sempre più diffuso. Certamente l’invisibilità di tanti bambini e ragazzi è connessa non solo alla tratta e al lavoro minorile, ma anche in qualche modo alle reti criminose o terroristiche. Frustrati dall’assenza di prospettive, espulsi dalle scuole e lasciati ai margini da uno Stato incapace di garantire istruzione, servizi, lavoro, sicurezza, questi giovani rischiano di diventare manovalanza utile per crimini di ogni tipo.

Con la sua azione di stimolo e di sostegno alle amministrazioni locali, Bravo! incoraggia lo sviluppo di uno stato sociale equo e contribuisce a far crescere la capacità dello stato di erogare servizi, di conoscere la propria popolazione, di studiarne i movimenti e favorirne lo sviluppo. Tutto questo rappresenta in definitiva un sostegno alla pace e alla stabilità di una nazione, investendo nel futuro e nelle giovani generazioni.

Questo testo è tratto dal libro “Nascere non basta. Bambini invisibili, tratta dei minori e stato civile in Africa” (San Paolo Edizioni, 2021), a cura di Adriana Gullotta. Maggiori informazioni sul programma Bravo! si possono avere qui.

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